PALERMO – Sono trascorsi 64 anni dalla strage di Passo di Rigano dove sette carabinieri persero la vita in seguito all’esplosione di un potente carico di tritolo al passaggio del mezzo militare su cui viaggiavano. Così stamattina in via Leonardo Ruggeri, a Palermo, alle 10, una corona di fiori ha voluto ricordare quei nomi: Giovan Battista Aloe all’epoca di 23 anni di Cosenza, Armando Loddo 22 anni di Reggio Calabria, Sergio Mancini, 24 anni di Roma, Pasquale Antonio Marcone 27 anni di Napoli, Gabriele Palandrani di 23 anni di Ascoli Piceno, Carlo Antonio Pabusa classe 23 anni di Cagliari, Ilario Russo all’epoca ventunenne di Caserta. Tra i presenti alla cerimonia il Sindaco Leoluca Orlando, l’Assessore alle Attività Produttive, Marco Di Marco, il Comandante Legione Carabinieri Sicilia, Generale Giuseppe Governale, i vertici dell’Arma a Palermo, della Polizia di Stato, dell’Esercito e della Polizia Municipale, Rappresentanti della Magistratura. Il Sindaco Leoluca Orlando – ha voluto ricordare il sacrificio di questi sette uomini e di coloro che, dopo quel giorno, rimasero mutilati a vita. “Sono servitori dello Stato, eroi sconosciuti ai più, che abbiamo il dovere di ricordare con cerimonie come questa, ma anche nella vita di tutti i giorni. Deve essere chiaro – ha aggiunto il Sindaco – che, anche se viviamo in un presente che è completamente diverso da quel preciso momento storico, se questa città va avanti nonostante tutto, è perché tanti come loro hanno fatto e continuano a fare il loro dovere. Anche se purtroppo di questi uomini, tanti, troppi sono caduti e ci auguriamo non cadano più. Oggi, a distanza di tanti anni, quel sacrificio non è stato vano”. Quel giorno infatti i sette carabinieri uccisi facevano parte di un contingente che tornava in città dopo aver pattugliato la zona di Bellolampo. Lì, nel pomeriggio, la banda Giuliano aveva messo in atto un attacco dimostrativo senza causare vittime, al solo scopo di attrarre sul posto altri militari. E l’eccidio, infatti, fu consumato subito dopo. Alle 21.30, in quella che allora era una piccola borgata alle porte di Palermo, sull’unica strada di accesso alla città provenendo da Partinico e Montelepre, fu fatta esplodere una potente mina anticarro. La deflagrazione investì l’ultimo mezzo, con a bordo 18 carabinieri, di una colonna composta da 5 autocarri pesanti e da due autoblindo che trasportavano complessivamente 60 unità del “XII Battaglione Mobile Carabinieri” di Palermo. L’esplosione dilaniò il mezzo, causando la morte dei sette giovani carabinieri. Un secondo ordigno, piazzato poco distante, scoppiò al passaggio di due auto su cui viaggiavano i vertici dell’Arma e della Polizia, accorsi sul posto dell’attentato e usciti fortunosamente indenni dall’esplosione. Quel giorno altri 10 carabinieri rimasero feriti e alcuni subirono gravi mutilazioni. Il contesto di quella Sicilia vedeva un Giuliano che era riuscito a costruirsi un’immagine da Robin Hood, che infiammava guerriglie, compiendo imboscate e assalti alle caserme dei carabinieri di Bellolampo, Pioppo, Montelepre e Borgetto, alcune delle quali furono anche occupate, continuando però a compiere numerose rapine e sequestri. Giuliano aveva ipotizzando un’indipendenza della Sicilia, accarezzando un paio di anni precedenti un disegno di annessione agli Stati Uniti D’America. In quella seconda strage, la prima si era consumata a Portella della Ginestra, rimaneva ferito il colonnello Ugo Luca. Pochi giorni dopo fu decisa la costituzione del Comando forze repressione banditismo, con lo stesso Luca al comando. Un anno dopo Giuliano veniva trovato morto nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano: un comunicato del Ministero degli Interni annunciò ufficialmente che era stato ucciso in un conflitto a fuoco avvenuto la notte precedente con un reparto di carabinieri alle dipendenze del capitano Antonino Perenze, un uomo del colonnello Luca. Le incongruenze apparvero subito nella versione degli inquirenti sulla fine dell’uomo. La morte di Giuliano viene infatti avvolta nel mistero, non conoscendo per mano di chi, e di quale traditore ne veniva decisa la morte.
Ed oggi a Palermo ancora una volta viene deposta una corona di fiori, simbolo di morti senza senso. E quest’oggi rifletto, considerando la Sicilia di quei tempi, che l’unico limite per cui il siciliano non riesca ad alzare completamente la testa sia rappresentato da se stesso e da quella arretratezza e povertà di cui Giuliano voleva liberare la Sicilia. Giuliano non fu un eroe, gli eroi sono le persone che morirono per mano sua, o da chi ne pensò la morte attribuendone tutte le responsabilità a Giuliano. Il nipote di Salvatore Giuliano, Giuseppe Sciortino, racconta infatti una storia intrisa di complotti fra stato e mafia, lo stato italiano era sceso a patti con la mafia, è infatti per questo che esistono almeno 5 differenti versioni sulla morte di Salvatore Giuliano; inoltre la commissione antimafia, nel 1974, ha secretato tutti gli atti relativi alla sua morte fino all’anno 2016. Resta il fatto che sette carabinieri morirono e oggi se ne ricorda l’eccidio … e la Sicilia con la sua arretratezza non “arretra” anzi sembra procedere a passo veloce. Buona passeggiata…