SALERNO – Poco più di due anni fa, esattamente il 3 maggio del 2014, nella zona di Tor di Quinto a Roma, prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, veniva aggredito e gravemente ferito Ciro Esposito giovane tifoso del Napoli. Daniele De Santis, 48 anni, aggressore, veniva presto identificato ed arrestato mentre Ciro moriva nell’ospedale Gemelli di Roma cinquantatre giorni dopo l’aggressione, il 25 giugno 2014. In questi giorni Daniele De Santis è stato condannato, in primo grado, a 26 anni di carcere mentre i due pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio avevano richiesto, addirittura, l’ergastolo. Ma non è della sentenza o della sua complessa emanazione che voglio parlare; per la sentenza della quale conosciamo soltanto il dispositivo bisognerà attendere necessariamente le motivazioni per azzardare qualche giudizio, anche sulle possibilità che regga in appello. Intendo parlare della figura di una mamma, della mamma di Ciro Esposito, Antonella Leardi, che ha sofferto e pianto, che ha sperato fino all’ultimo, che si è chiusa nel dolore dopo la morte del figlio e che all’improvviso è esplosa con la pubblicazione del libro “Ciro vive” (avvenuta a Roma alla presenza del presidente del Coni Giovanni Malagò). Era il 1° aprile 2015, non era passato neanche un anno dalla morte del figlio che già l’impietosità delle immagini di quella solenne cerimonia ci rimandarono una Antonella Leardi completamente diversa da come l’avevamo conosciuta durante i lunghi giorni della tragedia. In una decina di mesi si era passati da una casalinga, con tanto di grembiule, dedita alle faccende domestiche per gran parte dei suoi giorni, ad una donna pimpante e irrefrenabile, piena di vita, esuberante e culturalmente sempre più attrezzata. Le conferenze stampa, gli inviti nelle trasmissioni televisive, i riconoscimenti ufficiali avevano praticamente trasformato una donna modesta, piuttosto belloccia ma dimessa nell’abbigliamento e nella proposizione verso il mondo esterno, in una donna in carriera, tenace e volitiva ed anche capace di parlare di giustizia dimostrando una conoscenza fuori dal comune dei vari passaggi procedurali e processuali. Tanto che oggi parla diffusamente di “bilanciamento tra attenuanti generiche ed aggravanti specifiche” oppure di “impianto accusatorio che ha retto” utilizzando una terminologia non comune ma propria degli addetti ai lavori come possono essere magistrati, avvocati o giornalisti. Oggi scrive diffusamente a tutte le Autorità, visita i carcerati, inaugura sedi istituzionali ed anche private, presenzia ad importanti manifestazioni sportive e si accompagna a politici importanti da Vincenzo De Luca a Matteo Renzi. Una mutazione quasi genetica, per dirla grossa, che ha investito non so quanto casualmente una mamma e una donna che, seppure ancora alquanto giovane, si stava avviando lentamente lungo i sentieri della maturità, dell’anzianità e della futura vecchiaia. Ora tutto è cambiato; il marito l’accompagna sempre ma è rimasto parecchio indietro rispetto alla moglie che marcia spedita verso nuovi inimmaginabili successi. Su di lei ne sono state dette di cotte e di crude; qualche scellerato le ha buttato in faccia anche uno squallido striscione all’Olimpico che fa ancora rabbrividire tanta era la durezza della frase che appariva più come una contumelia che una contrapposizione tra due tifoserie. Ma Antonella, ormai padrona assoluta del suo ruolo, ha saputo superare anche quella difficile prova ed oggi con la sua associazione nazionale parla di perdono dell’assassino di suo figlio e programma attività in favore dei giovani per spiegare loro che lo sport è aggregazione e non feroce contrapposizione. Ha ottenuto dei locali nell’ottava municipalità dal Comune di Napoli e la sede sarà pronta fra qualche settimana, forse giusto in tempo per commemorare la ricorrenza dei due anni dalla morte dell’adorato figlio che fin da bambino amava il Napoli e sperava nelle imprese sportive dei suoi idoli calciatori. Oggi da “donna – donna” riesce anche a dire che non è né soddisfatta e né contenta della sentenza di primo grado in quanto lei, Antonella Leardi, ha già perdonato l’assassino di suo figlio fin dal 4 maggio 2014, il giorno successivo alla violenta ed immotivata aggressione. Ora Antonella è una donna completa, bella, elegante, comunicatrice ed affabulatrice; certo, le manca sicuramente il figlio, ma la vita continua ed è giusto che la si viva, fino in fondo, secondo lo spirito che viene dall’interno.
direttore: Aldo Bianchini