Miriam Cusati
ROMA – Il prossimo 10 luglio si celebra la cosiddetta “Domenica del Mare“, un evento annuale in occasione del quale il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti desidera che la comunità cristiana e la società in generale riconosca il contributo del “popolo del mare” a rendere la nostra vita più comoda, e per questo vengano ringrati del loro lavoro e del loro sacrificio.
In effetti, la “Domenica del Mare” è una festa speciale organizzata dalla Chiesa cattolica per ricordare coloro che lavorano per mare e per pregare per loro e per le loro famiglie. Questa giornata è stata istituita nel 1975 quando l’Apostolato del Mare, la Missione dei marinai e la Società dei marinai hanno deciso di creare un giorno per riconoscere il contributo di questi lavoratori per l’economia globale.
Va sottolineato peraltro anche l’importanza ecumenica di questa celebrazione dal momento che in molti porti le attività di sensibilizzazione riguardo la situazione umana di questi lavoratori sono condotte assieme alle altre confessioni cristiane, testimoniando così unità di intenti e cooperazione nella tutela dei diritti di queste persone.
Nel messaggio di quest’anno, firmato dal cardinale Antonio Maria Vegliò, e monsignor Joseph Kalathiparambil, rispettivamente Presidente e Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, si legge che quando siamo “seduti comodamente sul divano delle nostre case, abbiamo difficoltà a comprendere fino a che punto la nostra vita quotidiana dipenda dall’industria marittima e dal mare“. Infatti, come spiega il testo, “se guardiamo attorno a noi là dove viviamo e lavoriamo, possiamo renderci conto che la maggior parte del materiale informatico e dei mobili che utilizziamo sono stati trasportati per nave, che i nostri vestiti sono stati spediti in container dall’altro capo del mondo e che la frutta che mangiamo è stata consegnata da navi frigo provenienti da un altro Paese, mentre delle petroliere trasportano la benzina per le nostre macchine e il petrolio“.
Non solo, il testo sottolinea anche l’importanza delle popolo del mare, non solo quello militare ma anche quello civile, “nel corso della recente situazione d’urgenza umanitaria nel Mar Mediterraneo“, laddove più di una volta “alcuni equipaggi di navi mercantili sono stati in prima linea per intervenire e soccorrere migliaia di persone che cercavano di arrivare in Europa a bordo di imbarcazioni o gommoni stipati all’inverosimile e non in condizioni di navigare”.
A fare da contraltare al grande contributo di questi lavoratori per l’economia globale e al loro grande sacrificio, però, purtroppo troviamo situazioni difficili e dimenticate da tutti: spesso e volentieri i contratti di lavoro “li costringono ad essere lontani dalla famiglia e dagli amici per diversi mesi e, spesso, per anni di fila”. In questo modo “i figli crescono senza una figura paterna mentre tutte le responsabilità familiari ricadono sulle spalle della madre – afferma il documento – La dignità umana e professionale dei marittimi è minacciata quando sono sfruttati a motivo delle lunghe ore di lavoro e del fatto che la corresponsione dei loro salari viene ritardata di mesi o, nel caso di abbandono, quando non sono pagati affatto”.
Da qui l’invito rivolto a tutti i cristiani “ad essere voce dei lavoratori che vivono lontani dai loro cari ed affrontano situazioni di pericolo e difficoltà“, ponendosi “a fianco dei marittimi per ripetere che i loro diritti umani e professionali devono essere rispettati e protetti”.