SALERNO – E’ inutile insistere !! non lo vogliono prendere e sicuramente non lo prenderanno, almeno per il momento, il vertice del cosiddetto “sistema di potere” che governa Salerno dal 1992 è al sicuro. E’ così, e bisogna farsene una ragione; la magistratura inquirente non riesce ancora a colpire il cuore del sistema che è molto evidente sia nella sua genesi che nella sua espansione e crescita, ma che è quasi impossibile da colpire. Quasi !!, perché c’è sempre un modo per entrare nel sistema, e quel modo è forse anche noto agli inquirenti, anche se per ora non possono o non vogliono infliggere l’affondo finale. Aspettano l’errore decisivo, quasi virale, che probabilmente verrà da qualche costola del vertice del sistema di potere. Vedremo !! Intanto su questa lunga inchiesta incombe di nuovo la cronaca che ci rimanda all’ennesimo rinvio a giudizio del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, con l’accusa di “falso in atto pubblico” (falso ideologico) che è stata estesa ad altri 10 componenti l’ex giunta municipale; con l’accusa di “falso – peculato e truffa” per 9 dirigenti del comune di Salerno e l’aggiunta di 6 imprenditori (tra i quali Mario Del Mese, Enrico e Armando Esposito). Questa diversificazione delle accuse potrebbe indurre gli addetti ai lavori a pensare che, in buona sostanza, nessuno ha voluto raggiungere la verità dei fatti, una verità che invece è sotto gli occhi di tutti; una verità che ho più volte scritto anche nel corso di questa inchiesta e che nessuno ha voluto fare sua, nonostante più di un sostituto procuratore legga costantemente questo giornale online. Ha sicuramente ragione il governatore De Luca quando, dopo la notizia del nuovo rinvio a giudizio, dice: “Sono sereno”; e quando lo stesso umile sindaco Napoli afferma che “Non c’è reato, ci sarà un’altra assoluzione”. Giusto e sacrosanto, ci troviamo difatti di fronte ad un altro processo inutile il cui inizio è previsto per il prossimo 13 marzo 2017, ma solo per la classe politica; perché questa volta a rischiare moltissimo è la fascia di tecnici e dirigenti comunali e i rappresentanti delle imprese rinviati a giudizio. Fa specie pensare che la magistratura era ad un passo dalla svolta decisiva e che ancora una volta ha saputo soltanto imbastire un nuovo processo quasi inutile che farà perdere soldi e tempo alle istituzioni di questo Paese.
Dico questo perché il ragionamento parte da lontano, un ragionamento che è bene storicizzare nell’ambito di questa inchiesta (che si accinge a diventare un libro) sulla situazione politico-imprenditoriale e giudiziaria degli ultimi trent’anni della storia recente della città di Salerno. E’ il caso di ribadire che negli ultimi trent’anni, appunto, abbiamo assistito ad una serie impressionante di “leggi ad personam” (tutte attribuite al ventennio berlusconiano) ma anche di “leggi ad partitum” (tutte da attribuire alla classe politica in generale ed a quella di sinistra in particolare). Non so quanti ricordano che il “governo D’Alema” partorì la Legge n. 4 del 14 gennaio 1999 sulla responsabilità dei “dirigenti pubblici” raccogliendo una serie di decreti legge, di decreti legislativi e di numerose sentenze che avevano palesemente marcato la “responsabilità dei dirigenti pubblici” come alternativa alla responsabilità politica che fino a qualche anno prima aveva consentito l’agevole ingresso della magistratura inquirente nelle pieghe della “pubblica amministrazione (PA)” dove spesso si annidava, e si annida, il malaffare. In pratica la responsabilità dei dirigenti pubblici nella emanazione degli atti operativi (tra cui le gare di appalto) bloccava l’accesso nella P.A. dei sostituti procuratori più propensi ad attaccare la politica ed i politici. In effetti nel ‘99 la sinistra ripeteva quello che aveva già fatto verso la fine degli anni ’80 quando fece passare la norma legislativa seconda la quale tutti i reati per finanziamenti ai partiti resi fino al 1989 (caduta del Muro di Berlino) venivano depenalizzati e trasformati in sanzioni amministrative; la stessa sinistra rimase poi intelligentemente in attesa che gli altri partiti cadessero nella reiterazione dei reati (forti del pensiero che non sarebbe accaduto niente) e spinse con un potente soffio l’arrivo di “tangentopoli” che distrusse tutti i partiti, eccezion fatta per l’allora Partito Comunista Italiano (PCI). Con la legge del 1999 il capolavoro fu completato e tutti quei magistrati che avevano gridato alla “puzza di regime” contro Berlusconi si distrassero e rimasero alla porta della pubblica amministrazione, tranne casi eclatanti ma numerabili sulle dita di una mano. Per concludere questo lungo capoverso va detto che la legge n. 4/99 nel mentre assegnava ai dirigenti pubblici incarichi di primo piano e prebende di nuova grandezza, non li sottraeva al controllo ed all’imposizione da parte della politica; nel senso che la politica si è sempre riservato il diritto delle nomine e del controllo occulto dell’opera dei dirigenti. Ovverossia se un dirigente non risponde agli ordini silenziosi del capo viene rimosso e spesso danneggiato sul piano economico; come dire che molti dirigenti accettano le prebende per servire umilmente i voleri del capo. Punto. In questo caso è brutale rilevarlo ma la legge del ’99 fu fatta soltanto quando l’inganno era già pronto e la sinistra seppe storicamente ribaltare anche il principio del “fatta la legge trovato l’inganno”.
Naturalmente, come già detto, tutto questo non ha impedito ai magistrati più attenti e più investigatori di cercare di entrare anche nelle pieghe del sistema, perché le pieghe ci sono sempre e vanno scoperte attraverso una lettura attenta e meditata dello scorrere degli eventi pubblici che sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dalle piccole cose per finire ai grandi appalti percorrendo la strada dei “grand commis”, cioè quei presunti imprenditori che sanno più di losco che di affari puliti. Per esempio se diamo per scontato che nella vicenda giudiziaria della variante di 8milioni di euro per Piazza della Libertà c’è da una parte la politica con le sue scelte opinabili e con i suoi 11 rinvii a giudizio (De Luca in testa !!) e dall’altra la parte tecnico-dirigenziale che ha seguito – diretto e sottoscritto l’elaborazione progettuale e la fase esecutiva della piazza, ritenendo non possibile un impazzimento generale (con falso, peculato e truffa) di tutti e undici i malcapitati che avrebbero da soli (ed all’oscuro dei politici) abusato del loro incarico per malversare il denaro pubblico, verrebbe almeno da chiedersi se anche in questo caso è esistito e/o esiste un “grand commis” capace di prendere ordini e di riportarli, pari pari, ai tecnici ed ai dirigenti comunali con l’aiuto semmai anche di uno dei sei imprenditori compresi nel rinvio a giudizio. E come scoprire l’esistenza di questo personaggio o di questi due personaggi; innanzitutto incominciando dal fatto che sto affermando la presenza-esistenza di due personaggi (il primo come grand commis e il secondo come la “fabbrica delle false fatture” evidenziata anche dai magistrati Guglielmo Valenti e Antonio Cantarella). Sul punto ho inviato più di una volta chiari e significativi messaggi attraverso questo giornale, ma non sono stato mai ascoltato e neppure convocato per rivelare quel poco che so e che non posso qui rappresentare per nomi e cognomi.
