SALERNO – Ci sono oltre 200 occasioni nel Decreto Lorenzin per accanirsi contro i medici di famiglia. Una black liste su prescrizioni diagnostiche, che ha generato conflitti , confusione , difetti interpretativi da parte di medici, Aziende Sanitarie e Regioni e infine un forte contenzioso amministrativo e giuridico. Sono trabocchetti, balzelli, regole. Si chiamano note, ticket, ricetta dematerializzata, risonanza magnetica o tac. Una serie di paletti difficilmente comprensibili e nei quali squadrare il comportamento prescrittivo dei medici. La Ministra di fronte alla levata di scudi della categoria, per la prima volte tutta unita, rilascia una dichiarazione nella quale afferma di non essere intimidita dagli scioperi perché l’obiettivo del Decreto è quello di evitare gli sprechi e migliorare l’accesso alle cure. Il decreto, a suo giudizio, permette uno snellimento delle liste di attesa ed è un modo per scoraggiare coloro che speculano sulla sanità e sui pazienti facendo “imbroglietti”. Una dichiarazione fuori luogo con il dito puntato sulla categoria sospettata di un dissesto sanitario fatto di piccole polpette, cene a lume di farmaci e sbornie vinicole. Una riesumazione di luoghi comuni, accuse altisonanti, demagogia, narrazioni da corridoio che non ci saremmo aspettati. Le parole adoperate in questo modo sono provo cazioni! Nel caso specifico colpiscono gli operatori sanitari e con essi l’impalcatura della medicina pubblica quella capace di dare salute e sicurezza a costi estremamente contenuti e che, in casi deprecabili, si accontenta di “imbroglietti” non di grandi imbroglioni prestati dalla politica alla sanità e da passare alla storia o nei guiness dei primati. Forse è di moda un ulteriore scalino sociale al vertice del quale è incoronata una classe superiore di veri imbroglioni e una sottostante di ruba galline che si dovrebbero vergognare per l’atto in sé e per la pochezza del bottino. Dibattiti, confronti, scioperi, tutto è accaduto ed accade in un clima sbagliato nell’ onda lunga di una generale litigiosità che non ha risparmiato nessuno. La prudenza, una virtù praticata da pochi, chiede rispetto tra le parti e che decisioni tanto importanti per la ricaduta sociale scaturiscano da un confronto su cosa sia bene fare nell’ interesse generale.
Gli scioperi…gli scioperi sono l’evidenza di uno stato di estesa sofferenza e non nolontà di collaborazione. Li avremmo evitati volentieri proiettando all’esterno l’ immagine rassicurante di un accordo raggiunto. Lo sciopero non è una matassa ma la partecipazione di singole persone con un vissuto alle spalle; i numeri della partecipazione sono un’ ulteriore testimonianza di credibilità. E’ da superare il sospetto che attraverso lo sciopero ci sia il tentativo di uno scontro di convenienze. I medici vivono sulla loro pelle i dolorosi chiaroscuri che caratterizzano la realtà e i tempi. Atten dono riforme serie, un giusto decreto perché diversamente nessuno può soprav vivere in una crisi così complessa e imprevedibile. La sanità non è una questione di viabilità, di multe per divieti di sosta ma una ragione di sopravvivenza, qualità e servizi per la vita. Il medico vive un processo di spersonalizzazione di fronte al labirinto di innovazione informa tica, a una tecnolo gia invasiva e prepo tente che guarda al fonendoscopio come uno strumento del passato e ai cani come una nuova categoria di colleghi ricercatori che con “l’olfatto laureato” faranno la diagnosi di tumore. Il gossip poi modellerà con la plastilina dell’inciucio un paziente ossessionato dalla morte, inquietato dalla salute, erudito dal piccolo schermo dove professori e scienziati, giornalisti e cartomanti psicologi, criminologi e tuttologi si alterneranno con i loro consigli e tutto in servito in salsa di malasanità creando un muro di diffidenza tra medico e paziente.
