Da Nicola De Rossi
SALERNO – Secondo la Procura, guidava con un tasso alcolemico di gran lunga superiore al limite, è uscito di strada, ha ucciso l’amicoche viaggiava con lui e ha avuto anche l’ardire di scaricargli le responsabilità del sinistro, spostandone il corpo e sostenendo che al volante c’era lui. Una menzogna senza scrupoli che però non ha ingannato gli inquirenti e che si è presto sgretolata di fronte alle testimonianze e ai riscontri tecnici.
Dopo una scrupolosa istruttoria sul caso, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Salerno, dott.ssa Elisabetta Boccassini, lo scorso 18 maggio ha disposto il rinvio a giudizio di Francesco Gennaro Russoper il reato di omicidio colposo, “perché – recita il provvedimento – alla guida del veicolo Smart forTwo di proprietà di Fabrizio Di Luccio, ponendo in essere una condotta produttiva dell’evento per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché inosservanza del Codice della strada – e segnatamente per violazione degli artt. 141, 142, 143 e 186 del Codice della Strada -, concretatasi nel viaggiare a velocità non consona, alle condizioni di fatto, ambientali e meteorologiche e di scarsa visibilità, ed in stato di ebbrezza alcolica, cagionava la morte di Fabrizio Di Luccio…”. E ha fissato per domani, mercoledì 29 giugno 2016, alle ore 9, innanzi alla seconda sezione penale del Tribunale di Salerno, giudice monocratico dott. Mariano Sorrentino, l’udienza di comparizione. Inizia dunque un processo dal quale si aspettano finalmente verità e giustizia i familiari della vittima, che si sono rivolti e sono assistiti da Studio 3A, la società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità civili e penali, a tutela dei diritti dei cittadini.
La tragedia risale al 13 aprile 2014 e ha avuto vasta eco in tutto il Salernitano, anche per il successivo tentativo di depistaggio da parte dell’imputato. Sono all’incirca le 5 del mattino e la Smart condotta dall’allora 26enne (oggi 28enne) Francesco Gennaro Russo, di Albanella, e con a bordo sul sedile del passeggero il 27enne Fabrizio Di Luccio, residente a Capaccio, sta percorrendo la Sp 175/A, in località Campolongo della Marina di Eboli. Russo procede a forte velocità e, per di più, sta guidando in stato di ubriachezza: agli esami a cui sarà poi sottoposto all’ospedale di Eboli, dove verrà trasportato in codice giallo, risulterà positivo, con un livello di alcool nel sangue di 1,36 g/l, nettamente superiore ai valori di legge. Sta di fatto che all’improvviso, all’altezza del civico 86, la piccola utilitaria esce di strada autonomamente, si ribalta e dopo varie carambole finisce “infilzata” contro il parapetto laterale in legno che protegge un percorso pedonale e di cui due staccionate penetrano come lame nell’abitacolo: sull’asfalto, reso viscido dalla pioggia, nessuna traccia di frenata. L’urto è terribile e non lascia scampo al povero Di Luccio, mentre Russo se la cava per miracolo e, dopo qualche attimo di sbandamento e dopo aver chiamato invano l’amico, comprendendo che era deceduto sul colpo, con estrema lucidità architetta un piano (quasi) perfetto per scapolarla e, anzi, per passare dalla parte della vittima, sempre secondo le risultanze delle indagini. Trascina fuori dalla macchina il corpo di Di Luccio per non farlo trovare sul sedile del passeggero, e, sfruttando il fatto che la vettura è dell’amico, ai primi automobilisti che si fermano a prestare soccorso comincerà a dire: “Era lui, era lui che guidava” e continuerà a sostenere la tesi di essere stato il passeggero e non il conducente di quel veicolo, anche nelle dichiarazioni rese alle autorità intervenute a rilevare l’incidente.
Ma ai carabinieri di Santa Cecilia di Eboli, che procedono, i conti non tornano fin da subito, anche perché le due staccionate conficcatesi nel veicolo, e che hanno provocato lesioni letali alla vittima, sono penetrate nella portiera destra della Smart. Già due giorni dopo il sinistro, il comandante della locale stazione dell’Arma, nel suo rapporto alla Procura di Salerno, scriveva: “il veicolo, dai danni riportati, è stato sobbalzato dalla sede stradale e si è arrotolato su se stesso, tanto che il tetto è completamente frantumato, lesionato e abraso, e la ferita evidente al braccio destro del Di Luccio non può di certo ricondursi a un fatto occasionale o a quel moto che prendeva il mezzo, bensì alla perforazione e alla lacerazione di una trave in legno che violentemente forava e attraversava sia la carrozzeria sia il sedile sul lato destro del passeggero. Quindi, è da ritenersi che Di Luccio era al lato passeggero e non al posto di guida di quel veicolo, rimasto integro e sano. A ciò, ulteriormente, si evidenziano gli urti riportati dal parabrezza contro cui il passeggero urtava violentemente e necessariamente con il capo”: la vittima, infatti, ha riportato anche la frattura della base cranica.
Decisiva, inoltre, la testimonianza di un residente corso fuori di casa al gran botto, il quale ha dichiarato chiaramente di aver visto Russo “prima scendere dal lato guida (…) e poi cercare di tirare fuori l’altro ragazzo, quello che poi è morto, dal lato dov’era sceso, e di coprire con una sciarpa il buco che aveva sul braccio, da cui usciva molto sangue”.
Sulla base di questi riscontri, Russo è stato quindi indagato, ma ora è scattato anche il rinvio a giudizio, “rilevato che le fonti di prova acquisite appaiono idonee a sostenere l’accusa in giudizio” scrive il Gup.
“Quello che hanno dovuto sopportare in questi due anni i nostri assistiti è terribile – afferma il Presidente di Studio 3A, dott.Ermes Trovò – Non bastava la perdita del loro ragazzo a soli 27 anni: hanno dovuto subire anche la profonda amarezza che gli sia stata addossata la colpa dell’accaduto.Il vero e unico responsabile dell’incidente non solo non ha nemmeno chiesto scusa, ma ha avuto anche il coraggio di scaricare la responsabilità sull’amico che ha ucciso con la sua condotta omicida: oggi il caso rientrerebbe appieno nelle fattispecie dell’omicidio stradale. Studio 3A con il proprio servizio legale farà di tutto perché venga finalmente riconosciuta anche al punto di vista giudiziario la reale dinamica dei fatti, venga restituita senz’ombra di dubbio la dignità di vittima innocente a Fabrizio e perché la famiglia abbia giustizia e il responsabile paghi in modo esemplare per ciò che ha commesso”.