L’ITALIA CHE SI INCHINA.

 

da Bianca Fasano

La sera del 9 luglio 2014, senza che il conduttore della trasmissione che seguivo, “l’Emigrante”, ossia il giornalista Luigi Necco, potesse saperlo, gli sono stata passo passo vicina con il pensiero. Con il pensiero, con la nausea che entrambi provavamo,mentre il mio assenso silenzioso confortava le sue forti emozioni di uomo concreto, che porta in campo fatti e misfatti del territorio napoletano, ma, ovviamente anche della società italiana che li consente e determina. L’inchino fatto “dalla Madonna” (che ci perdoni dall’alto), a Oppido Mametina (oggi fulcro di una indagine), al momento che la processione si è fermata davanti all’abitazione del boss della ‘ndrangheta di cui non riporto il nome per non dargli ulteriore pubblicità, ci ha condotti entrambi a forti e tristissime meditazioni.  Il procuratore di Reggio Calabria ritiene:                           “sia un fatto grave che dimostra come la ‘ndrangheta controlli il territorio. Persino una manifestazione religiosa è piegata in ossequio di un boss. È un fatto sintomatico della sudditanza di un territorio nei confronti della criminalità”. Ha ragione, Ma non si tratta di una novità da relegare ad un determinato territorio, ad una determinata popolazione. Qualcosa di cui l’Italia  (l’altra Italia, quella per bene e pulita), non sia responsabile.                                                                 Già. Sembriamo dimenticare che gli inchini, invece, in Italia, siano cosa nota, affermata e comune. Basti pensare all’”inchino” effettuato dalla nave Costa Concordia vicino (troppo vicino, purtroppo), all’Isola del Giglio. Altro che Madonna di legno e processione! Il Costa Concordia, 114.500 tonnellate di stazza e 1.500 cabine in grado di accogliere sino a 3.780 passeggeri, si scontra con uno scoglio perché deve fare l’inchino ad un personaggio dell’isola! Riportiamo:                                                                                                                                  “C’era in atto una ‘gara’ fra comandanti” per dimostrare chi fosse più abile a passare più vicino possibile all’isola del Giglio: “Prima Palombo, poi Garbarino e poi Schettino sono passati come tutti sanno, praticamente nello stesso punto del naufragio del 2013”. Lo ha detto Massimiliano Gabrielli, del pool Giustizia per la Concordia, in una pausa dell’udienza dopo che le parti hanno consegnato al tribunale un documento della compagnia assicurativa Lloyd’s in cui si vedono le rotte della Costa Concordia accanto al Giglio quasi coincidenti. I passaggi precedenti, continua il legale, “hanno preparato la bravata di Schettino”. “Come mai la compagnia assicurativa Lloyd’s ha catalogato come ‘mancato incidente’ il passaggio del 14 agosto 2011, con comandante Garbarino – conclude Gabrielli -, mentre la compagnia Costa Crociere no? L’inchino era una consuetudine”.[1]                                                                                                                                             Il giornalista Luigi Necco certamente ha “rivisto” questo ed altro, nella prorpia mente, sentendo parlare di “inchini” e di rispetto, di onore, di legalità, di colpe, di religione, di Chiesa, di potere. Ben altre cose sono tornate alla sua mente, in un lampo. Altro che: La processione della Madonna delle Grazie nella frazione Tresilico del paese si ferma davanti all’abitazione del presunto boss…”– Presunto. Cose di cui si è reso conto anche il nostro grande Papa Francesco, dal momento che, alcuni giorni fa, nel corso della messa nella spiana di Sibari, ha sentenziato: “Quando non si adora il Signore  si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Quelli che non sono in questa strada di bene, come i mafiosi, questi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”.                            Figlio, questo nostro Jorge Mario Bergoglio, di quel Gesù che scacciò i mercanti dal tempio e gridò contro l’ipocrisia:                                                                                   =(Mr 12:40; Lu 11:38-52) 27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. 28 Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.                                                         