Negli ultimi mesi la nostra regione è stata protagonista sui media nazionali ed internazionali, per il forte inquinamento dei suoli e delle falde acquifere, specie nel territorio compreso tra la provincia nord di Napoli e quella sud di Caserta, causato dallo smaltimento illegale, da parte delle organizzazioni criminali, di rifiuti tossici e dagli scarti di lavorazioni industriali provenienti dal Nord Italia e dall’Europa intera.
Ci piace però sottolineare che nel nostro territorio ci sono anche ricercatori e professionisti che, con il loro lavoro e la loro attività di studio e ricerca, stanno realizzando una serie di progetti interessanti volti a creare sviluppo ed innovazione “green”, rispettosa dell’ambiente circostante.
Ho avuto, giorni fa, modo di contattare il Prof. Stefano Castiglione, Docente di Botanica Generale presso il Dipartimento di Chimica e Biologia dell’Università di Salerno, che, insieme al suo gruppo di lavoro del quale fanno parte la Dr ssa Angela Cicatelli, borsista Post Doc, e il Dr Francesco Guarino, Dottorando in Biologia dei Sistemi, sta lavorando ad una serie di progetti molto interessanti che lo stesso Professor Castiglione ama definire di “Green Tecnology” piuttosto che “Green Economy”.
Il piccolo gruppo di ricerca, anche se tra diverse difficoltà burocratiche e di reperimento di fondi, ormai cronico nel mondo della ricerca pubblica Italiana, porta avanti ormai da un decennio studi che aggregano ricerche scientifiche inerenti la biodiversità genetica vegetale, ovvero la variabilità del patrimonio genetico di ogni pianta o essere vivente che sia un animale oppure un batterio, e le capacità che le piante, o meglio alcune varietà di una certa specie vegetale, posseggono per assorbire e accumulare gli inquinanti sia organici che inorganici presenti nei terreni o nelle acque contaminate.
Tra i diversi progetti di cui si occupa il gruppo di ricerca del Professor Castiglione ne ho trovato molto interessante uno in particolare sulla capacità dei girasoli di assorbire alcuni elementi chimici presenti sui territori inquinati da bonificare, che ho voluto approfondire attraverso un’intervista dedicata all’argomento.
Prof. Castiglione con il suo gruppo di ricerca sta portando avanti un progetto molto interessante all’Università di Salerno sulle potenzialità e le peculiarità dei girasoli, che sarebbero in grado di catturare e filtrare alcune sostanze tossiche presenti nei terreni bonificandoli. Ci può spiegare di cosa si tratta e quando è nata quest’idea?
Il lavoro sui girasoli è solidale a quello sui pioppi e mais, che, come ho detto è nato da una mia idea, già accennata nella ricerca scientifica internazionale, ma poco perseguita dagli organi di ricerca italiani, ovvero l’uso delle piante per assorbire, compartimentalizzare e, in alcuni casi, degradare i composti inquinanti presenti in terreni e acque contaminati. La metodologia descritta brevemente nella sua essenza prende il nome di Fitorisanamento che è la traduzione del termine anglosassone “Phytoremediation”. Questa metodologia è per sua definizione una “green technology” proprio perché non prevede l’uso di tecniche di bonifica tradizionali ad elevato impatto ambientale (escavazione, trasporto, dilavamento e incenerimento del materiale inquinato), ma l’uso delle piante appunto per svolgere il medesimo lavoro. La metodologia è a basso costo ma soprattutto è ben accetta dall’opinione pubblica, cosa che perseguono per avere consenso anche politici e istituzioni; ha limitato impatto ambientale, garantendo pertanto la conservazione e il miglioramento degli aspetti paesaggistici, oltre ad offrire, sempre se la legislazione lo permettesse, un fonte di energia rinnovabile. Il difetto che possiamo ascrivere a tale metodologia sono i tempi e in alcuni casi, soprattutto qualora gli inquinanti fossero altamente concentranti, una certa limitazione nell’accrescimento delle piante risanatrici.
A che punto è il progetto? E’ attualmente in fase sperimentale o avanzata e quali risultati concreti avete finora ottenuto?
