Porti: Scontro di campanili, pardon di porti, fra Napoli e Salerno.

                    

di Massimo Calise

NAPOLI – L’intenzione del Governo di riorganizzare le Autorità portuali prevede, per la Campania, l’accorpamento dei porti di Napoli e Salerno sotto un’unica Autorità. Subito è scattata la protesta, Salerno è tappezzata di manifesti che invitano a mobilitarsi contro lo “scippo”.

Ora, senza entrare nel merito specifico, occorre notare come si ripeta la vecchia, purtuttavia sempre viva, logica della difesa del proprio campanile, a prescindere. Occorre ricordare un vecchio ed emblematico detto salernitano “Si Saliern’ tenesse ‘o puort’, Napule foss’ mort’” (se Salerno avesse il porto, Napoli sarebbe morta). Ovviamente Vincenzo De Luca che, come è stato giustamente detto, sembra non voglia dismettere i panni di sindaco di Salerno per indossare quelli di Presidente della Campania; ha fatto sua la difesa dell’autonomia del porto salernitano.

I cittadini, mi riferisco a quelli non accecati dal campanilismo, che vogliono realmente comprendere i termini reali della questione stentano a raccapezzarsi. Tuttavia il comune buon senso dovrebbe far propendere per il principio “l’unione fa la forza”; ma questo principio, storicamente, ha difficoltà ad affermarsi al sud. Ci trasciniamo, acriticamente, con questa visione corta, sia in senso spaziale che temporale; eppure i risultati sono sotto i nostri occhi: non c’è statistica (economica, sociale, culturale) che non denunci il ritardo del meridione. Gli unici beneficiari di tutto ciò sono i notabili politici ed i loro portaborse.

Eppure vi sono le potenzialità per avviare un decisivo sviluppo socio-economico dei nostri territori. Esistono opportunità per risolvere i nostri problemi che non sono colte a causa dei nostri stessi problemi; un circolo vizioso che occorre spezzare. Certo non è facile giacché il problema è soprattutto culturale: i nostri problemi dobbiamo risolverli, innanzitutto, noi. Certo è indispensabile l’intervento del Governo e dell’Europa ma a fronte di una mutata credibilità di uomini e progetti. Numerose sono le vicende che hanno intaccato la nostra credibilità: penso al cattivo o mancato uso dei fondi europei, agli sprechi e ai disservizi della sanità. Penso, ancora, al modo pervicace con cui i politici locali, a differenza dei loro colleghi del centro-nord ignorano colpevolmente le opportunità che possano limitare il loro potere. Solo due esempi. Primo: insieme i porti di Venezia e Trieste si riorganizzano per migliorare la loro competitività. Secondo: i Comuni del centro-nord utilizzano l’istituto (ed i finanziamenti) della fusione prevista dall’articolo15 del D.Lgs n.267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” per affrontare problemi vecchi e nuovi..

Occorrono progetti necessariamente ambiziosi e credibili, che uniscano le istituzioni ed i cittadini anziché dividerli. Quando il possibile complesso è accantonato per il praticabile immediato ad avvantaggiarsi sono coloro che cercano il consenso elettorale ed a perdere sono i cittadini, specialmente i giovani.

One thought on “Porti: Scontro di campanili, pardon di porti, fra Napoli e Salerno.

  1. Col suo intervento – ultimo in ordine di tempo su questo Quotidiano – Massimo Calise prova ad aiutare i cittadini, almeno quelli non affetti da cieco campanilismo, affinché possano ”raccapezzarsi” e comprendere i termini reali della questione che da qualche settimana è venuta alla ribalta con notizie di cronaca e commenti riguardanti il decreto legislativo che disciplina le funzioni e il nuovo assetto territoriale delle Autorità di Sistema Portuale.
    La formulazione di tale dispositivo, già nota agli addetti ai lavori, aveva assunto da tempo e senza troppi clamori il suo aspetto pressoché definitivo con un lavorio lungo e complesso, al fine di trovare un punto di equilibrio e di convergenza partendo da posizioni spesso distanti e per definire, in un’ottica di auspicabile semplificazione, la distribuzione territoriale dei nuovi Enti, i compiti e le attribuzioni dei singoli organismi, gli organigrammi per le funzioni apicali e per quelle intermedie, ecc.
    Ora, si ripropongono tesi e argomenti su posizioni divergenti che vedono allargarsi la platea dei rispettivi sostenitori pro e contro, man mano che il problema acquista maggiore risonanza sugli organi di informazione.
    In tale contesto, l’autore dell’articolo si appella ben a ragione al binomio “unità=forza”, quale fattore determinante per conseguire incrementi di produttività e di competitività delle strutture portuali.
    Tale equazione tuttavia esplica la sua piena validità solo se le parti coinvolte non denunciano debolezze. E onestamente occorre riconoscere che, per un verso (infrastrutture e retroporto) o per un altro (operatività e organizzazione) le due Entità portuali, di cui si sta dibattendo il destino futuro, non sono al momento proprio al top.
    Non credo sia sufficiente l’enunciazione di propositi che finiscono per delineare solo la cornice di un quadro privo di contenuti e cioè progetti concreti che, studiati e valutati in tutte le loro implicazioni, abbiano le carte in regola per ottenere approvazioni dagli organi competenti, finanziamenti adeguati e passaggi alle fasi esecutive.
    Questa dovrebbe essere l’attività preminente a cui dedicare cura e attenzione, anche dietro la spinta dei circoli culturali e dell’informazione che sono più attenti ai problemi dello sviluppo socio-economico delle comunità.
    Se persiste la convinzione sulla incapacità del Sud di saper cogliere le opportunità offerte da provvedimenti legislativi e regolamentari, è necessario impegnarsi per sfatare questo senso di accettazione, supina e rassegnata, e cioè che esistono due diverse Italie al di qua e al di la di Roma.
    Sembrerebbe, al riguardo, calzante il riferimento al D.Lgs n. 267/2000 citato come esempio delle opportunità, subito colte nel centro-nord, per realizzare fusioni di piccoli Comuni limitrofi.
    Tuttavia non deve essere ignorato su questo tema specifico un dato – ricavabile dalle statistiche (ISTAT 1/1/2015) – che ridimensiona quel che può apparire “virtuoso”.
    Dei 4445 Comuni italiani con popolazione inferiore ai 3000 abitanti, il 70 % si trova nell’area centro-settentrionale e solo il restante 30 % nell’area meridionale e insulare. E, nella graduatoria dei 134 comuni con meno di 150 residenti, n.116 – pari all’86,6 % – si trovano del centro-nord e solo gli altri 18 – pari al 13,4 % – nel resto della penisola. Fanalino di coda è il Comune di PEDESINA, in provincia di Sondrio, che conta ben … 36 abitanti!
    Ovviamente, ciascuno di questi insediamenti di persone ha una propria autonomia con i previsti organi di governo locale e le relative strutture: quindi una pletora di amministratori, sicuramente esuberante rispetto alla popolazione, che tuttavia per anni si è opposta – e tuttora persiste – ad ogni forma di accorpamento.
    Se ora da qualche parte si comincia a farne qualcuno, ben venga, ma questo non cancella la pregressa anomala situazione.

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