Clima malsano come il clima nel quale respiriamo, nel quale ci muoviamo, nel quale paghiamo tasse su tasse per una manciata di servizi scadenti. Alla luce di queste considerazioni e di tante altre se decreto è perché non definirlo nella sua composizione con le parti in causa e non come atto unilaterale, coercitivo e minaccioso?. Non ripaga dire tutto e il contrario di tutto e poi giustificarsi nella speranza di essere stati male interpretati e attribuire ad altri le parti controverse. E’ incomprensibile affermare che le Regioni sono responsabili dell’ inclusione nel decreto del capitolo sanzionatorio e osservare esterrefatti come le stesse regioni, per’altro tra le più rappresentative, si siano dissociate in un secondo tempo alla applicazione del Decreto. Fortunatamente qualcuno si è accorto in tempo che non c’è via di uscita se sul tavolo del buonsenso c’è in forma preliminare e non concordata “l’ appropriatezza prescrittiva e il meccanismo sanzionatorio”.Secondo la scienza che studia i comportamenti professionali per modificarli non ci sono evidenze che supportano l’efficacia delle sanzioni economiche per ridurre l’ inappropriatezza prescrittiva. Un correttivo innumerevoli volte sperimen tato con puntuale insuccesso e che ha solo creato mura di diffidenza e contrapposizione. Quale il fine della politica in questo caso? Perché in politica tutto avviene con un obiettivo preciso la cui comprensione a noi semplici mortali sfugge. Quale il fine di questo iniziale spingere arrogante e autoritario per poi ripercorrere a ritroso i propri passi. Durante la grande guerra mondiale del 1915- 18 venivano alzati i ballons d’essais(pallone di prova), un modo per saggiare la reazione delle forze nemiche in campo ma… parliamo di una guerra sporca con morti e feriti. La reazione della classe medica è stata univoca a difesa del Sistema Sanitario Nazionale. La legge 833 del 23 dicembre 1978 che lo istituì fu motivata da un interesse profondo verso la salute e il benessere dei cittadini . Il medico di famiglia era una pietra d’angolo in un sistema sanitario tra i primi al mondo. Oggi c’è il sospetto che questa figura di garante possa perdere identità e ruolo per frantumarsi in un liberalismo speculativo. Ho ascoltato le differenti opinioni dei miei colleghi. Ho rilevato i passaggi essenziali della loro preoccupazione. C’è un diffuso senso di irritazione nel loro parlare corredato da una coreografia di gesti e parole irripetibili. E’ necessario, a questo punto, un antefatto. La medicina generale è diventata il terreno di sperimentazione di un cartello informatico fondato su un flusso di informazioni che siamo costretti a trasmettere e che rende possibile il realizzarsi di banche dati dove tutti siamo depositati e con diversa giustificazione letti. Quali e quanti obblighi, regole, innovazioni sono derivate e il tutto in una manciata di pochi mesi e che hanno condizionato il medico di famiglia con un linguaggio restrittivo, impositivo, sanzionatorio. L’ occhio spione di Holwel come una divinità onnipresente conosce tutto di tutti ed è capace di bacchettare chi non risponde al telecomando o chi esprime incautamente un pensiero trasversale. Una burocrazia asfissiante di decreti, lettere e imposizioni, cambi di marcia, omissis, divieti e contestazioni ha tessuto una ragnatela, un labirinto del quale molto spesso è difficile trovare l’uscita ma al quale molti attribuiscono la causa dello stress quotidiano e i più sfortunati veri e propri accidenti di salute. !”. In tutto questo entra di diritto l’azione dirompente di un giornalismo che non verifica la credibilità della fonte dalla quale attinge le informazioni e prono alle regole dell’audience scrive di malasanità, ipotetiche aggressioni esacerbando gli animi e le attese. Alla luce di tanta tecnologia, di quanti, anche in buona fede, con dovizia di motivazioni ritengono superato il modello medico di famiglia-paziente e orientano se stessi e gli altri verso un rapporto medico-paziente-cliente, alla luce di eventuali incomprensioni e timori e di un percorso antropologico che appare fuori tempo risponde Balint profondo conoscitore del rapporto medico-paziente “Il medico è la prima medicina”. Se le richieste in medicina generale sono il crocevia di eventi di salute, condizioni emozionali, personali, familiari e sociali esiste un medico che non esaurisce l’interesse, semplicemente, in un ruolo tecnico di consulenza, intervento specialistico, in una espressione tecnologico-informatica o nell’abdicare e smistare il paziente. Al contrario, prende in carico l’ assistito applicando principi di bioetica, un insieme di comportamenti favorevoli, interventi terapeutici, rassicurazioni che si traducono per lui in un obbligo diagnostico-terapeutico.