Per quanto riguarda il fitorisanamento di un suolo inquinato da rame e zinco mediante popolazioni naturali di pioppo, molto biodiverse, siamo già a buon punto in quanto il progetto, sin dalla nascita, prevedeva l’impianto di un pioppetto multi-varietale. Così dopo 10 anni dalla messa a dimora dei pioppi possiamo dire che l’impianto si sta dimostrando efficace dal momento che siamo riusciti almeno nel caso dello zinco a ridurre significativamente (40%) il livello di inquinamento soprattutto nei primi 20 centimetri di suolo; anche per il rame c’è stata una riduzione ma non così sostanziale. Va comunque ricordato che l’area da bonificare è pesantemente inquinata e si trova in prossimità di una industria metallurgica fonte dell’originale inquinamento che, seppur nei limiti di legge, ha prodotto nel decennio passato (2003-2013) e produce tuttora emissioni di rame e zinco.
Per quanto riguarda invece il girasole i dati ottenuti fanno riferimento solamente a prove in serra e a suoli artificialmente contaminati. I I dati anche in questo caso sono confortanti tant’è che l’uso combinato di piante di girasole, consorzi di microorganismi (batteri), resistenti a rame e zinco, e/o chelanti, ovvero composti che stimolano l’assorbimento da parte della pianta degli inquinanti, hanno permesso nel caso del rame di ridurre, in una sola stagione di coltivazione (marzo-luglio), di ben il 60% l’inquinamento e del 15% per ciò che concerne lo zinco.
Quali saranno gli sviluppi futuri della sua ricerca e le sue applicazioni concrete? Avete stretto delle alleanze con altri enti?
Stiamo pensando di utilizzare questa tecnologia verde, in collaborazione con colleghi di Ingegneria Sanitaria, per limitare anche la diffusione nei corsi d’acqua e conseguentemente nelle catene trofiche di nuovi e pericolosi inquinanti come farmaci, droghe e composti chimici di sintesi (antibiotici, anti depressivi, anti infiammatori, droghe, etc., che spesso superano inalterati i sistemi di depurazione delle acque civili e ospedaliere), mediante appunto la costruzione di sistemi e impianti pilota in grado di unire le tradizionali tecnologie con le nostre metodologie verdi.
Ci sono altri progetti che state portando avanti nel campo della Green Economy con l’Università di Salerno?
Stiamo portando avanti anche progetti che prevedono l’uso del “Compost” ottenuto dalla raccolta differenziata dell’umido per migliorare le qualità nutrizionali e organolettiche di patate e lattuga oltre che quelle chimico-fisiche dei suoli agricoli campani, e quindi italiani in genere, impoverirtisi nei decenni di sostanza organica per il continuo uso di fertilizzanti chimici, che, pur permettono la produzione di prodotti alimentari di qualità, al contempo però causano inevitabilmente inquinamento e fenomeni di eutrofia delle acque con conseguenze a volte nocive sulle catene trofico-alimentari che portano in definitiva anche problemi di salute alla gente.
Altri progetti molto importanti che stiamo cercando di attuare anche in collaborazioni con gli enti locali quali comuni, comunità montane, parchi regionali e nazionali, sono quelli del biomonitoraggio ambientale di aria, acqua e suolo e della biodiversità vegetale e animale di popolazioni naturali e di ecotipi orticoli, di cui la regione Campania è assai ricca.
Tutto questo sempre, ahimè, nel disinteresse della maggioranza delle più importanti istituzioni come Banche, Regioni e Ministeri responsabili dell’Ambiente, dell’Agricoltura e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. Purtroppo spesso per i politici la ricerca non è un investimento, ma un costo che va il più possibile tagliato. Vorrei poi spezzare anche una lancia a favore della ricerca pubblica che facciamo nei Dipartimenti scientifici e umanistici dell’Università di Salerno, infatti nell’ultima valutazione effettuata con criteri che mirano a valutare la produzione e la qualità dei risultati della ricerca di tutte le Università Italiane, il nostro ateneo si è posizionato tra i grandi Atenei Italiani per alcune aree scientifiche e umanistiche prima di più noti e blasonati Atenei, dimostrando un vivacità e una preparazione adeguata del personale tecnico scientifico a fronte di una burocrazia asfissiante e che certo non favorisce la ricerca e l’innovazione. Nel caso dell’area biologica, a cui anch’io afferisco, l’ateneo Salerno si classificato al 11 posto su 59 aree biologiche universitarie valutate, un risultato sorprendente visto i pochi fondi disponibili per atenei del sud Italia in particolare.
Complimenti per l’articolo. Interessante e seppur tecnico di facile fruizione. È un piacere inoltre constatare quanti professionisti in gamba ci siano nel nostro territorio e quanto sia ricca di risorse la nostra terra.