SALERNO – Due ragazzi si fronteggiano, si aggrediscono; poi l’imprevedibile: uno dei due tira fuori una lama ed accoltella il compagno alla gola. Il tutto non è accaduto in un buio vicolo del centro storico, troppo spesso ingiustamente messo all’indice come il luogo della delinquenza e della perdizione; il tutto è accaduto nei corridoi di un istituto scolastico, uno dei più ambiti dagli studenti di tutta Salerno e delle zone limitrofe. Adesso tutti a meravigliarci, tutti a rilasciare ricette incredibili intrise solo di definizioni filosofiche, tutti a scrivere paginate intere sui giornali per esprimere le loro sentenze già definitive come passate in giudicato. Niente di più grottesco e di approssimativo. Anzi per dirla tutta bisogna riprendere una frase storica di Trilussa: “Cusì successe, caro patron Rocco, Che quanno annavi ne le libbrerie Te portavi via n’ libbro c’un baijocco. Mentre mo ce so’ tante porcherie De libri e de giornali che pe n’ sordo Dicono un frego de minchionerie”; e Trilussa non era uno qualsiasi dall’alto della sua arte poetica e giornalistica, non a caso fu padrino del mitico giornalista sportivo Sandro Ciotti. Per capire, dunque, cosa è successo nei corridoi del Genovesi, il prestigioso istituto scolastico salernitano, bisogna ritornare con i piedi per terra e guardare al fattaccio come allo specchio della nostra vita e della nostra storia. No, non sono catastrofico, ho però il senso del mondo che mi circonda che diventa ogni giorno di più pericoloso ed invivibile; ed è chiaro che tutta questo si ripercuote sulle giovani generazioni che in definitiva recepiscono, incolpevolmente, tutto quanto di male c’è e persiste nella società di oggi. Non possiamo, quindi, al Preside, ai docenti e ai bidelli responsabilità che non hanno e dalle quali non dovrebbero essere neppure sfiorati se vogliamo continuare a credere nell’istituzione scolastica; così come non possiamo generalizzare l’accaduto per farlo ricadere su tutti i ragazzi delle giovani generazioni. E allora cosa fare ? Certi accadimenti esigono risposte chiare e concise, non basta la sterile cronaca cui i giornalisti sono abituati a causa dell’assoluta mancanza di una scuola di giornalismo vero; del resto la velocità dell’informazione esige oggi velocità e superficialità, ben sapendo che domani arriva un’altra notizia. Diceva il buon Montanelli : “Non ho potuto sempre dire tutto quello che volevo, ma non ho mai scritto quello che non pensavo“. Ecco basterebbe attenersi a questa storica massima per riuscire a dare risposte concrete alle tante domande della società moderna, soprattutto ai giovani che ne sono gli interpreti principali. L’istituto scolastico Genovesi è, da decenni, l’unico baluardo difensivo e istruttivo in una zona della città che in tantissimi definiscono a rischio e che io, invece, mi affanno a definire soltanto abbandonata a se stessa. E proprio in quella scuola, diversi anni fa, l’allora preside Caterina Cimino fu protagonista “ante litteram” di un esperimento che, probabilmente, all’epoca fece scalpore e, forse, diede anche un certo fastidio. La Cimino avviò, con la collaborazione di alcuni organi d’informazione, un ciclo formativo per giovani studenti a rischio basando l’esperimento su due concetti essenziali: l’indubbio fascino del giornalismo e la composizione eterogena dei gruppi di lavoro. Difatti ogni gruppo contava su una variegata stratificazione di connotazione socio-economica e teneva conto delle origini dei singoli giovani aderenti a tale progetto. All’epoca ero direttore di Quarta Rete Tv ed anche io fui investito dal progetto della Cimino che sicuramente anticipava i tempi; fui un po’ scettico all’inizio, dovetti poi rendermi conto che la scelta era stata concepita in maniera perfetta ed aveva colpito la sensibilità degli studenti che si affannavano dietro una telecamera di studio, una telecamera a spalla o il banco della regia; insomma un progetto lungimirante che aveva come scopo quello di indurre i giovani “a leggere senza leggere” perché il mondo dell’informazione, in genere, rappresenta anche questo in un periodo vedovo della lettura. Ma emerse anche un’altra cosa molto importante. Tra quei ragazzi (una decina tra maschi e femmine) ce n’era uno particolarmente a rischio, e non solo perché il padre entrava e usciva dalla galera; la sorpresa maggiore mi venne proprio da quel ragazzo che manifestava già tutte le prerogative del capo anche nel solo modo di atteggiarsi verso gli altri, quasi come si trovasse in mezzo ad un branco e che risultò, alla fine del corso, il migliore di tutti. Non so se la scelta della Cimino abbia salvato qualcuno, me se abbia salvato quel ragazzo, dalla deriva della malavita, so per certo che il tentativo è stato fatto in assoluta autonomia e con grande capacità professionale nella scelta dei soggetti. Passarono molti mesi e un giorno, mentre mi trovavo in una banca di Pastena mi sentii chiamare da un giovane che mi salutò dicendomi: “Direttore non vi ricordate di me, ho fatto un corso di televisione con voi a Quarta Rete !!”. Si trattava di quel ragazzo maggiormente a rischio che aveva accompagnato il nonno claudicante e con il bastone a fare delle operazioni bancarie. Negli anni successivi, e fino ad oggi, non ho letto mai il nome di quel ragazzo sui giornali di cronaca nera, eppure ripeto che era il rampollo di una delle famiglie più pericolose del centro storico. Ecco, questo bisognerebbe fare sempre e comunque; e solo se non lo hanno fatto di questo devono rispondere il preside, i docenti e i bidelli. Ma la dirigente scolastica Cimino, nata secondo me per fare una buona scuola, non ha finito di stupire ed anche oggi, dopo i fatti del Genovesi (scuola dalla quale purtroppo è andata via), ha subito e per prima aperto la sua attuale scuola (il liceo scientifico Severi) fino a sera perché soltanto così il disagio sociale può essere combattuto e vinto. Tutto il resto, polizia – sorveglianza – sicurezza – paroloni, sono soltanto chiacchiere al vento.
direttore: Aldo Bianchini