Aldo Bianchini
SALERNO – Il Canale di Suez, anzi il suo raddoppio, è stato aperto e la frittata è fatta; almeno per l’Italia che, come al solito, si trova in gravissimo ritardo rispetto all’Europa che conta, cioè quella del Nord. Incominciamo col dire che il raddoppio del Canale, udite udite !!, realizzato in un anno (forse in Italia ce ne volevano almeno una cinquantina di anni !!) ha irrobustito in primo luogo il “corridoio marino” tra Suez e Algeciras (primo porto del Mediterraneo) con punto nodale di riferimento l’isola di Malta (porto di Marsaxlokk) per lo smistamento delle merci sulle navi minori. In pratica il corridoio marino “Suez-Algeciras” ha implementato i grandi trasporti con il famoso “gigantismo navale e ferroviario”; enormi navi capaci di contenere migliaia e migliaia di container o treni della lunghezza di 750 metri. Le uniche realtà portuali veramente pronte ad affrontare questa sfida sono Algeciras e Valencia (e in maniera ridotta Barcellona), tutte in Spagna, capaci al momento di accogliere circa 11 milioni di container all’anno, poco meno della metà di tutta la portualità europea. Mentre noi in Italia ci trastulliamo da tempo con le nomine e i commissari delle Autorità Portuali, nel segno di una battaglia politica fuori dal tempo, i porti spagnoli (soprattutto Algeciras) hanno seguito alla perfezione i suggerimenti e/o le direttive del CEF (Connecting Europe Facility), cioè il piano per la realizzazione dei “grandi corridoi europei” ed ha impegnato gran parte delle risorse europee rese disponibili. Strabiliante il “corridoio Algeciras – Lione – nord Europa” con una innovazione ferroviaria ad alta velocità che potrebbe far invidia al mondo intero. Ecco perché le gigantesche navi preferiscono scaricare ad Algeciras dove, tra l’altro, c’è un sistema portuale ed una logistica in grado di competere con tutto il resto del mondo. L’Italia dovrebbe essere interessata da “quattro grandi corridoi” (li descriveremo in un altro articolo), primo fra tutti quello della TAV bloccato da sciocchi ambientalisti e rivoluzionari; degli altri tre bisognerà aspettare qualche anno per la loro progettazione. Mentre da noi si discute ancora di “no Tav”, in Spagna e in Francia si è passati già alla fase operativa con un pernicioso fastidio rappresentato proprio dal nostro Paese che non riesce a stare al passo con i tempi e che costringe gli altri Paesi a rivedere i loro progetti per baipassarci. Per non farla molto lunga, va precisato che se la Spagna e la Francia hanno saputo investire e spendere molto bene i fondi europei del CEF, in Italia brancoliamo ancora nel buio più totale inseguendo strategie di logistica portuale che non hanno né capo e né coda e che, soprattutto, non decollano per via delle nomine politiche dei vertici del potere. Un drammatico scandalo; insomma l’Italia che per secoli ha rappresentato il nodo centrale del Mediterraneo per gli scambi commerciali, in pochi anni ha dilapidato un patrimonio enorme per colpa dell’insipienza della politica. E veniamo al porto di Salerno che è quello che più ci interessa per capire come si collocherà la nostra portualità nell’ambito della nuova realtà portuale dopo l’apertura del raddoppio di Suez. Il grido di allarme lo ha lanciato, già da alcuni anni, il presidente Andrea Annunziata quando in tempi non sospetti annunciava l’imminente apertura di Suez ed anche il raddoppio di Panama e richiamava tutti gli Organi competenti (di ogni ordine grado) a correre ai ripari per fermare la straripante innovazione nei trasporti marittimi dovuta al famoso “corridoio Suez – Algeciras”. Annunziata, probabilmente, non è stato ascoltato da nessuno ed ora le meraviglie di questi ultimi anni della nostra portualità rischiano seriamente di bloccarsi se non proprio di finire. Il porto di Salerno sembra difatti un porto non catalogabile né tra quelli definiti “transhipmernt” e men che meno tra quelli denominati “gateway” per un motivo fondamentale: Salerno non ha centri logistici e collegamenti ferroviari di nuovo standard, ovvero con treni merci lunghi fino a 750 metri (come prima accennato). Dalla constatazione di questa durissima realtà prende rilievo ancora maggiore l’opera riorganizzativa e logistica che il presidente Andrea Annunziata ha cercato di mettere in atto, da qualche anno a questa parte, per salvare il salvabile. Ci sarebbe anche la questione delle ore di viaggio delle navi e dei giorni necessari per liberare le merci, ma anche questo lo vedremo nel prossimo articolo. Addirittura il nostro porto con i suoi 263mila container all’anno non sfigura rispetto al grande porto di Napoli che ne può vantare soltanto 477mila; ma a Napoli, si sa, le battaglie politiche sono ancora più mostruose rispetto al resto del Paese, figurarsi di fronte a Salerno che (grazie anche a Vincenzo De Luca) da anni è riuscita a frenare impennate di potere personalistico. Rimane, comunque, la dura realtà di un porto piccolo e costretto contro le montagne e senza alcuna possibilità di sviluppo logistico se non verranno rapidamente realizzate le grandi aree di accoglienza (Piana del Sele, Agro nocerino-sarnese, Valle dell’Irno) che da tempo va reclamando il presidente Annunziata. Nella tabella dei porti quello di Salerno è indicato come “un porto da adeguare”; come e quando ? Per fine mese sarà decisa la data delle inaugurazioni dei tre importanti interventi infrastrutturali, già realizzati, con il Ministro ed il Governatore. Intanto, prosegue, nonostante il periodo di ferie, incessante, il lavoro per partire con i due ultimi grandi progetti, l’allargamento dell’imboccatura (per questo attendiamo la decisione, finora lentissima, del Consiglio di Stato) ed il dragaggio (unico nella storia dei porti italiani con circa 7 milioni di mq di sabbia da prelevare). Insomma, come dire, le linee fondamentali le ha già dettate Andrea Annunziata, adesso toccherà al potere politico fare il resto.
direttore: Aldo Bianchini
Pur nel pieno rispetto delle altrui opinioni, non posso non rammentarmi di quando, unico tecnico in un consesso di esponenti politici e operatori economici, proprio a Salerno richiamai l’attenzione sul trend che andava assumendo la logistica portuale. Essa, per le esigenze che andavano profilandosi di velocizzazione dei trasporti e di crescita su scenari globali, non avrebbe dovuto né potuto prescindere dall’impiego sempre più massiccio e diretto delle reti ferroviarie quale servizio complementare ma prevalente e indispensabile per i sistemi di movimentazione di merci e container da e per i porti. Sono trascorsi oltre due lustri da allora, ma poco o niente si è fatto in proposito nel quadrante salernitano. Tuttavia, pur con la cronica lentezza che contraddistingue il processo decisionale italiano, come puntualmente ricordato dal Direttore dr. A. Bianchini, forse ora anche il porto di Salerno si troverebbe meglio attrezzato per fronteggiare le esigenze poste dai nuovi scenari operativi dei trasporti marittimi. Il problema non riguarda ovviamente il solo scalo salernitano. Anche altri porti italiani sono ancora impreparati e non in condizione di essere adeguatamente e prontamente reattivi. Molti di questi però hanno intrapreso la strada per l’ammodernamento delle loro strutture e per il loro allineamento ai nuovi standard. Temo invece che Salerno indugi un po’ troppo nel sottolineare solo gli indubbi successi conseguiti negli anni nonostante la sua poco felice ubicazione sul territorio, e, pur attivandosi per la realizzazione di migliorie, ampliamenti e quant’altro, non si dedichi con la dovuta incisività alla soluzione del “nodo gordiano” che l’attanaglia e la rende meno competitiva nei confronti di altri scali di pari potenzialità e importanza. Non basta solo additare con ammirazione le realizzazioni complesse e “ciclopiche” concepite e ultimate in tempi brevi in altri siti oltre confine, spesso addirittura ad opera di imprese, tecnici e maestranze italiane. Occorre agire da imitatori, se non da precursori, per essere al passo con i tempi!! Se qualche soluzione può apparire troppo ardita, chi detiene la responsabilità e determina le sorti di strutture e insediamenti nevralgici deve porsi per tempo il problema, magari anche con la ricerca di vie alternative di pari valenza, ma non può trascurarne, forse in maniera superficiale e paralizzante, l’esistenza.
A poco meno di un mese dal mio precedente commento, leggo sul Corriere Economia del 14 settembre u.s. l’articolo di Michelangelo Borrillo che riporta l’opinione dei Presidenti delle Autorità Portuali di Taranto e Bari in merito alle ricadute che il raddoppio, già operativo, del Canale di Suez potrà avere sulla portualità del Mediterraneo per effetto del maggior volume di traffico mercantile che esso può assicurare. Purtroppo se ne stanno avvantaggiando Il Pireo, Algesiras, i porti del Nord Africa. In particolare, il porto ateniese intercetta i traffici in virtù della sua posizione geografica, perchè dispone di un adeguato retroterra e perchè può avviare le merci verso il Nord del Continente con rapidi collegamenti ferroviari. Lo stesso non avviene purtroppo per Gioia Tauro e neanche per altri scali del Sud Italia che, a giudizio del giornalista, “rischiano la deriva”.
Sono in piena sintonia con siffatta analisi, che conferma le mie convinzioni sul tema specifico.