Di Giovanni Falci
SALERNO – Ho letto in questi giorni un articolo di Alberto Cuomo, persona che personalmente stimo moltissimo, nel quale si paragonava De Luca ad uno sceicco e le sue opere alla trasformazione di Salerno in un Emirato.
Il giudizio era negativo e, in un certo senso “statico”.
Io non condivido tale impostazione del ragionamento perché ritengo che sia importante in una società la funzione della individualità.
Nel bene o nel male, per progredire, è necessario un impulso e un desiderio che appartenga a qualche componente di una comunità, ma non a tutti: De Luca ha tale carattere.
Personalmente ritengo che questi uomini come Vincenzo De Luca posseggono una qualità che non mi piacerebbe veder scomparire dal mondo: una qualità di energia e di iniziativa personali, di indipendenza di spirito e di visione immaginativa.
Quello che ha fatto progredire l’umanità nel passato sono stati proprio individui capaci di esercitare un influsso sulle faccende umane con successo.
De Luca, per Salerno, riscatta in un certo senso quella inferiorità della nostra epoca rispetto al passato, inferiorità che deriva inevitabilmente dal fatto che la società è centralizzata e organizzata a tal punto che l’iniziativa individuale è ridotta ad un minimo.
Dove fiorì l’arte in passato?
Essa fiorì, di regola, in mezzo a piccole comunità, che avevano dei rivali tra le comunità vicine, come gli stati cittadini della Grecia, i piccoli principati del Rinascimento, le minuscole corti dei sovrani tedeschi del XVIII secolo; non esiste solo Dubai da prendere come paragone negativo.
De Luca, promuovendo la salernitanità prima e la campania oggi, promuovendo uno spirito di appartenenza regionale, genera un vitale impulso, direi essenziale, alle rivalità locali. Quelle rivalità sane che hanno avuto la loro parte nella costruzione delle cattedrali, perché ogni vescovo ambiva ad avere una cattedrale più bella di quella del vescovo vicino.
Sarebbe cosa ottima se le città potessero sviluppare un orgoglio artistico che De Luca propone, che le inducesse a una rivalità reciproca, e se ciascuna avesse la propria scuola di pittura, non senza un vigoroso disprezzo per la scuola della città vicina.
Purtroppo tali patriottismi locali non fioriscono facilmente in un mondo di vasti imperi e di libera mobilità se non con un risveglio di un sentimento di appartenenza che De Luca riesce ad inculcare perché egli ci crede davvero.
L’uomo di Caserta non è facilmente portato a sentire nei riguardi dell’uomo di Salerno, quello che sentiva l’uomo di Atene per quello di Corinto, o il fiorentino per il veneziano.
Nonostante tutte le difficoltà De Luca affronta, nella sua opera di amministratore, questo problema di dare importanza alla singola località e per tale via riesce ad entusiasmare e a far apparire la vita umana meno grigia, insulsa e monotona.
La critica mossa a De Luca molto spesso è fatta da gente che sa troppo ma sente troppo poco.
Quanto meno sente in misura troppo modesta quelle emozioni creative da cui ha origine il meglio della vita.
Troppo spesso chi critica De Luca ha nei riguardi delle cose importanti un atteggiamento passivo; sono attivi sempre quando si tratta di cose irrilevanti.
De Luca mi ha convinto che bisogna trovare il modo di ripristinare l’iniziativa individuale non solo nelle cose che sono insignificanti, ma nelle cose che hanno una importanza reale.
Quello che fa De Luca per la Campania può essere pericoloso, ma si tratta di un concetto di pericolo ben rappresentato da un indiano Crow intervistato dal Dott. Lowrie in una riserva dove era stato confinato.
Alla domanda se “preferiva continuare ad avere la sicurezza che ha oggi o il pericolo che aveva un tempo”, la sua risposta fu: “il pericolo come un tempo. Era un pericolo glorioso”.
De Luca opera con passione, con competizione; al suo interno si legge quel “selvaggio” che si nasconde in ognuno di noi e che riesce a trovare uno sfogo non incompatibile con la vita civile e con la felicità del suo prossimo, egualmente “selvaggio”