Da Maria Chiara Rizzo
La difesa: “una grave battuta d’arresto per la rivoluzione egiziana”. Alaa Abd El Fattah resta in carcere. Alaa è un giovane egiziano, ma non uno qualunque. E’ un’icona della “primavera egiziana”, uno dei più attivi rivoluzionari contro il regime di Mubarak. Ma non è un blogger, è molto di più. E’ un leader. Ha solo ventinove anni ed è cresciuto in una famiglia che ha sempre manifestato il suo dissenso verso il regime politico del deposto rais. Suo padre, Ahmed Seif El-Islam Hamed, è un autorevole avvocato e promotore dei diritti umani che ha scontato cinque anni di carcere per le sue posizioni comuniste. Sua sorella, invece, fa parte del gruppo dei fondatori del movimento egiziano “No ai processi militari per i civili”. Alaa Abd El Fattah è conosciuto per essere il creatore, insieme alla moglie Manal, anche lei trattenuta in prigione, del sito internet manala.net, uno spazio interamente dedicato a pensieri, sentimenti e riflessioni ispirati alle vicende politiche che scuotono il Paese da diversi mesi. Il portale è diventato il punto di incontro di giovani attivisti e protagonisti di questo momento cruciale di transizione epocale e fermento politico. Giorni fa il giovane egiziano è stato convocato in aula con l’accusa di essere implicato negli atti di violenza del 9 ottobre scorso contro i manifestanti copti –una fetta della popolazione egiziana di fede cristiana-, ma, trattandosi di un tribunale militare e non civile, Alaa si è rifiutato di rispondere agli inquirenti. La denuncia della colpevolezza e del coinvolgimento dell’attivista ventinovenne sarebbe uno stratagemma dell’esercito, accusato di essere il vero e unico responsabile del massacro e aspramente additato da El Fattah che ha dichiarato: “Hanno commesso un massacro e ora stanno lavorando per far ricadere la colpa su degli innocenti. L’intera situazione è distorta: mandano gli attivisti a processo invece di dire la verità nuda e cruda. L’esercito ha commesso un crimine a sangue freddo”. Alaa è un giovane scomodo da mettere a tacere. Allo scopo di indagare sulle vere cause dei decessi durante il massacro, l’attivista ha cercato di convincere i familiari delle vittime a sottoporre i corpi dei loro cari all’autopsia, rimandando il momento della sepoltura. Per l’esercito egiziano alla guida del Paese dalla caduta del regime queste accuse sono troppo gravi, tanto da voler zittire giornalisti, blogger e tutti coloro che esprimono critiche forti nei riguardi della condotta dell’organo addetto al mantenimento e alla garanzia del’ordine sociale. Ma le accuse contro l’operato del Consiglio Supremo delle Forze Armate vengono sferrate anche da attori istituzionali, tra cui il candidato alla presidenza dl’Egitto Abdel Moneim Aboul Fotouh che ritiene la detenzione di El Fattah “una grave battuta d’arresto per la rivoluzione egiziana”.