Gli alunni del Liceo Tasso incontrano l’antropologo Paolo Apolito

 

Giovanna Naddeo

<< Perché vivere è questione di ritmo.>>

Lo scorso 13 gennaio, presso la prestigiosa Aula Magna del Liceo Classico Torquato Tasso di Salerno, gli studenti dell’istituto scolastico hanno incontrato l’antropologo, nonché professore universitario, Paolo Apolito.

Attraverso un percorso all’insegna della musica e del teatro, Apolito ha presentato il suo ultimo libro, “Ritmi di festa” (ed. Mulino), in cui afferma l’esistenza di un certo “ritmo” all’interno di ogni uomo, unico per ogni uomo. Dall’unione di più ritmi, intesi come relazioni sociali, nasce, secondo l’antropologo, la “comunità ritmica”. Per far festa insieme, infatti, non c’è bisogno di far parte di una stessa comunità. Non è una questione di appartenenze o di identità, ma di buone vibrazioni. Di ritmo. Che è all’origine di tutte le relazioni umane.

Nel libro, servendosi di una serie di esempi storici e letterari, dalle testimonianze delle trincee durante la Prima guerra Mondiali dei sopravvissuti dei lager tedeschi, fino ai mosh of the wall of death, i riti fusionali dei concerti heavy metal, l’antropologo dimostra come nasca quell’impulso che spinge a entrare in empatia con gli altri. In un corpo a corpo addirittura presociale.

Non a caso la parola ritmo deriva dal greco reo , “scorrere”. E la vita stessa è tutta un andamento ritmico, dalla sincronizzazione del respiro di madre e figlio, alla deambulazione coi suoi tempi musicali, alla metrica della lingua, fino a quel fenomeno eminentemente umano che è il battere il tempo all’unisono con gli altri. Nessun animale lo fa. Solo gli umani ballano insieme. Si sincronizzano, trascinandosi l’un l’altro. Gli etnomusicologi lo chiamano entrainement. Letteralmente “trascinamento”. Un impulso irrefrenabile ad aderire al bioritmo dell’altro. Mimeticamente. Ma perché nasca quell’accordatura energetica che l’autore definisce “comunità ritmica” è necessario un accordatore. Apolito lo chiama performer. E forse è proprio questo impulso aggregante a mostrarci nuove ipotesi di coesione flessibile per costruire le società di domani. Perché non è la mai comunità a far festa, ma è la festa a fare comunità.

Il professore ha, infine, salutato i ragazzi con l’augurio che le nuove generazioni, seppur appartenenti a razza, cultura, religione differenti, riescano un giorno a” sincronizzare i propri ritmi”, creando così una “comunità ritmica globale”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *