SALERNO – Continuo a parlare della situazione, ancora avvolta nei dubbi di una fitta coltre di misteri, del porto di Salerno non solo per cercare di snodare l’intricata matassa ma soprattutto perché, lo ripeto, l’azienda porto di Salerno è il “maggiore sistema imprenditoriale e occupazionale” dell’intera provincia di Salerno, e non solo. “Il futuro è già passato e non ce ne siamo nemmeno accorti”, rispose così il grande attore-regista Vittorio Gasman ad un giornalista che gli chiedeva qualche sua impressione sul futuro del cinema italiano. Erano gli anni ’70, e la considerazione molto azzeccata di Gasman andrebbe anche bene oggi nel parlare del porto di Salerno. La sensazione è proprio questa, negli ultimi anni abbiamo accarezzato l’ipotesi divenuta presto convinzione che per l’intera comunità di Salerno e per il porto ci sarebbe stato sicuramente un futuro aperto a grandi prospettive imprenditoriali ed occupazionali. Il sogno è durato poco rispetto alle previsioni che ci eravamo illusi di poter cullare con l’aiuto di tutte le istituzioni in campo. Il sogno è finito purtroppo, ed è finito proprio per la prolungata mancanza dal terreno di gioco (se la vogliamo mettere come in partita) delle istituzioni tradizionalmente legate all’attività portuale di una città capoluogo: Provincia, Comune, Sindacati e Imprenditori portuali. L’unica istituzione che ha combattuto dal primo all’ultimo minuto è stata l’Autorità Portuale (presieduta da Andrea Annunziata) che nel campo di gioco non ha assunto soltanto il ruolo sterile della politica ma si è vestita da centravanti di sfondamento per andare a bucare le reti di tutte le altre attività portuali presenti nel Paese e raggiungendo numeri da primi in classifica sotto tutti i punti di vista. Insomma, come dire, il ruolo recitato dal presidente Annunziata è stato quello giusto essendo riuscito a portare sulla scena un modello lavorativo ed organizzativo che si è rapidamente svincolato dalla politica, senza rinunciare alla politica, nel segno di un obiettivo che ha guardato, da oltre sei anni, soltanto alla crescita dell’intera filiera dell’attività portuale (commerciale, turistica, diportistica) non trascurando nemmeno la “sicurezza” di tutti i lavoratori. Dall’altra parte abbiamo, invece, assistito all’insipienza di una politica poco reattiva alle notizie allarmanti che già da tempo provenivano dai meandri ministeriali; forse perché abbiamo avuto una politica troppo appiattita sul discorso localistico mentre il presidente dell’Autority navigava già “oltre manica” (come si suol dire) allargando il suo sguardo e l’interesse di Salerno verso mete che fino a qualche anno fa erano assolutamente irraggiungibili. Abbiamo avuto una classe imprenditoriale portuale e marittima che, probabilmente, ha pensato per lungo tempo soltanto ad allargare i suoi interessi sull’abbrivio di conquiste facili che la politica troppo localistica ha loro consentito senza un preciso contrappeso progettuale. Una classe imprenditoriale (checché ne dicano Mauro Maccauro, Agostino Gallozzi) che è stata letteralmente alla finestra fino alla fine barcamendosi tra il governatore Caldoro (che loro davano sicuramente per rieletto) e l’aspirante governatore De Luca (che loro davano per sicuramente sconfitto semmai fosse stato presentato) non riuscendo a proporre niente di certo per la risoluzione del problema principale che era quello di sottrarre il porto di Salerno a quello che oggi definiscono, in piena libertà, un progetto scellerato. Ora il principale imprenditore annuncia di volersi trasferire all’estero e denuncia di essere stati lasciati soli (parla anche a nome di eventuali altri imprenditori) contro l’accorpamento dei porti; probabilmente Gallozzi pensa e crede che in questa città non ci sia nessuno (alludo alla stampa) capace di ricordare la storia di quanto accaduto in questi ultimi anni. Abbiamo avuto un sindacato che populisticamente, invece di combattere strenuamente con l’Autority per la realizzazione di quel futuro che avevamo intravisto con certezza, si è messo sempre di traverso con la scusa di difendere i diritti dei lavoratori, come sta facendo in queste ore per il mancato percepimento degli operai di Porta Ovest di un mese e quindici giorni di stipendio che, probabilmente, anticiperà la stessa Autority. Che dire, infine, di Porta Ovest sulla quale il giudizio degli inquirenti sembra essersi impantanato in attesa di chissà quali futuristici miracoli; per quei lavori da mesi c’è tutto, ci sono le perizie, ci sono i permessi, ci sono i soldi, ma i giudici tacciono. Bontà loro, vorrà dire che dopo le fontane che non funzionano, dopo il palazzetto dello sporto fermo, dopo il mostro del Crescent fisso a futura memoria e dopo la stazione marittima che tarda ad arrivare, avremo anche la bella visione di due buchi in una delle montagne più suggestive del “fine costiera”. Avevamo un sogno, ce lo hanno sottratto, resta l’ultima spiaggia costituita dalla conquista della poltrona più alta della nuova Autority unica della Campania, meglio se con lo stesso Annunziata, l’avvertimento per De Luca è chiaro e senza appello. Per concludere è proprio il caso di dire “il futuro è già passato e non ce ne siamo nemmeno accorti”.
direttore: Aldo Bianchini
Forse è venata di eccessivo pessimismo questa nota del direttore Bianchini. Il riferimento ad un futuro già trascorso, senza che nessuno se ne sia accorto, rischia di apparire come una resa a qualcosa di ineluttabile.
Può sembrare una coincidenza, ma la citazione della parte terminale del lungo scritto del dr. Calandriello, riportata nell’odierno Editoriale sulle Banche, sembra – sia pure per un altro contesto – attagliarsi anche al caso della riforma della portualità italiana che, non solo a Salerno, è oggetto di esame e di critiche ma anche di consensi, a seconda dei punti di vista.
Significativo infatti è il richiamo a non sottostare alla “sconfitta della ragione” e quindi a non spingere per “soluzioni sbrigative unilaterali, non mediate” e – direi – anche non meditate.
Il futuro in effetti non lascia tracce di cui potere accorgersi quando, pur intravedendone i possibili scenari, ci si astiene – nel proprio ambito – dall’essere protagonisti dello sviluppo e dal promuovere azioni determinanti ai fini della sua configurazione.
Onestamente, va riconosciuto che a Salerno per tutta l’area portuale e retroportuale – a meno della grossa lacuna su cui da anni vado richiamando la mancanza di attenzione (raccordo ferroviario) – c’è stata a suo tempo la visione di un futuro possibile e ora ne sono comunque visibili le tracce più o meno marcate.
Sia pure a fatica, l’avvio dei lavori riguardanti la Stazione Marittima, i trafori della Porta Ovest, la sistemazione degli insediamenti urbani a coronamento del lungomare, i lavori a mare e in banchina e l’avvicinarsi di tutte queste iniziative alla fase conclusiva, rappresentano il coronamento di azioni avviate in passato e concepite per il futuro.
Ritengo prematuro quindi recriminare perché “un sogno ci è stato sottratto”, così come non è sufficiente riporre ormai residue speranze solo sull’approdo all’ultima spiaggia “costituita dalla conquista della poltrona più alta della nuova Autority”.
Giustamente Seneca sosteneva: “ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est”.
Si sappia cioè a quale meta tendere, altrimenti nessun vento sarà favorevole.
Allorché le tante voci di chi opera in una struttura – pur giustificabili se volte alla difesa di propri interessi – risultano dissonanti e perdono di vista il fine ultimo cui la struttura stessa è votata, allora è come quando ci si accorge che nessun vento, di poppa o al traverso o di bolina, potrà soffiare a favore di una barca che, ancorché dotata di buona velatura, non viene armata con un equipaggio in grado di valutare in mare le attrezzature più idonee da impiegare.
Qualunque sia l’esito finale del decreto di accorpamento dopo l’esame delle Commissioni di Camera e Senato, ritengo quindi altamente improduttiva qualsiasi forma:
– o di arroccamento su posizioni di campanile, poco sostenibili specie se venate da sentimenti di antica rivalità;
– o di supina arrendevolezza a fatti compiuti, per cui si rischia di perdere di vista opportunità di ulteriori crescite conseguibili con successo proprio perché inserite in una realtà organizzativa più complessa nella quale occorre sentirsi parte attiva e con un ruolo incisivo e propositivo, sia per coltivare interessi di carattere locale che per contribuire allo sviluppo sistemico dell’intera struttura.