Gambino/104: Panico, fidarsi è bene … non fidarsi è meglio !!

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Amerigo Panico (il grande accusatore pubblico e privato di Alberico Gambino, grande protagonista del processo “Linea d’Ombra” voluto e incardinato dalla DDA di Salerno contro l’ex sindaco di Pagani) non andrà più in carcere. Fortunatamente !! per lui.  Lo ha deciso la Cassazione nello scorso mese di giugno respingendo l’ennesimo ricorso della Procura della Repubblica di Nocera Inferiore (pm Roberto Lenza) che si era opposta alla scarcerazione dell’imprenditore paganese decisa dal gip Alfonso Scermino su richiesta dei difensori di Panico, avv.ti Federico Cioffi e Gaetano Pastore. Nell’ottobre del 2012 lo stesso gip Scermino aveva invece sottoscritta la richiesta del pm disponendo la carcerazione del Panico; da qui le due opposizioni della Procura. Questo in estrema sintesi il fatto che tutti i giornali quotidiani hanno ampiamente documentato ed illustrato nelle passate settimane; nessuno, ovviamente, è andato più in là della secca notizia. La vicenda merita senza dubbio un approfondimento. In buona sostanza Amerigo Panico quella settimana di detenzione in carcere se la cercò con il lanternino e pagò, credo, in un sol colpo la sua collaborazione con la giustizia in danno di quel tanto ipotizzato ed enfatizzato “Sistema Pagani” che, invece, è stato letteralmente smantellato dai giudici del tribunale con la sentenza di primo grado. All’epoca dell’arresto per le note vicende relative al crack della “Panico srl veicoli industriali” in tanti, anche nell’aula del tribunale nocerino, dissero che se l’era meritata e che aveva fatto male i conti se sperava che, accusando Gambino e gli altri, i giudici potessero avere un trattamento di riguardo, quasi riservato, per le sue disavventure imprenditoriali. Io, in tutta sincerità, non credo che Panico avesse a più riprese collaborato con gli inquirenti per affossare soltanto Gambino e la sua politica con un preciso progetto strategico; Panico ha certamente collaborato ma non solo per questi motivi. Ritengo che Panico abbia collaborato per “convinzione mentale” prima ancora che per “opportunità commerciale”. In fin dei conti è una storia che si ripete da sempre e un po’ dovunque; quasi sempre si collabora con gli inquirenti per quel quid investigativo (spesso confuso con il gossip) che ognuno di noi possiede nel suo intimo, soprattutto quando le indagini riguardano i potenti. La collaborazione inizia quasi come per gioco, per sentirsi al centro dell’attenzione e per acquisire potente referenzialità, poi si rimane incastrati e non si può più fare marcia indietro; dipende ovviamente dall’abilità degli inquirenti nel prefigurare scenari che poi vengono puntualmente disattesi se non proprio negati. L’ho scritto da sempre che una cosa è descrivere in maniera fantasiosa fatti e circostanze nel chiuso di una stanza della Caserma o della Procura, altra cosa è sostenere le proprie tesi o le proprie fantasie in un’aula giudiziaria sotto la pressione e il fuoco di fila delle domande dei difensori di chi, invece, deve difendersi da quelle accuse. Facciamo il caso di un imprenditore che diventa, ipotizziamo, il confidente degli investigatori e conseguentemente del pm che conduce quella delicata indagine; agli stessi racconta tutto quello che sa ma anche quello che non sa, immaginando anch’egli e prefigurando scenari che non conosce e che non potranno mai trovare prove conclamate su cui sedimentarsi. Alla fine il pm e gli investigatori hanno fatto il loro dovere, il tribunale assolve gli imputati, ma il confidente rimane solo e spiazzato; spera che l’indagine a suo carico, per una vicenda che nulla ha a che fare con l’altra, venga almeno addolcita se non proprio addomesticata visti i predenti collaborativi importanti. Macchè !! l’altra indagine è condotta da un altro pm che, nella pienezza della sua autonomia e indipendenza da tutto ed anche dai colleghi, esamina il fatto, si convince della colpevolezza e ordina la cattura. E finisce anche il gioco dell’investigatore tout-court cui tutti noi siamo naturalmente portati, quasi per un istinto cromosomico. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” di questo antico proverbio tutti dovremmo tener conto quando decidiamo di confidare le nostre sofferenze anche ad un amico, figurarsi agli Organi inquirenti. Non voglio con questo assolutamente incitare alla non collaborazione, semmai voglio indurre tutti ad una riflessione più serena quando si decide di fare un passo da giganti come quello fatto da Amerigo Panico con la sua decisione di denunciare il presunto “Sistema Pagani” perché un’azione che in partenza può essere vista anche come “un atto di coraggio” può finire per essere considerata una strumentale vigliaccata per marcati interessi personali. Ecco perché, secondo me, la Suprema Corte ha fatto benissimo a bocciare l’ipotesi di un ritorno in carcere di Panico il quale se doveva pagare qualche debito l’ha già pagato profumatamente con una settimana dietro le sbarre.

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