ANSA.it (di Maria Gabriella Giannice)
ROMA – Compie 50 anni l’Autostrada del Sole, spina dorsale dell’Italia del boom che, collegando Milano a Napoli, doveva rendere più vicini Nord e Sud. Servì soprattutto a portare la gente del Sud nelle fabbriche al Nord e le merci del Nord su mercati del Sud. Con i suoi 755 chilometri di asfalto contribuì comunque a rendere meno isolati tanti territori lontani dal resto di un Paese che, come cantava Gianni Morandi, correva a 100 all’ora. Il 4 ottobre 1964, festa di San Francesco patrono d’Italia, al Casello di Firenze, il presidente del Consiglio Aldo Moro, capo del primo governo di Centrosinistra inaugura l’opera ultimata in 8 anni a tempo di record. Accanto a lui c’e’ Giuseppe Petrilli presidente dell’Iri, Istituto per la Ricostruzione Industriale, braccio in cemento armato dello Stato che, attraverso la sua Società Autostrade guidata da Fedele Cova, aveva realizzato un’opera di ingegneria apprezzata in tutto il mondo e a tempo di record. Nella chiesa costruita all’uscita di Firenze c’e’ una lapide in memoria degli operai morti, qui ricordati come i soldati morti sulla linea gotica: “ad memoriam qui ceciderunt operariorum” ovvero “in memoria degli operai caduti”. Più di 160 e il numero è approssimato per difetto. Ma nell’Italia del boom le morti bianche erano un prezzo che si era abituati a pagare senza troppo clamore. La posa della prima pietra è del maggio ’56. Quattro mesi dopo, a settembre, l’ingegnere Cova, l’amministratore delegato della Società Autostrade che dell’Autosole sarà il demiurgo, va negli Stati Uniti a studiare le autostrade americane. Non usa aerei, l’uomo del futuro preferisce il transatlantico Cristoforo Colombo e nel viaggio di ritorno traccia con i suoi collaboratori la bozza del progetto definitivo che resterà segretissimo per evitare speculazioni sul territorio. Il primo tratto Milano-Parma viene inaugurato l’8 dicembre 1958. Quel giorno si viaggia gratis ma dal successivo si deve pagare il pedaggio con il quale gli automobilisti contribuiscono alla costruzione del tratto successivo. La prima auto che varca il casello di Milano fu una Fiat 1100. Con grande sagacia, Fedele Cova, dopo essere sceso dal fronte Nord fino a Parma decise di salire dal fronte Sud e il 16 febbraio 1959 venne inaugurato il tratto Napoli-Capua. L’ingegnere di Borgomanero (Novara) temeva che il grande progetto potesse fermarsi a Roma per esaurimento dei fondi e decise di mettere una testa di ponte al Sud. I lavori quindi continuarono da Nord sul tratto Parma-Bologna dove ingegneri e operai affrontarono i grandi fiumi, fra tutti il Po. L’Impresa Rizzani completò il grande ponte con le sue 16 campate, tre mesi prima del tempo e il suo titolare, l’ingegnere Aldo Rizzani, viene nominato cavaliere. Il collaudo, nei giorni 4 e 5 giugno 1959 (anniversario dell’ingresso degli Alleati a Roma) diventa un evento mediatico. Si usarono 10 carri armati Patton da 44 tonnellate e 20 autocarri. Intanto a fine anno si inaugura il primo Autogrill Pavesi a 72 chilometri da Milano. Anche qui si fanno le cose in grande: è il primo in Europa costruito a cavallo di una grande strada, il primo ristorante nel quale si pranza guardando le auto correre di sotto. Nel frattempo le case automobilistiche hanno deciso di ridurre i listini e le società petrolifere hanno abbassato il prezzo della benzina. Arriva la deflazione, ma è quella buona, e sulle quattro carreggiate, due verso Nord e due verso Sud, le auto sono sempre di più. Dopo il Po, si affronta l’Appennino. La Bologna-Firenze è un florilegio di viadotti che fanno tenere il fiato sospeso. Qui si reclutano maestranze montanare che non soffrono di vertigine, capaci di costruire impalcature di ferro alte fino a 100 metri. Il tratto costa 15 vite, 8 solo nel tratto Calenzano-Barberino del Mugello. Gli 85 chilometri della Firenze-Bologna vengono ultimati il 3 dicembre 1960 e inaugurati dall’aretino Amintore Fanfani. Meno di due anni dopo, il 22 settembre del 1962 è la volta della Roma-Napoli. Poi si procederà da Firenze e da Roma contemporaneamente per incontrarsi fra Chiusi e Orvieto. Mentre la striscia d’asfalto dell’Autosole si allungava sullo stivale, l’economia italiana correva a ritmi quasi cinesi e lo Stato sapeva fare l’imprenditore. L’Iri, attraverso la sua controllata Società Austostrade Concessione e Costruzioni seguiva i progetti, provvedeva i mezzi finanziari (emetteva obbligazioni trentennali garantite dalle infrastrutture realizzate, oggi li chiamiamo project bond), acquisiva i terreni, gestiva l’autostrada incassando il pedaggio, utilizzava, con gli appalti, imprese esterne per l’esecuzione. Per costruire l’Autosole, lo Stato mise il 36% del finanziamento, il resto venne recuperato sul mercato. Costo finale 270 miliardi di lire.