Marco Bencivenga
Un docente del Conservatorio SS. Annunziata di Empoli a causa dei comportamenti di un allievo, che costituivano motivo di turbamento e pericolo per le lezioni, per sé e per gli altri, ha chiesto all’istituto scolastico oltre alle dimissioni, l’indennità di preavviso per giusta causa. La questione approda dinanzi al Supremo Collegio, dal momento che il docente rivendica la violazione dell’art. 2087 C.C. che impone al datore di lavoro di adoperare tutte le misure idonee a salvaguardare l’integrità del dipendente, introducendo un dovere che trova fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro e la cui inosservanza, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere con azione risarcitoria (Cass. 7 novembre 2007 n. 23162), ovvero – come nella specie – può connotare le rassegnate dimissioni del requisito della giusta causa. Tuttavia l’Alto Tribunale ha respinto l’istanza e ha osservato che – sebbene una classe di 25-30 alunni di 10-11 anni con alle spalle percorsi scolastici nella scuola elementare assai disomogenei – fosse davvero un «coacervo» di pulsioni pre-adolescenziali che certamente mette a «dura prova», da un punto di vista disciplinare prima ancora che pedagogico, il corpo insegnante, nel «bagaglio professionale» di ciascun docente non possono mancare doti di pazienza e tolleranza, oltre a specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva, essendo, uno dei compiti dell’istituzione scolastica e del suo corpo docente, quello di assicurare, nella prima fase di «approccio» degli alunni alla nuova realtà in cui sono inseriti, oltre agli aspetti strettamente didattici, anche un graduale inserimento ed un crescente conformarsi dei comportamenti agli standard minimi necessari per un proficuo lavoro di apprendimento. Quindi pur rappresentando l’alunno un «caso difficile» La Corte non rileva le violazioni dell’art. 2087cc avanzate dal docente che si era dimesso, perché “la scuola” aveva scelto ed adottato un percorso volto ad integrare l’alunno, anche con l’aiuto di una psicologa. La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la motivazione summenzionata, ribadisce due requisiti che un docente deve avere: tolleranza e pazienza. Inoltre nel caso di alunni “difficili ” è la scuola tutta che deve farsi carico del problema e non solo il singolo insegnante a cui è affidato l’alunno…Quello degli alunni difficili è problema che incombe interamente sulla scuola e sui docenti: parola della Cassazione!
Fermo restando che i giudici ancorano a criteri oggettivi differenti una motivazione del genere, ma…Sono mai entrati in una classe difficile? Hanno mai avuto un confronto con genitori che si atteggiano a sindacalisti o peggio ingiuriano i docenti, quando non li aggrediscono fisicamente, per una nota o una citazione in tribunale? Hanno mai provato a gestire un alunno che non ne vuole sapere niente di studiare, del rispetto delle regole, della convivenza con altri ragazzi?
Tolleranza e pazienza sono doti che gli insegnanti portano con se come bagaglio imprescindibile, il ma viene quando un insegnante è lasciato solo ad affrontare delle situazioni davvero critiche, non credo che il solo intervento di uno psicologo sia sufficiente ad arginare comportamenti violenti, la scuola deve, sicuramente, nella sua interezza farsi carico dei problemi educativi.
Tale questione è un nodo fondamentale per la scuola, e tutti gli attori ne sono responsabili nel bene e nel male.
Un insegnante in difficoltà non può essere lasciato solo e, anche se non conosco appieno la vicenda, mi sembra un po’ poco il solo aiuto di uno psicologo/a. L’aiuto va dato alla famiglia in modo tale che sia in capace di educare i propri figli. Oggi alla scuola si chiede tanto; la modernità comporta sfide innumerevoli; le istanze della società sono molteplici; però non si possono ignorare i problemi che vanno affrontati nella loro globalità.
Su un pre-adolescente problematico vanno convogliate molteplici risorse umane, anche perché il pre-adolescente problematico di oggi sarà un adulto problematico domani! Chi si farà carico di questo problema se oggi si è trovata una soluzione?
Nonostante gli anni passino, e il mondo cambi, il rapporto dei ragazzi con la scuola, e quindi con gli insegnanti,non è affatto cambiato.
Ricordo i miei tempi (insegnante di scuole medie in pensione), in cui si vivevano i medesimi problemi.
Spero, e mi auguro, che la giovane generazione di docenti e educatori, supportata non solo dai consueti strumenti ma anche dai nuovi mezzi didattici, internet ‘in primis’, possa incanalare le inesauribili energie dei ragazzi oltre che nella preparazione scolastica, anche, soprattutto, nella formazione umana.
Va da sè che, oltre che ‘tolleranza e pazienza’, servono educazione e collaborazione da parte delle famiglie!
ci viene chiesto sempre di più in cambio di una minor tutela e considerazione…che amarezza! più pazienti e tolleranti di qst…si muore!!!
Non condivido il dispositivo della Cassazione.
Sentenziare che il tutto incombe sulla scuola è uno pugno in pieno viso alle ultime teorie psicopedagogiche che fanno del binomio scuola-famiglia, un concetto inscindibile.
Significa vedere, voler vedere, il problema risolto senza soluzione: un’aberrazione ideologica.
Purtroppo la società di oggi è sempre piu’ disattenta alle relazioni sociali.
Che dire….Pazienza!!
Sono da 11 anni insegnante precaria nella bergamasca (emigrata qui dalla Sicilia)…in questo lungo periodo di vita vissuta insieme ad alunni di ogni genere, ho coltivato dentro di me delle doti come pazienza e tolleranza che, non sempre, nonostante la retorica e le belle parole dicano appartenere alla figura del buon insegnante riescano sempre a caratterizzarlo. Ho assunto vari ruoli dall’insegnante di classe all’insegnate di sostegno e , proprio in quest’ultimo ho imparato….anzi sto imparando ogni giorno a misurare e temprare me stessa ed il mio modo di essere insegnante in primis!E’ facile dall’esterno giudicare e criticare determinati comportamenti sia dei colleghi che non vivono sulla loro pelle il caso difficili(l’insegnante di classe purtroppo spesso delega tutto al collega di sostegno come se l’alunno fosse di mera pertinenza di quest’ultimo), sia gli alunni che spesso vengono considerati fardello o zavorra da sopportare inesorabilmente.Manca poi l’approccio con una didattica a misura di alunno difficile e non per mancanza di preparazione didattica o pedagogica(sono tantissimi gli insegnanti plurispecilizzati con corsi master etc)…ma per mancanza di sostegno psicologico sul campo da personale esperto che aiuti l’insegnante e non lo faccia sentire solo ed inadeguato!Spesso mi sento dire che l’insegnante non specializzato sul sostegno sia impreparato ad affrontare certi casi…io invece penso che tutta la teoria del mondo non serva a niente senza l’esperienza diretta sul campo!Lo scorso anno ricordo durante un incontro con gli specialisti UONPIA(unità operativa neuro-psichiatrica per infanzia ed adolescenza) per un caso che seguivo….lo psicologo ricordo benissimo mi disse che purtroppo oggi noi insegnanti non abbiamo un appoggio psicologico e siamo in balìa di tutti(colleghi, alunni,genitori …) inoltre spesso dimentichiamo che il caso difficile ha delle “CAUSE PREGRESSE”…l’insegnante può favorire e migliorare i processi d’apprendimento… può creare un ponte una sottile trama tra l’allievo e il suo futuro di uomo e cittadino ma non può mai lenire le ferite che sono presenti nell’animo di quest’ultimo…o meglio non può farlo da solo!Quest’anno seguo un piccolo angelo autistico…un’esperienza dura ed allo stesso tempo unica…un esempio di come spesso certi casi di alunni difficili in questo caso da disturbo specifico…possano mettere alla prova ognuno di noi come persone, genitori ed insegnanti!
Parlo da insegnante e so per esperienza che la pazienza e la tolleranza non bastano quando si ha a che fare con ragazzi problematici.
Viene sempre addossata a noi la responsabilità del cattivo comportamento di un ragazzo in classe.
