Aldo Bianchini
SALERNO – Spesso ed in maniera molto superficiale si dice che gli imprenditori, ondivaghi sul piano politico e utilitaristi su quello affaristico, pensano soltanto al bene proprio strizzando, semmai, l’occhio anche in favore dei dipendenti e conseguentemente dell’occupazione.
Quando si parla del giovane imprenditore edile Antonio Lombardi, invece, bisognerà prima riflettere sulla sua storia personale, imprenditoriale e relazionare per abbozzare un minimo giudizio.
Di sicuro Antonio Lombardi non potrà essere giudicato, sul piano pubblico (il privato appartiene a lui), sulla scorta della deludente sua esperienza con il calcio ed in particolare con la Salernitana Calcio perché chiunque si sia avvicinato alla squadra del cuore per tanti salernitani è miseramente esploso per colpa di un ambiente che, molto probabilmente, di sportivo non ha assolutamente niente
Antonio Lombardi ha avuto in questi ultimi anni la capacità non solo di rimanere sempre sulla cresta dell’onda ma di ritornare a cavalcare la stessa onda in tutte le occasioni propizie mettendoci la faccia direttamente anche per questioni che potrebbero apparire molo lontane dal sua sfera imprenditoriale. Invece centra gli obiettivi importanti e li pone all’attenzione di tutti, come è giusto che sia, sollecitando le rispettive responsabilità a livello pubblico così come a livello imprenditoriale e privato.
Ho seguito con molta attenzione l’ultimo intervento pubblico dell’ing. Antonio Lombardi in materia di “infortuni sul lavoro” che molto direttamente incidono sul costo complessivo dello “stato sociale nazionale” quasi come una manovra economica, se non di più.
Ebbene Lombardi ha ricordato a tutti noi che Salerno è la terza provincia italiana, in ordine di numeri statistici, per le cosiddette “morti bianche”; non solo, il dato di per se drammatico sarebbe addirittura tendente verso l’alto con uno sbalzo del 100% rispetto ai primi mesi del 2017 con gli attuali “sei morti” sul lavoro rispetto ai tre dell’anno scorso.
Naturalmente non bisogna farsi impressionare dai numeri e dai dati statistici che sono e rimangono freddi, inesplorati ed inestricabili; probabilmente c’è poco da fare quando si parla di “infortuni sul lavoro” che nella loro quasi totalità sono determinati da vari e complessi fattori: giovane età e poca esperienza, media età e corposa esperienza, avanzata età e mancanza di riflessi, ripetitività delle fasi di lavoro, distrazione per troppa esperienza, difficoltà per mancata esperienza, condizioni climatiche e psico-fisiche, mancato utilizzo di presidi personali di prevenzione, inadeguato allestimento del cantiere di lavoro ai fini della prevenzione e, dulcis in fundo, l’imponderabilità e la casualità nel determinismo dell’evento dannoso. Ma non sono soltanto questi i fattori dai quali scaturisce “la causa violenta in occasione di lavoro”, dipendente e/o autonomo che sia, in grado di mettere a repentaglio l’incolumità fisica del lavoratore se non addirittura la morte.
Ma allora non si può fare niente per contenere simili disastri ? In astratto è proprio così, sul piano pratico; invece, si può fare molto di più di quanto già si sta facendo a livelli mediatici nazionali con l’ INAIL ovviamente in prima fila essendo da ben centoventi anni l’ente preposto alla “assicurazione contro gli infortuni sul lavoro”; un ente che per mission originale dovrebbe non solo assistere, curare e riabilitare gli infortunati ma cercare di prevenire gli stessi infortuni perché, sempre per mission, dovrebbe lottare contro gli infortuni, e questo lo dice la sua stessa denominazione storica.. Questa specificità dell’ente è stata, nel corso del tempo, affidata e tolta allo stesso ente in un balletto di tanti altri organismi che si sono succeduti nell’esercizio di una corretta prevenzione.