Per maggiore chiarezza riporto qui di seguito quanto scritto in data 29 agosto 2016: “”… Per capire bene il “sistema di potere” che interessa questa inchiesta giornalistica bisogna necessariamente analizzare, per filo e per segno, tutto quello che è avvenuto e sta avvenendo intorno, sopra e sotto la famosa “Piazza della Libertà” tanto cara al governatore Vincenzo De Luca. Se provate a porre ad un qualsiasi funzionario del comune come, quando e perché è stata ideata ed avviata la costruzione di Piazza della Libertà, nessuno vi saprà rispondere, tutti faranno spallucce e solo con lo sguardo indicheranno la vera stanza del potere; naturalmente di questo che è il pensiero comune non esiste la minima traccia che possa assurgere a dignità di prova, nonostante le reiterate, deliberate, apodittiche dichiarazioni della stesso Vincenzo De Luca che dagli schermi di Lira TV non risparmia niente per la sua santificazione dall’alto della sua immensa capacità dialettica e mediatica che ha affascinato, e affascina, decine di migliaia di salernitani. Ma se si esaminano gli atti giudiziari con attenzione si capisce subito che soprattutto per Piazza della Libertà sono uscite allo scoperto tutte le componenti del “sistema di potere”; sulla piazza difatti hanno operato i tre cerchi magici contemporaneamente ed anche singolarmente, quello politico-strutturale, quello operativo e quello occasionale in una fantascientifica esibizione del potere che probabilmente ha perso gli strumenti cautelativi che ha sempre utilizzato in tutte le altre occasioni dei grandi lavori pubblici. I tre cerchi magici concentrici hanno letteralmente, e in più occasioni, scavalcato l’intera macchina comunale che si è spesso relegata a dover ratificare tutto quello che altri decidevano di fare a loro piacimento. Le numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno squarciato i veli del silenzio ed hanno gettato una luce sinistra su tutto il sistema. Nella piazza e sui lavori della piazza, ad esempio, appariva un tecnico esterno, molto noto, che dettava indicazioni e soluzioni senza dare conto a nessuno se non al vero ed unico capo; insomma una specie di “grand commis” che nella veste di manager doveva dar conto sempre e soltanto ad una persona. La magistratura naturalmente non è stata inoperosa e sulla piazza sono state attivate diverse inchieste: pavimentazione, crollo, interramento detriti tossici, variante da 8 milioni di euro, ecc.. Le inchieste, purtroppo, sono state affidate a diversi magistrati che molto spesso non dialogano tra loro anche nel rispetto della rispettiva autonomia e indipendenza; le inchieste sono nate a più riprese in un periodo compreso tra la fine del 2009 e l’inizio del 2011; alcune sono già a processo mentre altre sono tuttora in fase istruttoria; quella relativa alla variante di 8 milioni di euro ha toccato la sponda della conclusione delle indagini con richiesta dei pm Guglielmo Valenti e Antonio Cantarella di arresto per undici personaggi (arresti non concessi dal gip Stefano Berni Canani) e il rinvio a giudizio per tutti i 23 indagati tra i quali l’ex sindaco e attuale governatore Vincenzo De Luca, naturalmente con vari distinguo molto importanti nei capi di imputazione. Questa inchiesta ha dato la stura alla pubblicazione di numerose pagine di intercettazioni che hanno evidenziato “lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale”, anche perché queste sono per davvero le non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà, come giustamente scriveva in una ordinanza del 1992 il gip Mariano De Luca; nel segno che non è cambiato niente. Del resto le stesse intercettazioni appaiono come significativamente illustrative dell’impossibilità della macchina comunale di organizzare, dirigere e disciplinare alcunchè senza dover dar conto alla troika del “cerchio magico operativo” del sistema …””. Non credo che io possa dire più di questo attraverso un giornale e me ne dispiaccio perché se avessi avuto la possibilità di scrivere le stesse cose su un “giornale di carta stampata” forse qualche chiamata dagli inquirenti l’avrei avuta; ma non demordo e vado avanti.
