Aldo Bianchini
TEGGIANO – “Pronto prova, uno – due – tre !!”, con queste parole ripetute più di una volta con fermezza e autorevolezza Angelo De Luca (direttore generale della BCC Buonabitacolo) ha riportato la calma in quella che stava trasformandosi da semplice e costruttiva discussione in una caciara intrisa di polemiche di bassa lega tra Nicola Di Novella (naturalista) e Pietro Caggiano (imprenditore agricolo e componente della giunta camerale della CCIAA), entrambi ospiti-relatori dell’ottimo convegno organizzato a Teggiano sul futuro del Vallo di Diano partendo da alcune riflessioni sul libro di Lorenzo Peluso dal titolo <<Profumo e polvere di terra>>. Pietro Caggiano, muovendosi da posizioni diametralmente opposte, stava esponendo il suo punto di vista sulla riorganizzazione dell’imprenditoria agricola finalizzata allo sviluppo ed alla crescita anche del Vallo di Diano in una visione moderna e non forzatamente paludata e legata al passato ed aveva definito (giustamente !! a mio modo di vedere) la posizione del naturalista Di Novella una sorta di “museo all’aperto” teso a salvare due fagioli e quattro patate che non possono dar luogo ad un <<futuro economico credibile per le generazioni future del Vallo>>. Apriti cielo, il naturalista non solo ha più volte interrotto l’esposizione dell’imprenditore agricolo ma, tracimando da quelli che sono i confini della corretta contrapposizione, ha praticamente impedito le conclusioni del discorso al suo avversario. Quel <<pronto prova, uno – due – tre>> di Angelo De Luca ha riportato la calma riuscendo ad entrare, con grande padronanza di linguaggio (quasi da banchiere piuttosto che da bancario !!), nei difficili e tortuosi meandri della durissima competizione commerciale che viene quotidianamente imposta da regole, anche non scritte, della imperante ed a volte asfissiante globalizzazione. Ha saputo spuntare le spigolature emerse dalle esposizioni del naturalista e dell’imprenditore richiamando alla mente di tutti la parabola di Giuseppe quando rivolto al Faraone gli dice che ci saranno sette anni di vacche grasse seguiti da sette anni di vacche magre, insomma per spiegare cosa si doveva fare e non è stato fatto e come si deve risparmiare per meglio investire e, quindi, programmare il futuro. Una lezione, con parole semplici e ad effetto, di economia comparata che non è da tutti; veramente utile, illuminante ed interessante l’intervento di Angelo De Luca. Insomma, quasi come dire (questo lo aggiungo io !!) che è necessario tenere in vita entrambe le esperienze, quella museale di Di Novella e quella commerciale-progressista di Caggiano, ma distinguendole fortemente e nettamente fino a separarle del tutto, lasciando come esperienza storica la proposizione naturalistica del problema che a volte sfocia nella inutile retorica ed assegnando alla progettualità imprenditoriale su larga scala la possibilità di guardare al futuro. Ci ha messo del suo, in maniera esemplare ed avvolgente, il prof. Ferdinando Longobardi (docente di filosofia e teorie del linguaggio presso l’Università Federico II di Napoli e di linguistica generale presso l’Università della Basilicata) che ha proposto l’adozione della coltivazione del “dattero” quale risoluzione delle problematiche future del Vallo di Diano. Il dattero, e che c’entra ? ha subito esclamato qualcuno. Con grande proprietà di linguaggio, ci mancherebbe altro !!, il docente universitario ha spiegato che il progetto sulla coltivazione del dattero nel Vallo sarebbe la panacea di tutti i mali, di tutti i ritardi, di tutte le assenze politiche, della mancanza di progettualità e dell’assoluta esclusione (voluta e/o forzata !!) della scuola dalle discussioni sul futuro delle nuove generazioni. Nell’antico Egitto, difatti, le generazioni presenti piantavano il dattero ben spendo che non avrebbero mai potuto mangiare il frutto delle piante da loro messe a dimora in quanto quelle piante avrebbero dato il frutto soltanto dopo oltre settant’anni e, quindi, per le generazioni future. Ecco, bisogna programmare e progettare il futuro per il futuro –ha detto Longobardi- e per fare questo (aggiungo sempre io !!) è necessario dar torto e ragione ad entrambi i duellanti della serata e nella consapevolezza di guardare alla storia (museo !!) è necessario rispettare il presente per meglio programmare, e non pianificare (che è cosa ben diversa), il futuro. Infine è salito sulla scena il protagonista della serata, Lorenzo Peluso, che almeno per me ha rappresentato una vera sorpresa per il modo compiuto e letteralmente e linguistamente perfetto di porsi e di presentare l’essenza del suo libro nato soprattutto per non dimenticare la figura di suo nonno che, curvo, arava la terra che qualcuno gli aveva insegnato ad amare oltre se stesso. Quel nonno che piegato su stesso, quasi come se fosse in ginocchio davanti alla madre terra, aveva saputo tracciare i solchi profondi della programmazione del futuro della sua famiglia e dei suoi futuri discendenti. Per non dimenticare neppure -ha detto Peluso- quel ragazzo (Antonio !!) speranzoso e presto disilluso dalla vita, coprotagonista del suo racconto, che per non arrendersi è ritornato alla terra ed all’arte antica dei suoi avi ripristinando l’allevamento delle capre ben sapendo che difficilmente riuscirà a sposarsi perché oggi è quasi improponibile che una ragazza sposi un pastore. Una storia triste che si snoda attraverso un lungo percorso appeso tra storia, geografia ed economia, come lo stesso autore ha detto, con la convinta fermezza di chi è sicuro di aver dato un contributo per la rinascita e il rilancio delle <<antiche professioni>> valdianesi in un’ottica, se vogliamo, anche di modernità e di progresso. Il convegno (con la conduzione professionale di Pino D’Elia) si era aperto, ovviamente, con i saluti del sindaco di Teggiano (Michele Di Candia), del Vescovo (Mons. Antonio De Luca) e del presidente della Pro-Loco (Enrico Maria Amelio).
Spesso però, il porsi “impetuosamente” verso le antiche arti e gli antichi mestieri, nelle nostre piccole comunità è sintomo di “beneficio”. Beneficiare dei contributi che puntualmente vengono erogati ogni anno, tralasciando quella che dovrebbe essere la vera vocazione espressa nel libro di Peluso. Un ritorno al passato che certamente non creerà nessun futuro.
Sono perfettamente d’accordo con Antonio.