Aldo Bianchini
SALERNO – L’assoluzione in appello, a sorpresa !!, di Silvio Berlusconi dalle accuse di <<concussione e istigazione alla prostituzione minorile>> è un fatto quasi normale (pur nella sua incredibilità) per chi mastica <<pane giudiziario>> come mestiere quotidiano, clamoroso per l’uomo della strada o per la gente comune. Da che lo scatenamento di commenti violenti e contrapposti a seconda del colore politico. In questo fatto io personalmente, essendo abituato alle cronache giudiziarie, ci vedo l’esatta trasposizione in senso mediatico dell’attuale drammatica situazione dell’apparato giudiziario italiano che da molto tempo non riesce più a definire i confini esatti tra “giustizia reale e giustizia virtuale”. Intendendo per la prima la cosiddetta <<giustizia commutativa>> e per la seconda la <<giustizia distributiva>>, cioè i confini tra il diritto-dovere dei giudici di applicare la legge commutando i delitti in pene codificate e il vizietto pernicioso degli stessi giudici di voler tracimare dai loro compiti per irrompere nello stato sociale che dovrebbe sempre essere competenza della sola politica. Il nocciolo della questione è questo, ma il potere, si sa, piace a tutti. Sir Francis Bacon (filosofo vissuto tra il 1561 e il 1626) si occupò dei caratteri dello “Stato moderno” e del ruolo dei giudici nel mondo della politica e del sociale in genere. Lo fece miscelando a meraviglia i due ruoli, diversi e contrastanti, e traendone alla fine una considerazione logica a metà strada tra il potere dei politici e la fame di potere dei magistrati. E sentenziò che <<i giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono>>. Il rapporto tra i politici e i magistrati continua, ancor oggi, ad essere uno dei maggiori enigmi della storia. E’ vero che il trono ambisce a schiacciare i leoni ma è altrettanto vero che i leoni ambiscono a sedersi sul trono. La politica, dal canto suo, non sopporta i magistrati che scavano all’inverosimile nelle vite e nell’azione dei politici; i magistrati considerano un plus valore per la carriera l’aver incrinato qualche politico di grido; i cittadini osannano i giudici coraggiosi che indagano i politici eletti da loro stessi che sono subito disposti a parlar male dei magistrati se indagano contro di loro. Insomma tre esigenze che si incrociano e si scontrano in un valzer senza fine che gli studiosi hanno catalogato come <<sindrome di Nimby>> (“Not in my back yard” – scavate a fondo, ma non nel mio giardino). Praticamente tutti siamo finiti in un pantano pericolosissimo dove la vita quotidiana è caratterizzata dalla prevalenza delle norme giuridiche rispetto a quelle etiche e sociali, un pantano che Stefano Rodotà ha mirabilmente definito come <<imperialismo giuridico>> l’invasione del diritto in tutti gli aspetti della vita umana e quotidiana. Questa invasione, ormai consolidata in diversi paesi civili ed avanzati, ha prodotto l’effetto contrario ed inaspettato e cioè che quanto maggiore è il numero delle leggi, tanto minore è la certezza del diritto e del suo significato. Da qui l’aumento spropositato dell’attivismo dei magistrati, degli avvocati e delle corti supreme. Insomma siamo giunti alla crisi del principio di legalità che ha accompagnato l’uomo per millenni. In questo è molto esaustivo Luciano Violante che nel suo <<Magistrati>> (ed. Einaudi del 2009); ma il piatto ve lo riservo per la prossima puntata. Per ritornare a Berlusconi e per esso alla Boccassini è giusta, a mio avviso, la chiave di lettura offerta da Giuliano Ferrara quando afferma che l’ottimo magistrato antimafia avendo avuto tra le mani inaspettatamente l’occasione <<per fottere Silvio>> (parole di Giuliano Ferrara !!) non ci ha capito più nulla nella smania di visibilità e di potere. Non a caso il prestigioso <<Foreign Policy>> nel 2011 l’aveva piazzata al 57° posto nella lista delle personalità nel mondo che nel corso di quell’anno avevano influenzato l’andamento del mondo. Ci vorrebbe una solida e laica coscienza istituzionale, ma questo è un sogno; meglio agguantare subito il potere, quello che logora chi non ce l’ha (come diceva il mitico Giulio Andreotti). Per questa ragione l’immaginario collettivo della gente comune non crede più a niente.