SALERNO – Più volte nel corso di questa lunga inchiesta giornalistica sono incappato negli strali malefici di alcuni (pochi per fortuna !!) miei costanti detrattori; fortunatamente non li ho mai ascoltati e sono andato dritto per la mia strada continuando a leggere e rileggere gli atti giudiziari ufficiali che, ormai, hanno riempito alcuni scaffali del Tribunale. Parlando dell’Angellara Home ho spesso scritto che l’inchiesta mi era sempre apparsa farraginosa, lacunosa e costruita probabilmente sul nulla (come ha poi esclamato un avvocato in aula durante il processo !!). Quello stesso avvocato, Lorenzo Lentini, ha messo a segno un colpo da manuale degno di passare negli archivi storici della giurisprudenza italiana. In pratica dinanzi al Tar ha smascherato la doppia faccia del Comune che spesso si muove come San Matteo, il protettore a due facce della Città. Cosa è accaduto: il Comune aveva autorizzato la Diocesi ad effettuare i lavori di ristrutturazione (finiti nel 2005) e poi, all’insorgere del fattaccio giudiziario, per evidenti timori di conseguenze sul piano penale non aveva riconosciuto al complesso lo stato di <<piena equiparazione tra casa per ferie e colonia>> ed aveva smentito se stesso con il conseguente non inserimento specifico nelle mappe catastali del PUC. Questo è il vulnus che Lentini ha prima scoperto e poi tradotto materialmente dinanzi al Tar che non ha potuto fare altro che ordinare al Comune l’inserimento e le correzioni del caso. La notizia del pronunciamento del Tar è stata eclatata un po’ da tutti i giornali, nessuno però ha messo in evidenza un fatto molto importante e cioè che questo vulnus era già stato evidenziato (anche se in altre forme e con altre descrizioni) dal collegio giudicante presieduto da Maria Teresa Belmonte che in primo grado aveva mandato assolti tutti i tecnici comunali che si erano avvicendati nella trattazione dell’iter burocratico-amministrativo della pratica. Altrimenti non si spiega l’assoluzione, così come del resto non si spiega la condanna dell’arcivescovo emerito, del segretario e dell’ingegnere presidente dell’associazione che doveva gestire il complesso restaurato. Per queste tre condanne il collegio giudicante si è arrampicato sugli specchi, forse per salvare capre e cavoli, nella certezza di una assoluta cancellazione in appello; gli specchi erano rappresentati dalle tre operazioni (soltanto tre !!) di passaggio di denaro avvenute in circostanze che per la Procura erano e sono poche chiare ma che lo stesso arcivescovo Pierro ha agevolmente spiegato nel contesto della sua deposizione spontanea del maggio 2012 (di cui ho scritto nella precedente puntata di questa storia) dinanzi al collegio giudicante; si trattava di tre operazioni bancarie assolutamente legittime e fatte alla luce del sole perchè il denaro in questione era transitato normalmente dal conto bancario ai destinatari ufficiali. Niente di nascosto. A questo punto al Comune di Salerno, salvo eventuali nuove prese di posizione, non resta che dare esecuzione alla sentenza del Tar riconoscendo alla struttura la dignità alberghiero-turistica e facendo, quindi, cadere l’ipotesi accusatoria che voleva accreditare la violazione delle norme previste dal Puc. Una bella mazzata per l’ipotesi su cui ha lavorato per molto tempo il pm Roberto Penna, una bella mazzata che dovrà forzatamente avere anche una sua ricaduta in sede di appello in maniera positiva per i tre imputati condannati (Pierro, Lanzara e Sullutrone) ed anche per tutti quelli assolti in primo grado e riportati a giudizio di appello a causa del ricorso della procura contro la sentenza del tribunale. Ma su tutto questo avremo, ovviamente, il tempo di ritornare nelle prossime puntate di questa storia.
direttore: Aldo Bianchini