Come giudica l’acquisizione delle due banche venete da parte di Intesa S. Paolo?
L’obiettivo, non dichiarato ma sempre più evidente, è quello di mettere tutto nelle mani di pochi. Lo Stato ha varato una decisione che cede per un euro la good bank a Intesa (complimenti) e si tiene per se la bad bank cioè 10 miliardi di crediti deteriorati. Qualcuno ha scritto in questi giorni che questa è stata la peggiore gestione di una crisi bancaria nel dopoguerra.
Nell’opinione pubblica si fa strada sempre più il convincimento che tutto sia finalizzato a creare in Italia un oligopolio bancario che metta in mani a poche persone tutto l’apparato bancario della Nazione. Con questa vicenda delle banche venete la soluzione dell’oligopolio ha fatto decisamente un altro passo avanti. Alla fine 4/5 banche controlleranno l’intero sistema bancario azzerando sostanzialmente la concorrenza.
Come si pongono le BCC rispetto a questo scenario?
Intanto bisogna subito dire che le BCC non hanno mai preso soldi dallo Stato e quindi non hanno mai usato un euro dei contribuenti. Hanno sempre risolto, quando necessario, situazioni di criticità al loro interno, con risorse proprie, con soldi cioè delle sole BCC.
Le Banche di Credito Cooperativo adesso sono dentro un percorso di riforma che vede la loro adesione spontanea ad uno dei due gruppi cooperativi che si sono costituiti. Alla fine probabilmente la riforma servirà, se ben gestita ed applicata, a fare in modo che ogni BCC sia meglio gestita e si abbiano delle economie di scala che serviranno a migliorare i rispettivi bilanci, sempre più a corto di ricavi.
Il problema grosso è come far capire all’attuale dirigenza politica nazionale che le banche cosidette “less significant” (quelle piccole e piccolissime, per intenderci) svolgono un ruolo fondamentale nel rispondere alle esigenze dell’economia reale italiana con la forte prossimità al mercato, soprattutto a quello rappresentato dalle famiglie e dalle piccole e piccolissime imprese che sono sempre più a rischio possibilità di accesso al credito. Le BCC sono, per loro storia e per loro natura, antitetiche al monopolio e all’oligopolio bancario.
Limitare, insomma, l’attività delle BCC e creare un gruppo di poche e grosse banche, che controllano l’intero sistema creditizio, sarebbe un vero e proprio suicidio per l’economia nazionale, soprattutto per l’economia delle zone più svantaggiate (Mezzogiorno). Il nostro compito è illustrare alla classe politica la necessità di riacquistare autorevolezza e non delegare più questi temi a banchieri d’affari o a banchieri centrali o, peggio ancora, alla burocrazia di Bruxelles.
Come si pone la BCC di Aquara in tutto ciò?
Noi siamo da 40 anni impegnati a gestire la nostra piccola banca con criteri di sana e prudente gestione. Siamo tutti convinti che questa – sempre e comunque – sia la priorità. Secondo la dottrina europea noi saremmo una banca “less significant” ma loro guardano solo l’entità dei numeri e se uno non è grosso non è significativo. Questa ricetta economica ci sta portando ad un divario sempre più evidente tra ricchi e poveri. Questa ricetta economica ci sta portando su un piano inclinato che continua a non promettere niente di buono. Noi siamo convinti che la banca locale è significativa – indipendentemente dalla dimensione – se è ben gestita e se è utile alla comunità dove è insediata. Noi pensiamo di essere utili alle nostre comunità e organici al loro sviluppo non perchè lo diciamo noi ma semplicemente perché ce lo riconoscono ogni giorno i nostri soci e clienti e perché ogni anno riusciamo a chiudere un buon bilancio. Non è certo compito dell’Europa o dell’Italia interrompere il percorso di milioni di italiani che da oltre un secolo ripongono fiducia nelle piccole banche locali e cooperative. Al contrario esse operano sul mercato per contrastare l’invasione di banche che saranno pure più significative – per dimensioni numeriche – non certo per dimensione umana e socio-economica. Noi non smetteremo mai di credere e dimostrare che “piccolo è ancora bello in Italia”.