SALERNO – E’ vergognoso e ingiusto strumentalizzare le dimissioni di un politico per farle passare come “resa”, semmai senza condizione e senza l’onore della armi. No, le dimissioni sono una cosa seria, addirittura una cosa fuori dalla consuetudine degli esponenti istituzionali del nostro Paese; altrimenti non circolerebbe il detto che “la via delle dimissioni è sconosciuta”. L’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, non si è arreso ma semplicemente dimesso; e lo ha fatto dopo ampia e meditata riflessione anche, se non soprattutto, per non trascinare l’intera comunità scafatese in uno scandalo senza fine. Ma lo ha fatto anche, è necessario riconoscerglielo, con largo anticipo sui tempi dell’inchiesta che al momento è ancora alle sue battute iniziali e che, proprio per questo, consacra la persona di Aliberti come innocente fino a sentenza passata in giudicato. Cerchiamo di non dimenticare mai questi cardini del diritto, non ergiamoci a facili e interessati censori della morale, non scriviamo titoloni e paroloni pur di vendere qualche copia in più dei giornali. Non dobbiamo neppure dimenticare che fino a qualche giorno fa lo stesso Aliberti aveva avuto la piena solidarietà dei suoi consiglieri comunali e che l’ordinanza del riesame non è “una sentenza definitiva” ma soltanto la conferma di un certo tipo di indagini preliminari che prima di arrivare a pubblico dibattimento deve essere valutato attentamente anche dal GUP. Si è dimesso perché ha preso consapevolezza della gravità e della severità dell’inchiesta che potrebbe sovrastarlo portandolo direttamente dietro le sbarre; ma anche in quel caso andiamoci tutti piano. Troppe volte abbiamo assistito a carcerazioni preventive medio lunghe ed alla fine abbiamo ascoltato sentenze che mandavano assolti gli “imputati perché il fatto non sussiste”. Ecco perché Pasquale Aliberti non si è arreso ma si è consegnato volontariamente alla giustizia, non al pubblico ministero, per consentire agli inquirenti di percorrere rapidamente tutte le strade loro consentite. La resa è molto lontana dal modo di vedere e di vivere di Aliberti, è stanco, questo si, ed ha bisogno di tempo e di spazio per potersi muovere più agevolmente nella preparazione di una difesa attenta e particolareggiata che non può essergli negata. Incominciamo a spegnere i riflettori ed a calare il sipario, diamo tutte le più ampie possibilità non al politico ma “all’uomo Aliberti” che ha tutto il diritto sacrosanto di difendersi con le unghie e con i denti. Su un giornale ho letto le dichiarazioni, avventate e fuori luogo, di alcuni politici scafatesi (Mario Santocchio, Marco Cucurachi e Michele Grimaldi) che sparano su Aliberti come se sparassero sulla Croce Rossa; sono loro che fanno male all’immagine di Scafati perché avrebbero dovuto commentare le dimissioni come un atto volontario e non come uno schiaffo alla città che l’indagato ha cercato ad ogni costo di tutelare appunto con le dimissioni. Sicuramente Pasquale Aliberti ha avuto ed evidenziato tanti difetti, tra i quali gli eccessi politici per la conquista non solo del Comune ma anche della Regione; chi lo conosce, però, non addebita queste ambizioni sconfinate all’arroganza ed alla fame di potere per il potere; lui sindaco e la moglie consigliere regionale. Con molta semplicità descrive questa sua grande passione e la conseguente decisione nel suo libro “Passione e tradimenti” (pag. 160) pubblicato nel novembre 2014 quasi come un momento di presentimento di tutto quello che sarebbe presto accaduto: “Il vaso traboccò quando diedi l’annuncio, nel 2010, dopo aver maturato da solo la decisione e fatto le mie valutazioni, che avremmo fatto le elezioni regionali con Monica candidata. I guai cominciarono a casa, perché dovetti convincere prima lei, la candidata. ‘Hai deciso tutto tu, è un tuo obiettivo non il mio. Se devo essere utilizzata per una questione politica, per una lotta interna al partito, non ne voglio sapere. Non ho l’esperienza per poter fare una battaglia così impegnativa’ … Convincere mia moglie fu difficile. Ragionammo una notte intera senza chiudere occhio e anche il giorno seguente per oramai non riusciva più ad essere serena”. Alla fine vinse Pasquale, non poteva sciupare un consenso elettorale che andava, invece, capitalizzato contro il potere di Cirielli e per identificarsi come gli unici in grado di fare una vera battaglia. A volte le immagini dicono molte più cose di quanto possa dire un lungo scritto; ho apprezzato, pertanto, la decisione del quotidiano Il Mattino che martedì 29 novembre ha pubblicato in prima pagina le foto di Gambino e di Aliberti che evidenziando due momenti sicuramente molto diversi mi riportano all’affermazione iniziale contenuta nel titolo: “Aliberti è un colpevole o l’innocente ?”. Ricordo come fosse ieri quando nell’aula bunker di Nocera Inferiore, nel marzo del 2012, fu celebrata la prima udienza del processo “Linea d’ombra” a carico di Alberico Gambino ed altri. Quella mattina il consigliere regionale ed ex sindaco di Pagani fu trascinato in aula in manette, anzi trattandosi di un’aula bunker fu rinchiuso dietro le sbarre nelle apposite gabbie; che scena orrenda per la giustizia. Una collega, tra i tantissimi che seguirono quell’udienza, conoscendo la mia lunga esperienza di cronista giudiziario (probabilmente lei non sapeva neppure perché si trovasse lì) si avvicinò e mi disse: “Aldo, ho letto tutte le carte e Gambino è colpevole”. La guardai un attimo e perplesso le risposi: “Io invece penso di no”. Ho avuto amaramente ragione ma Alberico Gambino dovette sopportare più di un anno di carcerazione preventiva. Non vorrei che accadesse la stessa cosa per Aliberti perché è sempre auspicabile arrivare eventualmente a processo a piede libero. Lo tengano ben presente quei censori che oggi puntano il dito contro Aliberti. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini