Aldo Bianchini
SALERNO – Purtroppo, devo ammetterlo, la politica e più specificamente la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle banche mi costringe a prendere posizione in favore di un magistrato. Il caso è quello del procuratore di Arezzo Roberto Rossi che è stato ascoltato in Commissione sullo stato dell’arte dell’inchiesta giudiziaria a carico dei vertici della Banca Etruria tra i quali era schierato il dr. Pierluigi Boschi (padre dell’ex ministra Maria Elena Boschi).
Dopo l’audizione è accaduto di tutto e di più; addirittura si è arrivati a dire che il pm Rossi avrebbe mentito alla Commissione; niente di più sbagliato. Questa volta non solo il pm ha pienamente ragione ma la sua successiva “lettera aperta” al presidente Pier Ferdinando Casini ha messo in evidenza l’insipienza dei componenti la Commissione che ergendosi incautamente ad investigatori hanno sbagliato proprio tutto.
Il caso è inquietante, da un lato si è scoperto che il padre della Boschi è ancora indagato e dall’altro si è tentato di accusare il pm per non averlo rivelato in sede di audizione.
Il pm Rossi, forse furbescamente, ha risposto con estrema precisione a tutte le domande che gli sono state poste; ovviamente non ha risposto alle domande che i commissari non gli hanno rivolto; oltretutto il fatto dell’indagine a carico di Pierluigi Boschi era ed è tutelata dal segreto istruttorio.
(Fonte La Repubblica.it del 4 dic. 2017) – Il magistrato di Arezzo nella lettera definisce gli addebiti che gli vengono mossi da diversi commissari “gravemente offensivi”, e di aver risposto “a tutte le domande che mi sono state formulate senza alcuna reticenza né omissione”. E aggiunge: “Ho chiarito che l’esclusione di Boschi riguardava il processo per bancarotta attualmente in corso, mentre per gli altri procedimenti ho precisato che non essere imputati non significava non essere indagati. Null’altro mi è stato chiesto in merito“. Rossi nella missiva al presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche parla anche del filone di indagine che contesta il falso in prospetto e il ricorso abusivo al credito a carico del Cda di Etruria del 2013, nel quale sedeva Boschi in qualità di consigliere: “Non ho nascosto nulla circa la posizione del consigliere Boschi in relazione alle domande che mi venivano poste. Le domande hanno riguardato i fatti in oggetto e non, in alcun modo, le persone iscritte nel registro degli indagati”. E a conferma della sua tesi, il pm allega uno stralcio del verbale dell’audizione del 30 novembre (che Repubblica è in grado di mostrarvi). Spiegazioni che vengono ritenute da Casini convincenti: “La lettera odierna del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, Roberto Rossi, fornisce una risposta chiara ed esauriente. Tutto il resto afferisce ai giudizi politici che ciascun Gruppo ha il diritto di formulare”, ha aggiunto Casini, che ha precisato che domani nell’Ufficio di Presidenza si parlerà comunque dell’eventualità di richiamare il pm davanti alla commissione.
Insomma in questi giorno abbiamo assistito ad una lezione durissima inferta da un pm all’intera commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, come a dire che la Commissione Parlamentare non sa fare o almeno non ha saputo fare il suo mestiere per il caso drammatico delle banche fallite in danno di migliaia di risparmiatori.
Ma l’audizione del 30 novembre del procuratore Roberto Rossi apre pesanti dubbi sull’opportunità delle sue dichiarazioni. A monte c’è una consulenza con la presidenza del consiglio dei ministri, presieduto da Matteo Renzi con ministra la Boschi, proprio nel periodo in cui Pierluigi Boschi era indagato. E’ questa la domanda che rimane aperta sullo scenario del crac delle banche, un argomento che non si spegnerà facilmente anche dopo la richiamata in Commissione del procuratore.