SALERNO – Non vado mai su FaceBook, da qualche tempo non compro più i giornali (li acquistavo tutti !!), non guardo gli inutili programmi televisivi, men che meno mi servono le veline della magistratura, delle forze di polizia e degli avvocati; vado avanti per logica, una qualità ormai sconosciuta ai più, tesi come sono nella ricerca affannosa della notizia da pubblicare prima degli altri.
Ben conoscendo tutti questi miei pregi-difetti l’ex sindaco di Scafati, dr. Pasquale Aliberti, mi ha inviato per WhatsApp direttamente sul mio telefonino portatile, la lunga lettera che aveva spedito al suo legale avv. Silverio Sica che in questi ultimi mesi, forse più degli altri, si è distinto in una battaglia senza esclusione di colpi con la Procura e il Riesame; ma niente di nuovo neanche in questo, tutti gli addetti ai lavori conoscono le doti spiccate di strenuo difensore della libertà mentale e fisica dell’avv. Sica che non è assolutamente nuovo per questo tipo di battaglie. Questa volta, però, c’è qualcosa in più a cui guardare con preoccupazione e con grande voglia di combattere; questa volta è in gioco la libertà di pensiero da un lato e il tentativo di una giustizia preventiva dall’altro. Per questo l’eventuale sacrificio di Pasquale Aliberti passerà comunque alla storia processuale del nostro distretto giudiziario.
L’altra sera (25 settembre) mentre mi trovavo nel pieno di un incontro sul tema “Social ? no grazie uso facebook” (organizzato, nella sala multimediale della Chiesa di Sant’Alfonso al bivio di Padula, dall’ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Teggiano-Policastro) mi è arrivato il messaggio via whatsapp di Aliberti. Mi sono subito preoccupato e lì per lì ho pensato ad una patacca, poi una volta a casa ho letto e riletto il messaggio e sono stato preso da una sofferenza interna, quasi al limite del dolore fisico per l’estrema violenza contenuta in quella lettera-messaggio se rileggete bene vi accorgerete anche Voi lettori che quello sfogo contiene una violenza drammatica fino ai limiti della sopportazione umana. Ed ho pensato alla tempesta che sta attraversando e percuotendo il corpo, dal cervello fino alla punta dei piedi, del malcapitato che praticamente è già stato giudicato colpevole in via definitiva sia dagli inquirenti che dalla stampa, e conseguentemente da gran parte dell’opinione pubblica. Certamente il “caso Aliberti” (che qualcuno ha denominato Sarastra) non è il primo e non sarà l’ultima sia in Italia che nella nostra provincia, ma il “caso Alberti” ha diversi valori e/o disvalori aggiunti perché è unico nella sua costruzione giudiziario/mediatica che viaggia alla velocità della luce verso una giustizia non sommaria (sarebbe il meno !!) ma verso una “giustizia preventiva”. Cosa questa assurda ed inimmaginabile per un paese civile. La giustizia preventiva è stata raccontata in un grande film di qualche anno fa “Minority Report”, ma in quel caso parliamo di una giustizia finalizzata alla ricerca di geni malefici nel cervello delle persone al fine di evitare che le stesse potessero poi delinquere. Ma di giustizia preventiva abbiamo anche specifiche prove della sua esistenza nei primi anni del nazismo di Hitler che riuscì a far passare nell’immaginario collettivo dei tedeschi che bisognava eliminare tutti gli “ariani doc” che avessero già manifestato qualche pericoloso squilibrio mentale. Hitler impose il suo pensiero alla magistratura tedesca che con numerose sentenze mandò a morte alcune migliaia di cittadini tedeschi. Poi abbiamo capito che quella giustizia fu utilizzata per la strage più grande della storia dell’umanità.
Ora da noi non c’è nè il kaiser e neppure l’esperimento americano di qualche anno fa (comunque utilizzato nella guerra preventiva in Iraq); c’è, però, un rischio assolutamente enorme ed abnorme, impensabile che nel Paese culla del diritto si stia avviando la corrente giustizialista che vorrebbe il processo alle intenzioni o meglio la soppressione della libertà di pensiero. Anche perché, lo ripeto ancora, se così non è vuol dire che bisogna subito procedere al blocco o almeno alla regolamentazione rigida dei social che in quanto a libertà di pensiero stanno, comunque, esagerando ed esasperando gli animi.
Ma ritorniamo alla lettera di Aliberti perché è piena di violenza che fa da contraltare ad altra violenza: da un lato “… Le motivazioni di questa sentenza, che insieme abbiamo provato a commentare ci lasciano senza parole: non è possibile togliere il diritto di critica, che viene definito addirittura feroce, ad un libero cittadino che prova attraverso un social ad esprimere la sua idea sui temi grandi di questo Paese …”, mentre dall’altro “… Le scrivo per chiederle di chiudere questa mia agonia dii evitare il ricorso in Cassazione … glielo chiedo nel rispetto dei miei familiari … Caro avvocato Sica ho bisogno del carcere … per avere la possibilità di potermi difendere … mi accompagni lei al cercare di Fuorni insieme a Nicola e Rosaria i miei due meravigliosi figli …”.
Ma c’è anche un passaggio che suona come un messaggio trasversale, difatti mentre chiede di andare in carcere scrive: “… ma per difendermi avendo la possibilità di poter interagire, di poter intervenire, di poter chiarire, di poter produrre atti, documenti, registrazioni, vicende di cui probabilmente neanche la Magistratura, i Giudici del Riesame, il Procuratore Generale o il Procuratore Capo sono a conoscenza fino in fondo …”.
Ieri mattina, 26 settembre, gli ho testimoniato la mia vicinanza umana con il seguente messaggio: “Pasquale quello che dici ti fa onore ma è inaccettabile in un Paese cosiddetto civile. Il ricorso per Cassazione è un obbligo e non una necessità. In bocca al lupo”.
Come andrà a finire questa nuova tappa dell’intricata vicenda giudiziaria ? Io credo fermamente che prima del prossimo 4 ottobre l’avvocato Sica depositerà il ricorso in Cassazione ed un nuovo ritornello comincerà a contare i giorni che passano ed allontanano sempre di più l’unica vera domanda che noi tutti, compreso la magistratura, dovremmo porci: “Pasquale Aliberti è colpevole o innocente