SALERNO – Il prossimo 19 febbraio, cioè lunedì, ci sarà un’altra udienza dinanzi al GIP Giovanna Pacifico per l’ennesima discussione su una “richiesta di libertà” che alla luce della linea accusatoria sposata dalla Procura e dall’Ufficio Gip appare abbastanza improbabile che venga concessa. E Pasquale Aliberti sarà costretto, speriamo di no, a rimanere in cella per qualche altra settimana nell’attesa che la veemenza accusatoria si plachi ed accetti il fatto di aver vinto alla grande il primo round di una partita che è ancora tutta da giocare in punta di diritto, e non solo.
Nell’attesa della nuova decisione è utile soffermarci sulla qualità del reato di cui Aliberti è imputato; si tratta di “scambio politico mafioso”. Un reato quasi surreale perché mai facilmente dimostrabile in dibattimento ma che in sede di indagini preliminari assume, spesso, una valenza incredibilmente credibile anche se basata soltanto su delazioni, fornite al rallentatore ed a pezzi, di presunti pentiti e/o collaboratori di giustizia che hanno, palesemente, tutto l’interesse a tessere ragnatele investigative piuttosto sostenibili al fine di guadagnare la fiducia degli investigatori e riuscire così ad ottenere, per altre vicende, la mano dolce della giustizia. Un reato, quello dello scambio politico mafioso, è giusto ricordarlo, che il precedente GIP Donatella Mancini aveva declassato a “tutt’al più di corruzione elettorale” che non consentiva l’arresto di Aliberti, in cui l’avverbio “tutt’al più” è di gran lunga sufficiente a squarciare i veli di un’accusa potenzialmente costruita soltanto sulle delazioni interessate .
Oggi, purtroppo, il rapporto giudici-pentiti è un rapporto ormai logoro, malato, artefatto e conveniente per tutti; da un lato gli investigatori che riescono a chiudere i loro castelli accusatori, dall’altro una schiera di malavitosi incalliti pronti a fare fuoco alle polveri comuni contro soggetti, soprattutto politici, pubblicamente inseguiti dalla giustizia e non in grado di difendersi.
Da questo imbuto non se ne esce se la politica non trova le leve giuste per ripianare il gap politico-giudiziario che esiste da tempo, cioè fin da quando la politica per salvare il salvabile ha inconsciamente e sciaguratamente approvato le leggi sulle quali si basa l’intero soppalco della “procedura penale”, consegnando di fatto ai PM una incredibile supremazia nel rapporto che dovrebbe essere sempre paritario tra accusa e difesa e che, invece, è palesemente squilibrato in favore di chi conduce le indagini che quasi sempre non va alla ricerca “anche delle prove a discarico” ma soltanto di quelle a carico.
Quella che tiene in carcere Aliberti è, dicevo, un’accusa quasi come quella di “concorso esterno mafioso” che vuol dire tutto e niente, un concorso difficilissimo da dimostrare ma che tiene dentro molte persone almeno fino al primo grado di giudizio. Incredibile ma vero.
Nell’attesa dell’udienza di domani continua la battaglia frontale tra la difesa assicurata dagli avvocati Silverio Sica, Agostino De Caro, Antonio D’Amaro e Giovanni Aricò e la pubblica accusa assicurata dal pm Vincenzo Montemurro titolare del fascicolo di indagini. L’ho già scritto e lo ripeto, lo scontro frontale non è mai produttivo e in considerazione del fatto che gli avvocati questo lo sanno benissimo bisognerà attendere la prossima udienza per capire se le presunte “prove a discarico” (alcune intercettazioni tra due malavitosi non presentate al Gip) che la Procura avrebbe occultato evidenzino elementi tali da far assumere alle dichiarazioni difensive dignità di prova conclamata. Anche perché la Procura, come hanno scritto i giornali, ha già messo le mani avanti riportando a galla la vecchia storia della cena tra Aliberti-Paolino e Ridosso, condendola di apparenti nuovi elementi forniti dall’ex assessore trombato. Tutto nell’ottica di una palese battaglia politica iniziata, anni fa, tra Pasquale Aliberti e tutti quelli che, probabilmente, lo volevano condizionare in alcune scelte di fondo.
Il percorso è tutto ad ostacoli ma l’esperienza e la capacità professionale del collegio difensivo offrono tutte le garanzie possibili in questa che si annuncia come l’ultima battaglia di una guerra giudiziaria iniziata nel settembre del 2015 quando all’alba di quel maledetto 18 settembre quando gli uomini dell’antimafia guidati da Montemurro fecero irruzione in casa e nello studio della famiglia Aliberti e presso la Casa Comunale di Scafati.
Facendo un ragionamento più generale allargato a tutto il mondo politico non posso fare altro che riportare pari pari una frase che scrissi il 20 set. 2015 in calce ad un articolo dal titolo “CRINIERA e CAMORRA spa: il pm d’assalto contro il centro destra ? da Gambino ai coniugi Aliberti”: Possibile che tutti i politici di centro destra siano così imbecilli o così malfattori e quelli di centro sinistra siano tutti, dico tutti, angioletti che si muovono nel limbo del paradiso terrestre mentre navigano in un mare di denaro pubblico ?”.
Sicuramente c’è qualcosa che non va in questo assioma e “Mafia Capitale” lo dovrebbe insegnare a tutti i PM d’assalto, ivi compreso il sempre unico e bravissimo Vincenzo Montemurro (della DDA di Salerno) che ha indagato tutti i poveri cristi del centro destra, soprattutto l’ala ciriellina, arrestandone molti e ricavando davvero pochissimo sul piano processuale che è poi, fortunatamente, il banco di prova di ogni inchiesta.