SALERNO – E’ decadenza da basso impero, squallida e, forse, irreversibile. Sembra che all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona (meglio nota come l’ospedale di San Leonardo) non ci siano regole certe e non si capisca più nulla pur in presenza di centinaia e centinaia di lavoratori (dirigenti, medici, paramedici, inservienti, ecc.) che con grande abnegazione dedicano la loro esistenza alla cura del prossimo. I commissari vanno e vengono, le interferenze politiche aumentano, le collusioni affaristiche la fanno da padrone e il “grande risolutore” (il kaimano !!) tarda ad intervenire per risanare la situazione. Eppure lo aveva strapromesso in campagna elettorale ma ormai da circa undici mesi è governatore ma la situazione ristagna sempre nelle stesse paludi di prima. Anzi, per certi versi, sembra essere peggiorata e ritornata ai tempi in cui per ordine di un primario (che pure aveva nobilitato e rivalutato l’ospedale) in una sala operatoria dell’ortopedia fu operato il suo cane pastore tedesco; ci fu una piccola sommossa ma la cosa gravissima venne subito occultata grazie alla forte (nel fisico !!) e potente (nella voce !!) capo-sala dell’epoca. Insomma, come dire, c’è sempre una caposala in mezzo quando c’è qualcosa che non va per il verso giusto. Sicuramente è così perché in pectore ogni caposala dovrebbe raccogliere la fiducia estrema di primari e medici che a volte mollano totalmente le redini del comando perché fa loro comodo ed anche perché possono facilmente occultare le proprie responsabilità dietro queste figure che nell’immaginario collettivo rappresentano l’ospedale e la sanità pubblica. Figure che riescono spesso a baipassare quelle dei medici e dei primari perché poco inclini ad occuparsi di turni, di sostituzioni, di approvvigionamento medicinali, di verifica delle sale operatorie e assolutamente indisposti contro le pratiche amministrative che la legge li obbliga a redigere, a cominciare dai referti di pronto soccorso che quasi sempre vengono affidati agli infermieri. Tutto viene delegato alla caposala, un aspetto che fa certamente comodo e non soltanto per baipassare tutti i compiti propri dell’essere medico o primario, soprattutto primario; e la caposala acquista un immenso potere nel quale non lesina di sguazzare, in tutti i sensi. Ovviamente non mi riferisco minimamente alla caposala Annarita Iannicelli verso la quale faccio salvo ogni titolo e qualità professionali nell’attesa delle determinazioni giudiziarie; dico questo perché fortunatamente non tutte le caposala sono come quella che assecondò il volere del primario (anche per ragioni di rapporti interpersonali che non mancano mai !!) e fece operare il cane (un pastore tedesco !!) in una sala operatoria del Ruggi. Meno male che oggi invece di operare i cani si consente soltanto a chi è in pensione di rientrare nel giro operativo frequentando le sale ed usufruendo delle stesse per scopi professionali che non rientrano nell’organizzazione aziendale. In uno degli ultimi articoli dicevo che pur avendo deciso di attendere prima di scrivere sull’eclatante arresto del primario di neurochirurgia Luciano Brigante avevo rotto gli indugi per una serie di motivi. Il primo fra questi è il fatto che il caso è seguito da tantissimi lettori e non a caso il mio articolo del 25 marzo 2015 dal titolo “Takanori Fukushima: il grande neurochirurgo a Salerno grazie a Luciano Brigante … quando la classe non è acqua” è stato riletto da centinaia di attenti frequentatori di questo giornale online. Questa massiccia rilettura mi ha indotto ad intervenire prima sull’intricata e inquietante vicenda. Più di una volta, l’anno scorso, sono intervenuto con i miei scritti che hanno sempre avuto una importante massa di lettori e già l’anno scorso, assumendo in parte le difese del noto neurochirurgo precisavo alcune cose importanti: innanzitutto di non conoscere e di non aver mai incontrato Brigante ma di aver avuto, però, una strana sensazione quando all’epoca del mio primo articolo (quello del 25 marzo 2015 sopra citato), trovandomi ricoverato nella cardiochirurgia del Ruggi ebbi modo di avvertire alcune strane sensazioni; e dire che lo scandalo non era ancora scoppiato e con il mio primo articolo parlavo soltanto dell’indubbio successo professionale sia di Brigante che di Fukushima. Ecco cosa scrivevo in proposito il 19 maggio 2015, all’indomani dello scoppio dello scandalo che a distanza di undici mesi sembra aver travolto il neurochirurgo salernitano: “Anche questa volta la stampa salernitana ha toppato privilegiando la “notizia scandalosa” al meditato e sereno “approfondimento” partendo dalle eccellenti qualità professionali dei protagonisti chiamati forzatamente in causa sul proscenio dell’ennesimo presunto scandalo della sanità pubblica. E’ vero che i giornali hanno seguito deontologicamente il percorso migliore costituito dalla notizia e dalla dichiarazione degli o dell’interessato; ma rimaniamo, purtroppo, sempre nell’ambito dell’etica scolastica del giornalismo che è assolutamente lontana dal giornalismo d’inchiesta che anche il lettore medio esige. La notizia del presunto scandalo, abilmente scovata dalle colleghe Clemy de Maio e Monica Trotta de “La Città”, ha avuto un merito perché contrariamente alle altre volte è rimbalzata anche sugli altri giornali più per convenienza economica che per mero esercizio del diritto-dovere di cronaca ovvero di dare la notizia. Ognuno la pensi come vuole ma tutti i giornali che in questi giorni hanno strombazzato la notizia dell’apertura di un’inchiesta giudiziaria a carico di quattro valenti professionisti (Luciano Brigante, Renato Saponiero, Gaetano Liberti e Takanori Fukushima) non avevano pubblicato neppure un rigo dell’importante intervento chirurgico che il primario salernitano Brigante e l’illustre neurochirurgo giapponese Fukushima avevano effettuato nel marzo scorso proprio nell’ambito della AOU dando lustro all’intera azienda ospedaliera universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona. In quei giorni, per altri motivi, io ero ricoverato in altro reparto della AOU e mi meravigliai che alla mia richiesta di convalida della notizia importante alcuni direttori di dipartimento, amici, glissavano come se la notizia non li riguardasse neppure indirettamente. C’è dunque qualcosa che non funziona nella sanità pubblica, e non funziona soprattutto tra gli stessi professionisti che operano quotidianamente scontrandosi tra invidie, ripicche e vendette trasversali”. Da quest’ultima considerazione continuerò a scrivere sulla vicenda senza alcuna velleità difensiva di ciò che all’apparenza, ma soltanto all’apparenza, è indifendibile. Qui non è in gioco una carriera o le fortune economiche di un individuo, qui è in gioco la vita delle persone che viene sempre al di sopra di tutto e di tutti.
direttore: Aldo Bianchini