Telecom e Centrale del Latte, trovate le differenze (o le similitudini)

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 Renato Messina

In questi giorni mi sono chiesto più volte: “La vendita di Telecom è comparabile con la privatizzazione di Centrale del Latte?” Sicuramente le due storie sono molto interessanti perché permettono di sottolineare quali siano i veri “beni pubblici” e quali no e cosa sia importante per i cittadini e cosa, invece, sembri interessare di più a certa politica. Da una parte infatti troviamo la pura e semplice produzione di latte che non è in nessun modo un bene pubblico propriamente detto; dall’altra però neanche i servizi di accesso alla telefonia lo sono. Infatti poter utilizzare internet o effettuare una chiamata da telefono fisso non sono servizi che devono essere per forza forniti da un azienda pubblica, perché condizioni di concorrenza di mercato favorirebbero (come è in effetti in Italia) sia la qualità che il prezzo. Il discorso cambia però quando parliamo dell’infrastruttura telefonica. In questo caso ci troviamo di fronte a un bene pubblico perché potenzialmente il suo utilizzo è fruibile da chiunque, senza che ciò limiti ad altri la stessa possibilità. Inoltre essendo la rete telefonica una infrastruttura capillare, essa è talmente irripetibile (a causa anche dei costi e dei tempi richiesti) che non avrebbe alcun senso applicare ad essa le stesse logiche di mercato e concorrenza. Non secondario infine è l’aspetto di sicurezza nazionale che non può essere tralasciato. Di conseguenza l’assetto auspicabile sarebbe quello di una società pubblica che gestisca la rete in maniera terza rispetto a tutte le società che forniscono servizi di accesso a questa ultima; con tale soluzione tutti i concorrenti del mercato telefonico sarebbero uguali di fronte a chi “affitta” l’infrastruttura pubblica. E la nostra Centrale del Latte? Sicuramente l’azienda salernitana non produce un bene pubblico e  mi dispiace se qualcuno ne avrà a male di ciò. Anzi il problema della Centrale del Latte è che la sua privatizzazione è stata fatta troppo tardi, essa non è né più né meno che una azienda come tante in settore come tanti. Paradossalmente Telecom, che fornisce anche un bene pubblico  (la rete infrastrutturale), è stata privatizzata molto prima (e male). Quello che sta succedendo in questi giorni è che alcuni azionisti di Telecom (Generali, Mediobanca, Banca Intesa e Telefonica), legati tra loro da un “patto di controllo” hanno deciso di modificare le loro quote. In particolare Generali, Mediobanca e Banca Intesa hanno deciso di vendere la loro partecipazione a Telefonica, un compagnia spagnola. Con il perfezionamento di questa operazione la compagnia spagnola controllerebbe tutta Telecom Italia, in quanto quel famoso “patto” (di nome Telco) detiene il 23% di Telecom. Qual è il problema però? Nonostante le privatizzazioni siano cominciate negli anni ’90, in Italia ancora non esiste un regolamento che permetta allo Stato italiano di garantire e difendere le proprie infrastrutture strategiche, ovvero non esiste ancora la possibilità giuridica di utilizzare la “famosa” Golden Share (possibilità di veto da parte del governo su un’operazione di una impresa privatizzata che possa nuocere agli interessi nazionali). Di conseguenza le possibilità di garantire il giusto controllo pubblico della rete infrastrutturale si limitano o ad varo in fretta e furia della sopracitata Golden Share o ad un intervento nel capitale sociale di Telecom da parte di qualche ente pubblico che ne abbia le possibilità (attualmente solo Cassa Depositi e Prestiti). Quest’ultima opzione però sarebbe auspicabile solo nel caso in cui la gestione della rete fosse separata dal resto della società (il così detto “scorporo”), in modo tale da rendere pubblica la rete e non tutta la società Telecom Italia. Questa ipotesi ci riporterebbe indietro di decine di anni, quando tutta Telecom era in modo diretto una proprietà pubblica e era di conseguenza palesemente avvantaggiata. Facendo un paragone con la realtà locale, l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti sarebbe assolutamente uguale a ciò che Fondazione CARISAL voleva fare con Centrale del Latte: lo Stato (e la politica) uscivano dalla porta (vendendo a privati) e rientravano dalla finestra (inserendo altri enti pubblici diversi dai precedenti).

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