Difatti in data 5 settembre 2016 continuando a descrivere il sistema di potere ho scritto: “”… Ma la vicenda che poteva, forse, sfondare il velo di omertà che copre tutto il sistema, ha avuto degli improvvisi ed imprevedibili cambiamenti fino ad arrivare anche a specifiche diversificazioni delle richieste da parte dei PM inquirenti che hanno privilegiato soltanto la pista amministrativa e non quella politica che, pure, è rimasta e rimarrà imbrigliata nell’eventuale processo per molto tempo. Questa diversificazione delle richieste, a mio avviso, è la chiave di lettura dell’inchiesta che era stata avviata decisamente bene nella ricerca del vero sistema di potere e che si è trasformata, sul finire, in un’accettazione giudiziaria parziale di quel sistema che emerge in tutta la sua chiarezza. Sarà, però, necessario chiarire l’esistenza e il ruolo dei personaggi compresi nel cerchio magico occasionale che puntualmente hanno scavalcato ogni possibilità decisionale e di controllo da parte delle strutture comunali. Una strada diversa, a mio sommesso avviso, non porterà i giudici da nessuna parte, soprattutto non li porterà alla scoperta della verità. La verità si scopre soltanto se le inchieste verranno esaminate e scandagliate tutte insieme; parlo del tesseramento, della piazza, del termovalorizzatore, ecc. ecc. Soltanto così potranno essere capite e chiarite le tante stranezze, le improvvise fortune economiche di qualche tecnico, la presenza di “grand commis” nei cantieri e i fatturati di Mario Del Mese, nell’ottica di verificare se il sistema attuale è riconducibile o è molto simile a quello che diede il via alla tangentopoli nazionale agli inizi degli anni ’90 e che, per gli aspetti salernitani, fu molto eloquente l’allora gip Mariano De Luca che descrisse alla perfezione il degrado in cui erano sprofondate tutte le istituzioni cittadine. Nelle puntate precedenti ho scritto che se si vuole davvero raggiungere la verità bisogna seguire il flusso del denaro a cominciare dagli espropri dei suoli del termovalorizzatore portati a compimento quasi sempre dagli stessi avvocati con pratiche altamente remunerative e molto suggestive dal punto di vista del potere relazionale con i vari sistemi esistenti in città. Capisco anche l’oggettiva difficoltà dei magistrati che nell’esercizio della loro azione penale non trovano neppure una firma riconducibile all’apparato politico ma trovano logicamente le firme dei funzionari che altro non possono fare se non firmare o soccombere. Va anche detto che l’unico caso in cui i magistrati hanno afferrato al volo una firma riconducibile all’apparato politico hanno, con serenità e serietà, messo in piedi un processo che aveva portato alla condanna di De Luca in primo grado con le conseguenze della decadenza da sindaco; condanna poi cancellata dalla Corte di Appello. E pensare che quell’unica firma scaturì dal fatto che De Luca in quel momento non firmava da sindaco ma come commissario di governo per il termovalorizzatore, così come ha firmato sempre da commissario gli espropri …””.
Sugli espropri è tuttora aperta un’altra inchiesta che è nella titolarità del pm Antonio Gambardella il quale avrebbe, caso più unico che raro, la possibilità di mettere a confronto l’una e l’altra inchiesta per una attenta e complessiva lettura.
Ma allora perché se davvero si vuole fare giustizia gli inquirenti non vanno alla ricerca del grand commis e del suo complice, almeno per Piazza della Libertà che è e resta la massima espressione plastica del sistema di potere deluchiano. La risposta, in questo caso, è semplice; a protezione della parte politica è stata costruita una vera e propria barriera invalicabile da parte dello stuolo degli avvocati difensori, alcuni dei quali sono stati o sono i difensori anche dell’altra parte, cioè dei dirigenti e tecnici. La barriera è stata sapientemente costruita anche passando attraverso le altre inchieste come quella fondamentale del termovalorizzatore; difatti fin dalla discussione in appello della sentenza di condanna di Vincenzo De Luca, Alberto Di Lorenzo e Domenico Barletta è stata avviata la nuova strategia difensiva dei due difensori del governatore (Paolo Carbone), e del dirigente generale (Arnaldo Franco) di far passare il principio, riuscendoci, secondo il quale la parte politica fa le sue scelte e lascia carta bianca ai dirigenti-tecnici per la fase di bando pubblico, di progetto e di esecuzione; per il resto secondo l’accusa che ha determinato il rinvio a giudizio dei 25 di Piazza della Libertà la parte politica poteva non sapere.
