SALERNO – Sembra ieri ma sono già passati 37 anni da quel fatidico giorno del terremoto che portò lutti e devastazioni interessando tre regioni: Campania, Basilicata e Puglia. Ancora oggi si ignora il numero preciso delle vittime e dei feriti. Era una serata uggiosa, quella del 23 novembre 1980; calda, ma di un caldo strano quasi opprimente; balconi e finestre aperte; sugli schermi televisivi le immagini di Juventus-Fiorentina (allora si trasmetteva alle ore 19.00 in tv soltanto un tempo di una delle partite di calcio di serie A). Alle ore diciannove, trentaquattro minuti e venti secondi il tragico sussulto; poi soltanto morte, distruzione e paura. Paura per lo scampato pericolo, per un futuro incerto, per i soccorsi lenti e male organizzati, per uno Stato impreparato e poco attento alle segnalazioni che molti scienziati avevano, comunque, avanzato sulla eventualità di un violento terremoto proprio in quelle zone dove, in effetti, si verificò. Diciotto anni prima c’era stato un altro grande evento sismico, ma l’esperienza del terremoto dell’agosto del 1962 non aveva insegnato niente a nessuno. C’erano stati grandi progetti, tutti faraonici; ma le carte erano rimaste insabbiate nei cassetti misteriosi dei ministeri. Nel novembre ’80 erano i giorni del grande scandalo che aveva travolto la Guardia di Finanza e la politica; quella sera le rotative dei grandi quotidiani del Paese avevano già stampato i titoli a caratteri cubitali: “Terremoto politico”. Fu necessario soltanto cancellare la parola “politico” per avere il titolo bello e pronto. Dai palazzi del potere, timorosi ed anche increduli, partì immediatamente un fiume di danaro pubblico: 60milamiliardi di lire che in poco tempo avrebbero dato la stura ad uno degli scandali più grossi e più inesplorati della prima repubblica. Si mossero Sandro Pertini e Giovanni Paolo II; il primo con un elicottero militare di colore bruno, il secondo con il tradizionale elicottero bianco.
A Laviano, allora, scese quello del Presidente della Repubblica e fu subito contestazione, rapida, violenta e senza tentennamenti; solo la figura e la fermezza di Pertini fermarono quell’accenno di rivolta; poi Laviano, il paese più distrutto e più colpito in numero di morti, sprofondò nel baratro della discordia ed ancora oggi (dopo 37 anni) non è stata del tutto ricostruito e le discordie non sono del tutto sopite. A Balvano, in provincia di Potenza, scese l’elicottero bianco del Papa; messe, riti religiosi, un fiume di danaro, assistenza e solidarietà; il nome di Balvano, dove era crollata la chiesa madre, valicò subito i confini nazionali ed ebbe risonanza mondiale; dopo pochi anni è stata completamente ricostruita grazie anche all’azione dell’allora giovane e risoluto sindaco Ezio Di Carlo che fu osannato in Italia e all’estero. Completamente diverso il destino del sindaco di Laviano Salvatore Torsiello; a causa delle pretestuose contestazioni fu inquisito ed arrestato la mattina del 19 luglio 1993 insieme ad altre sei persone rei, secondo l’accusa del pm Anita Mele, di associazione a delinquere, turbativa d’asta aggravata, falso materiale e ideologico; ma alla fine, dopo anni di processi, vennero tutti assolti. E pensare che il 26 novembre 1980 aveva sfilato per le vie distrutte del paese portando per il braccio il presidente Pertini. Altra storia per Ezio Di Carlo, sindaco di Balvano, mai una contestazione, mai un’inchiesta, la ricostruzione presa ad esempio e presentata in America come in Giappone ed elevata a simbolo dell’Italia nel mondo. Una differenza sostanziale tra Laviano e Balvano, quasi come a significare che quello che non fa la politica può farlo la fede.
E dopo la scossa, dopo i soccorsi lenti, dopo la fase di emergenza arrivò la politica con i suoi progetti faraonici, stadi immensi, cattedrali nel deserto, insediamenti industriali fasulli e soldi, sempre soldi, continuamente soldi. E la promessa di ricostruire lì dove tutto era stato distrutto nell’ottica di una corrente di pensiero molto distante dalla concezione delle moderne new-town concepite per l’Aquila del dopo terremoto. Alla fine dell’88 partì la Commissione Parlamentare d’inchiesta; a guidarla un personaggio eccezionale ed emblematico: Oscar Luigi Scalfaro; una relazione enorme, oltre trentamila pagine per raccontare gli sprechi, gli abusi, le prevaricazioni, gli atti di arroganza ma con una pecca: nessun accenno alle Cooperative Rosse. Oggi assistiamo ai processi per il terremoto de L’Aquila (2009) e ci apprestiamo a seguire quelli del terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016.
Gli scandali veri pochi, molto pochi; i potenti sempre fuori al sicuro, al riparo anche dalle manette facili della tangentopoli; i duemilanovecento morti accertati sono, invece, tutti lì sotto un metro di terra a gridare ancora la loro sete di giustizia. Una sola fortuna per le popolazioni dell’Irpinia (intesa allargata alla Campania, Basilicata e Puglia) in quanto sulla scena del disastro arrivò quasi subito l’uomo giusto: Giuseppe Zamberletti, sottosegretario di stato, che aveva già guidato l’emergenza e la ricostruzione in Friuli (che ancora oggi viene additato a modello virtuoso) dopo lo spaventoso terremoto di pochi anni prima. Assolutamente indipendente, Zamberletti fu contestato quasi da tutti ma riuscì davvero a rimettere insieme i cocci dello stato ed a ridare la speranza di un futuro migliore alle circa trecentomila persone senza casa. Il tutto ripartì anche se presto, ovviamente, si arenò nelle secche della burocrazia e delle tangenti.
Insomma cambiò tutto per non cambiare niente, allora come oggi, purtroppo.