Aldo Bianchini
MURO LUCANO – Parlare o scrivere di Luca Emanuele Gianturco non è certamente impresa facile o da prendere sottogamba in considerazione della poliedricità e dell’ecletticità del personaggio vissuto troppo poco e, quindi, impedito dal dare il meglio di se stesso dando per scontato che “il meglio” si dà, spesso, nella seconda metà dei cento anni che ognuno si augura di poter vivere. Ma all’epoca, in pieno 19° secolo, la vita media era di gran lunga più breve di quella attuale ed è ipotizzabile che tutto quello che fece e che ha lasciato possa essere considerato il top per un uomo dell’800, penalizzato per i primi venticinque anni dalle umili origini, costruitosi da solo ma fortunatamente supportato da personaggi di prima grandezza.
Ma tutto questo lo vedremo più avanti, ora è necessario mettere in risalto l’opera certosina di ricerca e di assemblaggio portata avanti dal mio ex compagno di scuola Vito Claps che ha saputo sapientemente focalizzare nel mirino del suo racconto non soltanto il personaggio Gianturco ma anche, se non soprattutto, di adattarlo e di adeguarlo (sempre nel racconto !!) al modello di uomo e di stile di vita in cui lo stesso Claps si rispecchia notevolmente. Con un valore aggiunto in favore di Vito, un valore che lo ha sempre contraddistinto nel corso dell’intera sua vita, il valore dell’assoluta indipendenza e trasparenza che lo ha portato alla conquista delle piccole ma importantissime mete professionali e culturali. Ma anche il valore di non aver mai sposato la politica per renderla funzionale alle sue necessità di scalata sociale.
Non credo di poter dire la stessa cosa di Gianturco che, fatta salva la sua enorme e straordinaria professionalità come giurista – musicista – insegnante – avvocato – politico e legislatore, per l’esaltante e clamorosa scalata dei vari strati sociali che lo separavano dal successo e dalla ricchezza ebbe bisogno dell’appoggio di due preti, della politica e di tanti altri personaggi che dal punto di vista delle scalate sociali erano veri intenditori. Diffido sempre di chiunque si dia alla politica, anche se lo fa per una ragione sociale ben precisa, perché penso che la politica sia, comunque, l’arte del compromesso, ed a me come a Vito il compromesso non piace. Siamo stati allevati in un crogiuolo in cui saggi maestri versavano il loro sapere e dove nessun politico o uomo di potere aveva la possibilità di “mestolare”.
La torta, comunque, era già bella e pronta quando nel giugno del 1890, all’età di 33 anni, il giovane Gianturco incontra e sposa Remigia Guariglia (25enne) che in quel momento era sicuramente una musicista già affermata ma anche una delle “prede” più ambite per uno stuolo di baldi giovanotti sui quali per Emanuele (già deputato nazionale da un anno) fu facile prendere il sopravvento per una scelta che non si fermò neppure di fronte alle condizioni di salute, certamente non buone, della futura mamma dei suoi sette figli. Un matrimonio durato anch’esso poco, solo diciassette anni, per colpa della morte precoce di Emanuele che era entrato nei “salotti buoni” partenopei grazie agli ottimi uffici dei suoi precettori: don Giuseppe Gianturco (fratello) e don Giuseppe Filippi (ancora più potente del primo). Addirittura per il loro matrimonio l’ufficiale di stato civile dell’epoca dovette spostarsi in una sfarzosa villa di Portici per celebrare il rito civile a causa degli impedimenti fisici della già “matrona” che, però, il giorno dopo non mancò di andare in Chiesa per la celebrazione del rito religioso; dimostrazione plastica del grande potere della “famiglia Guariglia” che si allungava da Raito di Vietri sul Mare (splendida villa patriarcale in cui tuttora si svolgono celebri manifestazioni di musica classica e da camera) fino a Napoli e Roma passando per le sfarzose ville vesuviane di Portici.
Emanuele Gianturco, così egli si definì il 20 aprile 1889 rivolgendosi ai suoi elettori del collegio di Potenza: “Ebbi umili i natali, avversa la fortuna, e questa vinsi e quelli nobilitai con la sola perseverante virtù del lavoro…Dovunque risplenda luce di alti ideali, dovunque chiamai la voce del dovere, là sarà il mio posto”. Qui c’è tutto il politico e la politica di quel tempo; difatti non credo proprio che Gianturco da ragazzo, al di là degli umili natali, avesse avuto avversa la fortuna; quando si rivolse al popolo degli elettori forse dimenticava che da ragazzo veniva portato per mano dal fratello sacerdote nei “salotti bene” della metropoli partenopea e, addirittura, nella locale università per ascoltare le lezioni di Luigi Settembrini che, probabilmente, incise profondamente nella formazione del giovanissimo Luca Emanuele.
Cinque volte ministro, una volta sottosegretario di stato, sette legislature di seguito, deputato a 32 anni; cosa altro doveva fare per dimostrare tutta la sua capacità di inserimento in un tessuto sociale che probabilmente lo considerava un intruso, tanto che i genitori della moglie non volevano che sposasse la loro fanciulla, sicuramente anche illibata al momento delle nozze. Genitori che di fronte al dilagare del suo potere piegarono la testa.
Faccio il giornalista e smentirei me stesso se non andassi alla ricerca dei punti deboli (pochissimi ma importantissimi !!) di un personaggio così poliedrico come Gianturco; per questo al contrario di Gerardina Romaniello (allieva di Vito Claps e giudice di Corte di Appello a Potenza) penso che il giurista Gianturco (che aveva sognato addirittura di dare la luce al “diritto privato sociale”, cosa assolutamente assurda per il mondo capitalistico e globale in cui vivevano e in cui viviamo) è un “modello di vita ampiamente diffuso e facilmente attuale in ogni momento storico”. Se poi spalmiamo l’essenza pura del personaggio su tutti i livelli sociali sono perfettamente in sintonia con la Romaniello quando scrive che “il suo animo di bambina era stato colpito dalle descrizioni della vita e della professione di Gianturco che l’avevano aiutata a crescere ed a puntare dritta verso traguardi professionali di eccellenza”, traguardi che puntualmente ha conquistato.
Ecco questa è la qualità di maggior rilievo che Emanuele Gianturco è riuscito a lasciare ai posteri, l’esempio di tenacia e di fermezza nel raggiungimento di traguardi che obiettivamente appaiono a prima vista irraggiungibili. Su questo si è concentrata l’azione di ricerca e di assemblaggio che ha mosso l’amico Vito Claps che certamente non ha avuto sacerdoti e/o personaggi influenti sul suo cammino formativo e che è riuscito, con le sue sole forze, a diventare un esempio di vita da “giusto e severo professore” come la stessa Romaniello ha scritto nella sua interessantissima prefazione; e prima ancora da sereno e attento alunno (mio vicino di banco) nelle scuole elementari.
Prima di chiudere tranquillizzo tutti e dichiaro che la mia è una semplice nota di cronaca, come ho già detto, focalizzata nella ricerca degli elementi caratterizzanti anche gli aspetti non esaltanti di una personalità che sicuramente ha illuminato l’intero 19° secolo e non solo, e che oggi è stato stupendamente ricostruito e ricordato dall’autore Vito Claps con l’opera “Emanuele Gianturco – un modello di vita”. Non ho lo spessore culturale del critico e neppure ci provo, mi basta essere un ruspante giornalista.