Un dipinto di Francisco Goya, pittore spagnolo, racchiude in maniera semplice ma esplicita il variegato mondo dei diversi obiettivi in campo nella cura dei pazienti. Un Goya per molti aspetti inedito è , nello stesso tempo, autore e interprete di quel momento particolare della vita che appartiene a tutti: il mistero della sofferenza e della morte. Il suo medico Arriete impersona “ la misericordia e caritas” che Paracelso identificava come quarta colonna della medicina. Sostiene Goya sfinito dalla malattia, seduto e privo di forze e avvolgendo il corpo dalle spalle con il braccio gli offre da bere, forse, una salutare medicina. Ma provo a immaginare cosa potrebbe contenere il bicchiere in tempi come i nostri così difficili. Giustificati dalla crisi economica semplicemente dell’acqua come ultimo legame alla vita o addirittura catturato dal pensiero delle possibili sanzioni amministrative una pozione di… veleno perché il costo dei pensionati, il loro fatturato è causa di sanzioni per il medico, aumenta il Pil, le barriere architettoniche, l’assistenza sanitaria e un INPS in mutande. L’attualità del dipinto di Goya sembra animare le diverse figure, leggere nel gesto di Arriete la difesa della vita e, soprattutto, la tutela delle categorie debo li, dei malati terminali. Un interesse che va oltre la deriva economica ma impegna il legi slatore a una appropriata allocazione del le risorse umane. E’ passato del tempo… Un tempo necessario per riflettere che la salute è un diritto, altrettanto lo stato sociale. Nessuno dei due è un pensiero metafisico ma deve confrontarsi con la competenza umana, il contenimento della spesa, l’utilizzo e la distribuzio- ne delle risorse, con la buona regola della farmaco-economia. Come tanti anni fa, in maniera più esplicita e completa, la storia si ripete. Cambiano i personaggi, lo scenario, gli attori, la tipologia e la natura stessa delle patologie. Cambiano i cronisti che la raccontano ma resta inamovibile la principale risorsa
”il medico è la prima medicina” .
La categoria dei medici di famiglia non è più giovane ma è fatta di uomini di forte esperienza e di ottima formazione. Molti sostano nell’ anticamera della pensione e altri alla ricerca delle eventuali agevolazioni per ottenerla e sfuggire, in questo modo, al barnout che compromette la forza . E’ facile capire l’atteggiamento di sospetto di fronte a un ulteriore decreto complesso come un teorema. La maggioranza non lo ha letto per una cronica mancanza di tempo, altri lo ha considerato un libro all’indice perché i decreti, per essere tali, devono confondere e intimorire e per dare potere debbono sviluppare sensi di colpa. Molti si sono affidati a un passa parola che vive dell’esperienza del vicino di casa: una scelta non sempre consigliabile. Altri ancora hanno pensato come insegna la pazienza del popolo napoletano nell’interpretazione del grande Eduardo De Filippo in Napoli milionaria! “add’a passà a nuttata”. Dopo fiumi di parole che avremmo potuto evitare e che hanno avvelenato indistintamente tutti giunge la dichiarazione della Lorenzin”…solo quando il decreto sarà a regime ci sarà un monitoraggio e le eventuali sanzioni saranno oggetto di un futuro accordo in conferenza Stato-Regioni.
“a questa conclusione non ci si poteva pensare prima?”.
Il Decreto titola “Appropriatezza prescrittiva e clinica”. Il Bollettino di Informazione sul farmaco-bimestrale dell’AIFA e del Ministero della Salute (anno XII) sottolinea in maniera controversa e appropriata che “non esiste una definizione precisa di appropriatezza…”. Viviamo in un’ atmosfera di continua ricerca dell’ araba fenice, di quella soluzione che nella vita renderebbe tutti più sereni.
Quale eredità lasceremo a figli e nipoti? E’ l’ inter rogativo che rimbalza su un immaginario tavolo verde. Interroga chi ha puntato esclusivamente sull’ immediato risultato di un Decreto non valutando i costi della sua applica zione in un futuro prossimo.
Racconteranno illusoriamente di liste di attesa, tormentone irrisolvibile, ma sarà il trucco delle tre carte “ carta vince, carta perde” perché la riduzione della spesa, la qualità dell’offerta leggittimerà una riduzione nel numero delle prestazioni e dei servizi e un aumento dei tickets in una realtà di povertà.
L’ Osservatorio civico sul Federalismo in Sanità sottolinea in maniera drammatica che 4,3 milioni di italiani rinunciano alle cure a causa dei ticket. Una grande sofferenza che colpisce, soprattutto, le Regioni di un sud dimenticato e abbandonato nelle mani di poteri illegali. E’ vero la soluzione delle liste d’attesa è prossima e quel che è più triste racchiusa in un articolo pubblicato da Repubblica e a firma di Michele Bocci: Mortalità, impennata misteriosa nel 2015: “Quei 45mila scomparsi come in una guerra”. Aggiunge un aumento dell’11% del numero dei decessi in Italia. Sembra un bollettino di guerra e con la guerra ha numeri comparabili. Si deve tornare indietro nel 1943 e, prima ancora agli anni 1915 e il 1918″. Scrive il professor Gian Carlo Blangiardo. Cosa sta succedendo?. Agenas, l’agenzia sanitaria delle Regioni, ha deciso di avviare un approfondimento.