Ed il gioco è fatto, direbbe qualcuno; no, non è proprio così in quanto tuttora ci sono o ci sarebbero le condizioni per andare avanti senza attardarsi in snervanti ed inutili scontri sulle perizie con botte e risposte tra sostituti procuratori e collegi difensivi davanti al gup Pietro Indinnimeo che, alla fine, ha dovuto accettare la diversificazione delle accuse (tra falso ideologico per i politici, falso-peculato e truffa per i dirigenti – tecnici e imprenditori) decretando verosimilmente il rinvio a giudizio per tutti ma con buona probabilità di sicura assoluzione sicura almeno per gli 11 esponenti della parte politica. L’ho già scritto e detto tantissime volte che a me non piace la cronaca spicciola e non piacciono gli elenchi dei nominativi rinviati a giudizio di cui in questi giorni sono state scritte intere paginate su tutti i giornali; a me piace capire il sistema, soprattutto quello di potere, ma anche prendere parte attiva alla sua conoscenza attraverso il mestiere di giornalista che se è vero che è tenuto a fare la cronaca, è altrettanto vero che deve accompagnare la cronaca con approfondimenti ricostruttivi e chiari riferimenti storici.
E come si fa ad individuare e prendere il “grand commis” ? mi ha chiesto un amico col quale discutevo di questo rinvio a giudizio; anche sul punto è facile rispondere. Partiamo dal principio che esiste sempre un grand commis, esisteva prima della Legge n. 4 del 14 gennaio 1999 ed a maggior ragione esiste adesso. In genere il personaggio politico non si espone mai direttamente ma sceglie una o al massimo due persone di cui fidarsi ed ai quali affidare i suoi ordini e creare tutte le condizioni affinchè i due possano tranquillamente sistemarsi, in forma occulta, tra la fascia del potere di indirizzo politico e la fascia degli esecutori (dirigenti o tecnici pubblici che siano) per ripetere in forma autoreferenziale gli ordini ricevuti. Tutti i dirigenti e/o tecnici pubblici che sottostanno e rimangono in silenzio vengono premiati, chi non ci sta esce dal giro e nel migliore dei casi va via di corsa; e questo è anche accaduto nell’ambito della lunga gestazione ed esecuzione dell’opera più straordinaria d’Europa che è Piazza della Libertà. Sinceramente non so fino a che punto può arrivare un giornalista nell’indicare la strada migliore agli inquirenti anche perché questi ultimi spesso sono sordi e non accettano suggerimenti e visioni diverse della materia in discussione; in passato ci ho comunque provato e racconto brevemente le varie vicende. All’epoca della ricostruzione post sisma dell’80 nella Valle del Sele operavano le Coop Rosse e soprattutto una delle sue consociate, la cooperativa Argenta, che aveva avuto in carico la ricostruzione di Valva. Tutti conoscevano l’eventuale presunto grand commis che rispondeva al nome di Giovanni Donigaglia (meglio conosciuto come “gamba di legno” per via di una sua menomazione fisica) e che il sistema di potere aveva messo al centro tra la politica i tecnici e le imprese; si doveva trovare la prova provata che potesse far risalire gli inquirenti al grand commis; mi accollai il compito di suggerire alla pm inquirente il nome della persona (anello debole !!) che se catturato con una scusa qualsiasi avrebbe verosimilmente svelato il sistema ed avrebbe forse fatto anche il nome di Donigaglia (tuttora ai veryici delle Coop Rosse) che era, comunque, già passato per la segreteria PCI di Via Manzo (accompagnato dal compianto imprenditore Vincenzo Ritonnaro) forse per prendere ordini in merito. La pm non mi ascoltò, il presunto rapporto tra Donigaglia e l’amministrazione comunale di Valva non venne mai sufficientemente esplorato e il processo fini con l’assoluzione per tutti, anche per i tecnici che, allora come ora, erano stati accusati dei reati peggiori che andavano dal falso al peculato passando per la truffa. Ci ho provato anche per la grave vicenda dell’omicidio del sindaco pescatore, Angelo Vassallo, senza risultati apprezzabili; così come ci ho provato nell’inchiesta per il presunto falso tesseramento PD 2012, inchiesta che è tuttora aperta ad ogni soluzione. Ma è bene ribadire che in tutti e tre i casi sono stato chiamato a deporre come persona informata sui fatti dopo che gli inquirenti avevano letto i miei articoli; spero che accada anche questa volta. Nel prossimo capitolo di questa storia cercherò di capire i grovigli dell’appalto di Piazza Cavour che, a suo modo, è la sintesi politica del sistema di potere deluchiano.