Al termine della sua esperienza medica Campanacci descrive il mondo che ha ispirato il suo percorso umano e professionale. In una sovrapposizione d’immagini familiari, idealmente, interpreta l’innovazione tecnica in medicina come l’approssimarsi di un tempo nuovo, un mondo nuovo apparentemente diverso ma ricco di contraddizione. L’ autore misura e lascia presagire della tecnologia il fascino, l’inquietitudine perché consapevole che la ricerca è un instancabile rincorrersi di conoscenze mai definitive, un pedaggio che potremmo pagare in termini di aspettative, certezze e delusioni.
“Mio padre medico auscultava posando direttamente l’orecchio sul petto del paziente…”. In questa vicinanza tra medico e paziente, il figlio legge il percorso umano e professionale del padre. Legge nel gesto la passione del medico che si china sul malato alla ricerca di una conoscenza, una profondità che annulli la distanza e diventi un ascolto, oltre il diaframma del corpo, degli umori e della speranza di salute e di vita del paziente.
Il ricordo non vuole essere per l’autore una nostalgica cartolina ingiallita dal tempo, capace di suscitare la nostalgia e il fascino delle cose perdute. Esso, diversamente, sembra animarsi nell’immaginario di chi legge come un fotogramma in movimento. Il motivo centrale sul quale allineare l’etica medica e le attese del paziente. Il narratore confronta passato e presente per tracciare un futuro prevedibile. Il suo racconto lascia presagire il tempo moderno ma anche i rischi di una medicina robotizzata che affida le sue aspettative alla intermediazione della macchina.
Campanacci figlio sa come ognuno di noi sa di vivere un tempo di transizione dove la nuova frontiera del progresso scientifico con le sue regole, i suoi strumenti è fondamentale, nel caso specifico, al lavoro del medico. Ne diventa consapevole dal momento che, egli stesso, a differenza del padre, “utilizza” uno strumento tecnicamente più avanzato ma che crea una maggiore distanza fisica dal malato: lo stetoscopio. Il simbolo sottende un pericolo del quale Campanacci è consapevole. “Mio figlio…” aggiunge usa il “fonendoscopio” con il quale ascolta segni e rumori amplificati. E’ un trittico quasi perfetto che descrive la preoccupazione e la saggezza del maestro “Questo allontanamento dal malato è per me il segnale del vero pericolo che minaccia la società moderna …che perda di vista l’uomo”.
Platone giustifica la natura mistica della medicina con un precetto “Nullus medicus nisi philosophus” (non puoi essere un bravo medico se non sei filosofo). Una affermazione per molti di noi anacronistica per i tempi che stiamo attraversando. Un incremento sempre maggiore del carattere tecnologico della medicina ci impegna, tra le altre cose, in una continua trasmissione di dati che amplifica il potenziale controllo sui comportamenti di ciascuno di noi e le informazioni sugli assistiti. La stessa deontologia del segreto che rappresenta la chiave di sicurezza della quale medico e paziente conoscono da secoli l’uso e sulla quale la medicina ha fondato la fiducia del paziente rischia di compromettere la segretezza sugli indefinibili canali informatici. Il grande occhio di Orwell era soltanto pochi anni fa una finzione cinematografica che il tempo ha reso reale e attuale. Sul binario dell’informatica il medico non potrà chiedere oltre. Acquisterà un linguaggio consono alle richieste della tecnologia e non andrà oltre le necessità del controllore. La macchina sarà arbitro di capacità e efficienza, il pesatore degli incentivi economici, l’ interlocutore privilegiato a cui delegare le aspettative di salute e le speranza del malato. Voglio racchiudere il tutto nella dolorosa testimonianza di Anatole Broyard, critico letterario del New York Times nel descrivere la malattia che lo portò a morte nel 1990. Non solo avvertì la necessità di raccontare i sintomi e il suo stato fisico ma volle parlare di cose e persone che in forma diretta o meno parteciparono alla sua esperienza: “Mi sentirei meglio” scrisse” se avessi un medico che perlomeno percepisse questa incongruenza, vorrei solo che per una volta mi concedesse tutta la sua attenzione che esplorasse la mia mente come esplora il mio corpo, per comprendere il mio malessere perché ogni uomo soffre in modo diverso”.