Molti studiosi con poca convinzione hanno chiama to in causa il calo delle vaccinazioni, l’aumento del numero degli anziani, il caldo dei mesi estivi per’altro un caldo che lo scorso anno non è stato eccessivo. Forse sarebbe bene considerare in tutta la sua estensione il fenomeno e che c’è un timore, sollevato da Neodemos. “che la crisi economica e i tagli al Welfare c’entrino qualcosa. Ci vorranno mesi di studio per capire se davvero tra le cause della “nuova guerra” c’è la povertà. E’ necessario chiedersi quale è la reale consistenza e sostenibilità della sanità pubblica e in che modo valorizzare la credibilità della professione medica. Poiché le risorse variano nel contesto organizzativo, sociale, economico, politico, geografico di conseguenza l’appropriatezza ammi nistrativa è un concetto necessario, dinamico. E’ strettamente condizionata a uno starter di idee e provvedimenti opportunamente calibrato con una capacità di adattarsi seppur entro certi limiti a molteplici condizioni e ottenere un’accensione di energie quanto più veloce e decisa delle coscienze, intelligenze, ruoli e competenze. In Inghilterra 15.000000 di persone soffrono di malattie croniche a lunga degenza. Aumenta l’invecchiamento e la multi morbilità “non diversa la condizione Italia na”. Appropriatezza è dare la cosa giusta al soggetto giusto, nel momento giusto, da parte dell’ope- ratore giusto, nella struttura giusta. Un insieme di azioni favorevoli che comportano benefici e un minor numero di effetti negativi al paziente. Appropriatezza non può essere come affermano in molti il sorriso beffardo dei manager che toglie risorse e servizi. Se così interpretata è un pianto greco, il rischio del clinico che è stato privato dei necessari strumenti per curare i pazienti e del chirurgo al quale è dato in dotazione un bisturi di cartone. La valutazione dell’ appropriatezza tout-cour è figlia di un pensiero paradosso se non tiene in considerazione che esistono fisiologici spazi di dubbio influenzati da zone grigie della ricerca, da aree di malattia e condizioni diverse e dalle aspettative dei cittadini. E’ in questa gola profonda è la sabbia mobile della sovra-diagnosi e del sovra-trattamento che incrementa il contenzioso medico-legale, le prestazioni inappropriate da logiche perverse di incentivazione di aziende e professionisti basate sulla produzione e sul profitto. La medicalizzazione della società, le aspettative della popolazione per una medicina mitica, per una sanità infallibile, il continuo turnover che immette sul mercato false innovazioni, i conflitti d’interesse tra professionisti, le aspettative giudiziarie sono un pattern che contribuisce a incrementare il contenzioso medico legale. E’ condivisa, alla luce della realtà, la necessità di cambiare la visione dell’assistenza sanitaria.
Il medico deve riappropriarsi di un modello decisionale non paternalistico come chiedono in molti puntando su una condivisione con il paziente. La politica non può sperperare a danno dei cittadini il danaro pubblico in mille rivoli, in opere inutili e incompiute, in appalti pilotati, interventi sanitari inefficaci e non appropriati. Non può cedere a privilegi e vantaggi in carriera. Non era scritto tutto questo nel pensiero Ippocratico.
Il bastone e la carota: è un modo per dire che chi di dovere ricorre alternativamente alle buone e alle cattive maniere per ottenere un risultato come si usa fare con gli asini che un po’ vengano allettati dalle carote e un po’ vengono bastonati quando le carote non riescono a vincere la loro cocciutaggine. Fu un termine adoperato da Winston Churcill in due discorsi alla Camera dei Comuni in merito al modo, secondo lui, con il quale andava trattato il popolo italiano. Perché nessuno si offenda e perché gli altri se ne facciano una ragione :l’asino è un animale che vive in regioni quasi ‘impossibili’ dell’ Asia e in Africa Orientale in territori caldissimi e inospitali.Dagli asini africani deriverebbero. i nostri ciuchi animali pazienti e lavoratori silenziosi. Gli uomini e i Re andavano e venivano ma l’asino divenne sapiente e conobbe la vera storia perché era nella grotta di Bethlemme. In mancanza di risorse sono certo che ci penserà lui a risolvere i problemi della sanità con la ‘Pet-teraphy”.