Ma spesso non è solo e semplicemente una questione banale di disciplina ma di interventi di carattere psicologico che entrino in merito alle motivozioni del comportamento dell’alunno stesso.
Si chiede all’insegnante di essere dispensatore di cultura, psicologo,”genitore di sostegno”, abile incentivatore di capacità multiple e diverse…..ma ci si chiede come si fa a gestire tutto questo con classi numerose, con ragazzi che hanno tutti più o meno normalmente, i problemi naturali dell’adolescenza?
Quante ore dovremmo dedicare agli alunni …una giornata intera’???
Strano che si chiedano qualifiche specifiche agli insegnanti, quando sembra e sottolineo sembra, che gli orientamenti ” dall’alto” vadano tutti contro l’incentivazione della cultura!
Questa sentenza conferma il ruolo assolutamente insignificante della nostra categoria…
Una vicenda emblematica!
La vicenda personale tra un insegnante ed un ragazzo, che si espande sino a coinvolgere istituzioni e soggetti sociali: la solidità della famiglia e la capacità dei genitori di comprendere i loro figli; l’istituzione scolastica con la sua capacità di organizzarsi, con mezzi e metodi, per offrire un servizio che “semplicemente” ha lo scopo di aiutare ogni generazione a succedere alla precedente senza che la società collassi; l’insegnante, educatore, con i suoi limiti umani e professionali e le sue responsabilità; la giustizia, che interviene a tutela del diritto dei singoli, ma delinea anche una condotta sociale a cui richiama soggetti privati ed istituzionali; ed il convitato di pietra, lo Stato, nella sua duplice veste di legislatore e di amministratore.
Mi chiedo se i genitori hanno essi stessi un grado di istruzione che li ponga all’altezza dei problemi che una famiglia comporta. E basta l’istruzione a fare di una donna una madre e di un uomo un padre o non è forse necessario che oltre alla conoscenza la società si organizzi per trasmettere, di generazione in generazione, anche un insieme di valori etici?
Che dire, poi, di un educatore che si arrende e sembra cercare un “Solone” che lo liberi dalle sue sciagure, senza indagare nell’ambito dell’istituzione di cui fa parte l’esistenza di soluzioni?
Siamo tutti educatori e tutti, costantemente, educandi. Perciò, voglio essere tollerante e paziente anche con l’insegnante che, forse, fa un lavoro per il quale non è mai stato adeguato, ma che nessuno gli ha mai impedito di svolgere.
Certo la Cassazione ha evitato un pericoloso precedente. Quanti, in difficoltà nello svolgere il proprio lavoro per le più disparate ragioni, potrebbero sollevarsi da ogni responsabilità accusando il datore di lavoro di non metterlo in condizione di valorizzare la propria professionalità?
Non sono un educatore, almeno non di professione, ma una volta ho avuto a che fare con ragazzi molto difficili.
Svolgevo il servizio civile presso la Sovrintendenza dei beni archeologici nell’area di Paestum.
Facevo parte di un gruppo di obiettori di coscienza, allora era l’unico modo di evitare il servizio militare, che aveva il compito di fare da guida turistica alle scolaresche che venivano in visita presso gli scavi ed il museo.
In quei mesi ne ho visti di ragazzi scolarizzati ed educati, anche liceali, che ci seguivano con ordine senza prestare la minima attenzione a ciò che gli dicevamo; e quanti insegnanti non battere ciglio nell’ascoltare le bestialità che in molti andavamo raccontando, apprese chissà da chi, o spesso addirittura inventate al momento. Già, perchè se qualche studentello, che magari voleva farsi bello con l’insegnante, faceva ad uno di noi una domanda difficile mica ci scoraggiavamo; mica ci appellavamo alla giusta causa. Si trovava sempre una risposta da dare, non necessariamente vera, ma almeno verosimile. La nostra ignoranza era ammantata da un aura di autorevolezza e competenza che ci era data dallo status di guida turistica.
Una volta fummo messi in allerta perchè sarebbe arrivata una visita di un’intera scolaresca proveniente dal rione Sanità di Napoli. Panico!
Quando arrivarono vidi i pullman che sembravano vomitare ragazzini. Gli insegnanti che li accompagnavano (tutti molto giovani: chissè perchè) sembravano domatori perfettamente addomesticati dalle loro bestie. Si rivolsero a noi obiettori chiedendo, più che di svolgere con cura il nostro compito, di fare il giro del museo in fretta ed aiutarli a sorvegliare che qualcuno dei ragazzini non allungasse una mano per portare via qualche souvenir dalle teche. “Sono tutti ragazzi difficili” dicevano, “chi ha la madre che si prostituisce, il padre o il fratello in galera, per furto, droga, omicidio, chi è stato in riformatorio”.
Iniziammo il tour del museo ciascuno col suo gruppo.
Durante il giro, che poi non fu affatto breve, si verificò qualcosa di veramente inatteso ed imprevedibile. Quella marmaglia informe, ma anche un po’ pittoresca per i modi per niente adeguati all’austerità del luogo, seguiva, seppure animatamente, con attenzione e partecipazione ciò che gli veniva esposto a proposito degli antichi greci e romani. Erano curiosi di sapere cosa erano quegli oggetti che non avevano mai conosciuto prima e le storie che li riguardavano: le statue, i vasi (come se ne trovano a dozzine in ogni museo d’Italia), persino le metope ed i triglifi che addobbavano i frontoni dei templi, le tombe etrusche decorate ed la tomba cosidetta del Tuffatore, cose che la maggior parte dei loro coetanei trovavano assolutamente noiose. Chiedevano, e nell’ascoltare la risposta, restavano in silenzio, con gli occhi sbarrati per la meraviglia: tutto il loro corpo era proteso verso chi parlava; e si ammassavano per stare più vicini a noi, ma senza disturbare. Non importava se ciò che gli dicevamo era vero o inventato: loro erano desiderosi di apprendere e noi appagati di raccontare. Durante le tappe del persorso turistico si muovevano in maniera tutt’altro che ordinata, a differenza di tutte le altre scolaresche. Correvano avanti e indietro per gli ampi saloni; si lanciavano in corsa e poi scivolavano sul marmo dei pavimenti. Ma questo apparente caos era in realtà gioco e divertimento. Quella massa, che non era più la marmaglia che era scasa dai pullman, si muoveva come gli elettroni di un atomo: in maniera caotica e imprevedibile, ma senza mai allontanarsi dal nucleo; e si riaggregavano velocemente non appena la loro guida si fermava per raccontargli qualcos’altro.
Quando andarono via ci salutarono e salirono sui pullman con i loro soliti modi inconsueti.
Gli insegnanti ci ringraziarono e ci manifestarono tutto il loro stupore per l’interesse che avevamo suscitato nei ragazzi, meravigliati che quella visita non si fosse conclusa in questura.
Dal canto nostro non avevamo avuto alcun merito: eravamo le stesse persone che avevano portato in giro altre scolaresche ordinate e distratte; avevamo raccontato le stesse storie e mostrato gli stessi vasi e gioielli di ogni forma e colore.
In quella occasione si creò una strana alchimia tra insegnante e discente che non dimenticherò e che mi ha insegnato molto sulla imprevedibilità ed eccezionalità dei rapporti umani.
Tolleranza e pazienza… sono un docente e so che ce ne vogliono. E ce le metto. Vedo i miei colleghi fare altrettanto, quotidianamente. Chi non ha queste virtù, per come funziona oggi, non può mai arrivare in una classe. Eppure so che certe situazioni sono davvero difficili, ben oltre le possibilità di intervento di un insegnante….
Di istruzione e metodi educativi non me ne intendo, ma questa sentenza sembra rispecchiare l’attuale nefasta tendenza delle famiglie a delegare tutto alla scuola: è sempre e solo colpa della scuola……
Neanche io sono esperto di scuole e metodologie didattiche, ma appare chiaro come la tendenza attuale sia quella di dilatare ulteriormente ruoli e responsabilità che dovrebbere espicarsi ed assumersi previa necessaria e stretta collaborazione delle famiglie. Il concetto scuola è forse un pò più ampio di quello che ordinariamente di conosce e si tenta di regolare…