Postini volanti.

Renato Messina

renatomessina87@gmail.com

Alla fine è andata come molti temevano. Per l’ennesima volta Alitalia è stata salvata grazie anche ad un intervento pubblico. Dopo l’avventura fallimentare dei famosi “capitani coraggiosi”, sponsorizzati dall’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, la storia si ripete. All’epoca Alitalia fu divisa in due parti: una “bad company” acquistata dallo stato e una “good company” rilevata dai “capitani”. La “good company” però in pochi anni è diventata “bad”. Oggi quindi è la liquidità di Poste Italiane ad essere riversata nella compagnia di bandiera. Il mezzo attraverso il quale si materializzerà l’intervento pubblico non è fortunatamente il risparmio dei libretti postali (che è vincolato ad essere usato nell’acquisto di titoli di stato), ma è la liquidità frutto dei ricavi delle molteplici attività delle poste. Si parla di circa 75 milioni di euro  che si pongono all’interno dei 300 milioni di aumento di capitale da parte dei soci e di altri 200 prestati dalle banche. Nella vicenda Alitalia ci ritroviamo di fronte all’ennesimo esempio di diabolica ripetizione di errori già commessi in passato. È palese infatti che l’operazione di salvataggio della compagnia voluta da Berlusconi, in nome della salvaguardia dell’ “italianità”, si è rivelata fallimentare. Oggi ci ritroviamo al punto di partenza con Alitalia di nuovo in fin di vita e alcuni miliardi di soldi pubblici, quelli del salvataggio precedente, buttati al vento. Ciò che inquieta è il fatto che con questa operazione Poste Italiane ha distolto degli investimenti dalle sue attività a favore di un settore quasi estraneo, probabilmente in maniera estemporanea, sacrificando il “core” dell’azienda. È legittimo infatti sospettare che questi 75 milioni siano altri soldi buttati  sotto una probabile spinta di carattere politico. Neanche la questione della competenza in materia di trasporto aereo è chiara; infatti Poste Italiane è proprietaria di un solo piccolo vettore aereo, Mistral Air, che effettua voli cargo e charter ed è in perdita da tre anni. Strana anche l’affermazione dell’amministratore delegato di Poste, Michele Sarni, riportata ieri dall’ANSA, che ha riferito di essere già a lavoro sul nuovo piano industriale (come se fosse amministratore di Alitalia). Di tutta la storia di Alitalia, però, ciò che fa più rabbia è la continua socializzazione delle perdite; la politica per un motivo o per un altro ha volontariamente chiuso gli occhi, ripetutamente, a qualunque soluzione economicamente ragionevole, ovviamente a spese nostre. Non pensiate che queste soluzioni abbiano salvato posti di lavoro; probabilmente questi sarebbero stati salvaguardati anche se a gestire Alitalia fosse stata Air France. Forse i proprietari non sarebbero stati nostri connazionali, ma sicuramente non avremmo dovuto buttare altri soldi pubblici, quelli degli italiani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *