PADULA – Joe Petrosino, l’uomo nato detective che riscattò l’Italia conquistando l’America, è stato un giustiziere o un difensore della legalità. E ancora, questa affermazione che accompagna da molto tempo il nome del mitico poliziotto italo-americano è da ritenere una metafora o più semplicemente la trasposizione letteraria del pensiero corrente sul grande investigatore ? Sono queste, a mio avviso, le prime domande che tutti dovremmo porci quando discettiamo sulla figura di Joe Petrosino; domande che rivolgo dalla mia piccola tribuna direttamente ai convitati al tavolo di presentazione di oggi pomeriggio, nella Certosa di Padula, del libro scritto da Nino Melito Petrosino (pronipote di Joe) con il titolo “Joe Petrosino, l’incorruttibile”, un libro che viene ufficialmente presentato in Italia dopo essere già stato distribuito, nella versione in inglese, sul territorio della costa orientale degli Stati Uniti d’America con grande successo e grande attenzione mediatica. Ma in America, si sa, Joe Petrosino è tuttora un personaggio che a distanza di 107 anni dalla sua morte per mano mafiosa è ancora molto vivo nell’immaginario collettivo degli statunitensi più che degli stessi italiani. C’è voluto un personaggio come Nino Melito Petrosino, pronipote del grande Joe, per ricostruire e rilanciare l’immagine del detective soprattutto in terra nostrana e per ingigantirla ancora di più in maniera planetaria. Duecento pagine, o poco più, per illustrare (è il termine più giusto) la storia, la figura e l’opera del mitico poliziotto nato a Padula e presto emigrato in america, a New York, dove iniziò dal mestiere unico e tipico di quasi tutti gli emigranti dell’epoca (siamo verso la fine del 1800): il lustrascarpe. Ma lo fa, quel mestiere, di fronte ad una della stazioni più importanti della polizia di New York; ed è proprio lì, in quei pochi metri che separano lo “store” di Petrosino dalla stazione di polizia che nasce il mito: “Dici ai tuoi colleghi che non si facciano troppi problemi per me, in quanto sono arrabbiato con i miei connazionali che, invece di esservi grati per l’ospitalità, hanno messo a soqquadro New York; quando saprò qualcosa di utile per voi verrò a riferirvela, senza mai accettare compensi, ciò ve lo dico in modo preciso, perché non collaboro con voi per ricavarne utili”. Una frase che racchiude al meglio tutta la vita personale e pubblica di quello che diverrà, dopo alcuni anni, il più temuto poliziotto del mondo. Nelle parole di Joe si legge quel senso della legalità verso cui tutti dovremmo avere un rapporto di vicinanza e di stretta osservanza; uno che si batte per la legalità non è uno spione, è questo il concetto che dovrebbe essere assunto da tutti come un momento di crescita culturale; una regola che è ampiamente prevista dalla nostra legislazione ma che viene puntualmente disattesa. Nel libro di Nino Melito Petrosino spesso ricorrono i nomi di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa ed è proprio su questi nomi che dovremmo porci, tutti, la seconda domanda: “Come mai sono stati necessari più di sessant’anni dal sacrificio di Joe Petrosino per arrivare a quello dei suoi successori e perché è necessario sacrificare, a volte, la vita per l’affermazione di principi di legalità talmente basilari e semplici nella loro accezione ?”. Molto complicato rispondere su due piedi e con pochi righi di un articolo giornalistico, ci vorrebbero libri e libri per spiegare la genesi dell’essere umano che, pur nella consapevolezza della legalità come cardine principale alla base di ogni società, spesso evade dalla correttezza che intrinsecamente è presente in ognuno di noi e passa dall’altra parte della barricata per delinquere. Il filo conduttore del libro non scritto ma magistralmente narrato da Nino Melito Petrosino è proprio questo, cioè la ricerca affannosa della legalità come strumento di lotta contro l’illegalità che ormai è penetrata soprattutto nelle sedi istituzionali locali, nazionali e mondiali. Nino non ha scritto un libro di letteratura, nel leggerlo non aspettatevi un saggio letterario, il libro non è assolutamente un esercizio pseudo culturale; Nino non ha nessuna di queste intenzioni, Nino racconta, Nino è la voce narrante che pervade tutte le pagine del libro, anche quelle che molto semplicemente ed in maniera efficace riportano fotografie e documenti di un certo valore storico-rappresentativo. Tutto è incastonato ed incastrato in una sceneggiatura che non è scritta ma narrata in maniera assolutamente al di sopra della media. “Per me non era e non è soltanto un eroe internazionale, ma soprattutto una persona nata e cresciuta nella mia stessa casa, “quella casa” che ha dato i natali anche a me”. Ecco quella che potrebbe apparire, ad una prima e superficiale lettura, come un’affermazione apodittica e di circostanza è, invece, la dimostrazione più plastica della grandissima abilità narrativa di Nino che in poche parole e con grande umiltà mette in gioco tutta la sua credibilità partendo dalla vera genesi del problema che riguarda l’emigrazione, l’immigrazione e soprattutto l’integrazione. Elementi, oggi, molto discussi e dibattuti a livello planetario e che quel “povero” Joe Patrosino, emigrato per necessità familiare e ambientale, aveva già risolto più di cento anni fa quando, appena giunto sul suolo americano, fa capire a tutti la sua totale disponibilità ad integrarsi con un popolo diverso per cultura e tradizioni; e lo fa nel migliore dei modi richiamando a se tutte le energie positive in un complessivo discorso di legalità. Una legalità che non ha padri e né padrini e, soprattutto, non ha colorazioni e neppure bandiere. Oggi pomeriggio, grazie a Nino, Padula vivrà un’altra giornata leggendaria di cultura e di umiltà; due elementi positivi che Nino riesce sempre a trasmettere ai suoi ascoltatori quando, con il petto gonfio di gioia e di soddisfazione, spiega con una voce narrante cinematografica la storia, la vita e l’opera del suo grande capostipite.
direttore: Aldo Bianchini