Gli ingenti capitali messi a disposizione dall’Ente per gli investimenti in sicurezza e prevenzione purtroppo valgono a poco in quanto, come spesso accade nel nostro Paese, arraffare denaro pubblico è uno sport nazionale rivolto all’arricchimento personale e non al bene comune.
Sul piano pratico bisognerebbe dar vita ad un nuovo modo di pensare alla prevenzione a tutti i livelli trasformando la forma letterale e repressiva delle leggi che disciplinano la materia in un “messaggio prettamente culturale e assistenziale” a cominciare dalle scuole di ogni ordine e grado per finire nelle piccole, medie e grandi aziende; la repressione non porta da nessuna parte pur essendo necessaria in specifici casi, molto più importante sarebbe l’educazione e il convincimento nell’adozione di tutte quelle pratiche, previste e non, utili alla lotta contro un fenomeno grave e a tratti incontenibile, come sta accadendo in questi giorni.
Credo fermamente che non esiste alcun datore di lavoro che mette a rischio l’integrità fisica dei suoi lavoratori così come credo che tutte le “macchine operatrici” sono state ideate e costruite innanzitutto per garantire una idonea produzione pur guardando alla prevenzione contro gli infortuni. In questo squarcio, difficilmente ricomponibile, si annida il rischio concreto dell’infortunio sul lavoro.
Per quanto riguarda l’Inail va detto che a metà degli anni ’90 diede il via, proprio in Campania, ad una campagna informativa e preventiva nata nella sede provinciale di Salerno e rapidamente esportata su tutto il territorio regionale. Nell’estate del 1998 Napoli ospitò, addirittura, un convegno mondiale per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in occasione del centenario della nascita dell’Ente. A Napoli arrivarono esperti da tutto il mondo, dal Giappone come dagli Usa, e fu un successo clamoroso dell’iniziativa che venne sostenuta anche dalla Direzione Generale dell’Ente che aveva già avocato a se e rilanciato il “progetto comunicazionale” partorito da Salerno e dalla Direzione Regionale. Poi arrivarono dirigenti regionali incapaci e poco inclini a dare spazio a quello che sembrava esulare dai compiti istituzionali dell’ente assicurativo e nel giro di qualche anno, al di là di piccoli successivi tentativi, tutto finì nelle sacche dell’oblio.
Cosa produsse tutto quel lavoro ? Difficile dirlo; sicuramente non ha risolto il problema generale, ma se avesse evitato un solo infortunio o una sola morte bianca sarebbe sicuramente da riproporre anche se in forma più moderna e corretta; all’epoca quel progetto che aveva portato tutte insieme nelle scuole le massime istituzioni (Prefetto, Questore, Presidente Provincia, Sindaci, Dirigenti generali e locali dell’Inail, Capi dell’IPL, VV.FF. GdF e Carabinieri) venne affossato perché ritenuto quasi superfluo da personaggi ottusi e poco disposti alle novità. E adesso Salerno si ritrova con addosso una maglia nera dopo aver indossato per anni la maglia rosa di numerosi successi.
L’ing. Antonio Lombardi non dovrebbe fermarsi alla sola enunciazione di dati statistici ed all’allarme sociale (cose giuste e meritevoli), potrebbe dar vita ad un progetto concreto e comprensibile, semmai prendendo a base quello dell’Inail degli anni ’90; se lo facesse incasserebbe non soltanto il mio sostegno giornalistico ma anche la mia incondizionata partecipazione diretta. Oltretutto se riesce ad inquadrare un eventuale progetto nell’ambito del decreto legislativo n. 81 del 9.4.2008 (coordinato con il D. Lgs. N. 106 de3l 3.8.2009 e integrato con le Leggi n. 129 del 2/8/2008, n. 133 del 6/8/2008, n. 14 del 27/2/2009 e n. 88 del 7/7/2009) che sancisce la nascita di un “comitato di coordinamento regionale” in materia di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, il gioco sarebbe fatto e il contributo di Lombardi non si fermerebbe alle semplici enunciazioni di principio.
Dal 1911 ad oggi non è cambiato niente, ci sono gli stessi enormi numeri di infortuni; per tutti questi motivi bisogna fare qualcosa.