Certamente non stupisce che  il collega  Luigi Necco sia andato indietro nel passato al ricordo di ben altri inchini. A ben altri scribi e farisei del nostro tempo. Ricordiamo che il 27 aprile del 1981, a pochi mesi dal terremoto dell’80 che lasciò dietro di sé distruzione e morte, le brigate rosse rapirono nel garage del suo palazzo, in Torre del Greco, il democristiano Ciro Cirillo, vicinissimo, all’epoca, ad Antonio Gava. Morirono nell’agguato il poliziotto Luigi Carbone e l’autista Mario Cancelli, mentre il segretario dell’assessore, Ciro Fiorillo, fu gravemente ferito. Il rapimento dell’assessore portò ad un seguito di strane ripercussioni in cui furono chiamati in causa camorristi, servizi segreti brigate rosse e vertici del partito democristiano.Il presidente Giorgio Napolitano definì quel periodo come “una delle pagine più nere dell’esercizio del potere nell’Italia democratica”. Tre anni prima lo Stato, per il rapimento Moro “non si era inchinato” alle BR, lasciando morire Aldo Moro, uomo di prestigio, uomo onesto, politico corretto e non corrotto. Uomo destinato alla morte, conducendo nella fossa con sé i molti segreti di cui era a conoscenza. Alle spalle delle BR vi erano persone colte e convinte delle proprie ragioni, come il leader Giovanni Senzani, che aveva conoscenze precise in materia delinquenziale: criminologo, ex consulente del ministero di Grazie e Giustizia, in qualche modo già vicino alle BR al tempo del rapimento Moro. Senza ripresentare l’intera storia occorre dire, però che al tempo l’inchino alla camorra non fu fatto da una Madonna di legno in sosta davanti ad un portone, ma dai servizi segreti i quali si rivolsero ad un camorrista ben più pesante del boss in discussione, ossia Raffaele Cutolo, ben sapendo che egli avrebbe potuto fornire notizie precise in merito al rapimento. E lo fece. Per maggiori chiarimenti rimandiamo al processo Cutolo, del 1989 e alla deposizione fatta dal funzionario del SISME Giorgio Criscuolo in merito ai primi approcci con Don Raffele ed ai fatti seguenti. Intanto, diversamente da quanto aveva fatto Aldo Moro, Cirillo “parlò”. Le BR chiesero la pubblicazione in veste integrale dell’interrogatorio subito da Ciro Cirillo da parte delle BR. Il documento fu pubblicato dal giornale “Lotta Continua” e nelle pagine “Il pentito”, non della mafia, ma della politica, raccontò trent’anni di potere democristiano su Napoli, senza nascondere nomi, fatti e persone. Le BR lo condannarono a morte. Le ossa di Aldo Moro erano al tempo, già polvere nella tomba. Ma qualcuno tornò ad inchinarsi a Cutolo, al potere che gestiva, alla sua possibilità di far parlare i suoi giannizzeri con i detenuti politici. La condanna non venne eseguita. Non ne” uscirono” moralmente pulite neanche le BR, già con le mani sporche del sangue di Aldo Moro e al tempo anche disposte a svendersi per denaro. Si giunse, difatti alla richiesta, da parte delle BR, di un riscatto e, dopo lunghe trattative, questo venne pagato: dai tre miliardi richiesti la cifra fu dimezzata. Concludendo in breve, il gran parlatore Ciro Cirillo visse ed il silenzioso Aldo Moro morì. Troppe cose “il pentito” avrebbe potuto dire ancora, se lasciato nelle mani delle BR? Fatto sta che l’inchino fatto a Cutolo, alle BR ed al potere occulto della politica italiano fu, al tempo ben più grave dell’inchino della “Madonna” al Boss vecchio e malato, di un paesino. Chi mise i soldi del riscatto? Chi fece muovere i servizi segreti? Chi partecipò alla trattativa? Ma la domanda più grave resta: Perché Lo Stato Italiano, diversamente da quanto fece con Aldo Moro, trattò con le Brigate Rosse ed usò persino la delinquenza per raggiungere la libertà di Ciro Cirillo?                         Il popolo italiano è un popolo, specie in Campania, che nasce soggetto agli inchini verso il potente, dalla culla alla morte. Soggetto per la sanità che prospetta ipotesi diverse di morte o di vita, a seconda dell’Ospedale, della Clinica privata, del denaro che si può pagare. Soggetto anche nel posto al cimitero, laddove si giunge a ritrovare nel loculo di proprietà familiare il corpo di individui sconosciuti, o si trova la tomba di famiglia sfondata per misteriose ragioni. Un popolo soggetto per la scuola, che varia a seconda della possibilità economica anche a livello universitario. Soggetto per il posto di lavoro ed anche per una qualsiasi delle cose più ovvie, documenti compresi. Perché fingiamo, all’improvviso di scoprire questa triste verità? Non c’è una chiaro limite tra bene e male, tra onesti e disonesti, tra illegalità e legalità e viviamo una società in cui ci sentiamo molti come Manzoni descrive:- “Don Abbondio era come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare con molti vasi di ferro”. Per cui l’inchino, non più quello che gli uomini facevano alle donne togliendosi il cappello, è divenuto tristemente di prammatica.


[1] http://www.lanazione.it/grosseto/cronaca/2014/02/10/1023533-costa-concordia-tragedia-giglio.shtml

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *