Aldo Bianchini
BATTIPAGLIA – All’alba di sessantasette anni fa, il 16 giugno 1946, nasceva uno dei personaggi più controversi e difficilmente comprensibili del mondo dell’imprenditoria ed anche della malavita organizzata: Cosimo D’Andrea. La madre, nativa del Cilento, discendeva da una nota famiglia di commercianti viticoli. Il padre Giulio, napoletano della zona di Posillipo, di cui Cosimo ereditò carisma e prestanza fisica, era un commerciante di bestiame che seguiva le orme di una tradizione secolare che è insistita nell’area della Piana del Sele, a Battipaglia come nelle zone limitrofe, e che si è protratta fino ai primi anni del duemila. Cosimo D’Andrea aveva cinque sorelle e due fratelli, alcuni dei quali professionisti nel campo della medicina e nel campo della finanza. Cosimo D’Andrea è stato un personaggio molto particolare, una figura infarcita di contorni mitici, sulla cui storia personale è utile fare una piccola digressione: dotato di istinto e intelligenza fuori dal comune, di lui si ricorda la singolare capacità oratoria, frutto di studi classici e laurea in Economia e Commercio e, soprattutto, di un innato senso della comunicazione interpersonale. Sposatosi nella prima metà degli anni settanta con Donata Doino da cui ha avuto due figli, un maschio Giulio e una femmina Giulia, quest’ultima è attualmente titolare di una delle più grandi imprese di trasporto di rifiuti in Italia, la De Sarlo sas. Cosimo D’Andrea da giovanissimo intraprende la strada di imprenditore nella filiera dell’arte-vasaia (piastrelle). Tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta acquista dal cav. Mellone un terreno ad Eboli, località Serracapilli, dove crea dal nulla una prestigiosa azienda del settore della ceramica, la chiama “Giulia” come la sua adorata figlioletta. Da quel momento è lui il fornitore ufficiale della maggior parte dell’indotto imprenditoriale salernitano. Tutto in perfetta armonia con la legge, lui giovane imprenditore, laureato, con l’istinto dell’avventura imprenditoriale molto sviluppato, è presente dovunque; gli piace esserci, gli piace intervenire, gli piace parlare, gli piace soprattutto dire la sua. E lo fa senza risparmio di tempo e di denaro, sacrifica probabilmente gli affetti familiari sull’altare del presenzialismo, una cosa che ritiene assolutamente necessaria per la nascita, la crescita e lo sviluppo delle sue geniali idee imprenditoriali in tutti i campi, dal commercio all’industria, dal terziario alla finanza, sempre più in alto, sempre più al centro dell’attenzione. Molto verosimilmente questo suo atteggiamento, questo suo essere presente ad ogni costo lo porta su crinali che mai avrebbe immaginato potessero capitargli sul suo cammino. Qualcosa incomincia a scricchiolare intorno a lui già verso la metà degli anni settanta. La Procura di Salerno lo ritiene inizialmente coinvolto nel tentato omicidio di Roberto Procida, all’epoca braccio destro di Giovanni Marrandino, dal quale il D’Andrea, forte del suo savoir faire, riesce addirittura a farsi donare la somma enorme a quel tempo di cinquecento milioni (così almeno raccontano le cronache dell’epoca !!). L’accusa è quella di mandante del tentato omicidio Procida, con esecutori materiali Giovanni Pecoraro, Massimo Carfagna, Roberto Cioffi e Domenico Ciardi. Insomma un’accusa devastante anche in considerazione dei nomi dei malavitosi coinvolti. Del resto quei nomi altisonanti che, forse, l’immaginario di tanti lega al suo “essere personaggio” sono stati finiti quasi tutti a colpi di pistola in quella che “La storia della camorra” denota come la “folle orgia omicidiaria” degli anni settanta e ottanta. Probabilmente è lì che nasce una nuova camorra in danno di quella già esistente, e si sa i cambi generazionali lasciano sempre sul terreno morti e feriti. Tutti finiscono dietro le sbarre, tranne Cosimo D’Andrea che (si dice !!) grazie ad una soffiata si rende latitante per due lunghi anni trascorsi (stando sempre ai bene informati !!) in una villa di Sant’Agnello a Sorrento il cui proprietario è un suo caro amico, nientemeno che il famosissimo armatore Achille Lauro. Si salva e ritorna nella pienezza della sue molteplici attività grazie all’attenta e accurata difesa del suo amico avvocato Giuseppe Tedesco; un’amicizia ed anche un rapporto fiduciario che si protrae lungo tutto l’arco di un trentennio. Per oggi ci fermiamo qui, al tempo in cui tutto per D’Andrea sembra essere ritornato alla normalità. Spazzati via i sospetti e i dubbi sulla sua vera “identità”, chiusa l’inchiesta giudiziaria che lo riguardava molto da vicino, allentata anche la sua presunta amicizia con Giovanni Marrandino, si rilancia a testa bassa nelle attività di famiglia con nuovi importanti ed eclatanti successi anche in campo nazionale. Fa capolino, però, un antico pallino: la politica. Fino a quel momento pur essendo sempre presente in molti momenti pubblici e politici ha sempre evitato coinvolgimenti diretti in prima persona; ma la sua passione è talmente forte che non ce la fa più ad essere solo presente ma a rimanere comunque fuori dal grande giro. E questo lo perderà per sempre. Ritorneremo certamente su questa vicenda umana per parlare anche del resto, di tutto quello che accadde negli anni ottanta e novanta. Oggi è il momento del ricordo, nel sessantasettesimo anniversario dalla nascita, di un uomo che certamente ha segnato non solo la storia giudiziaria di oltre trent’anni ma soprattutto la storia imprenditoriale, quella sana viva palpitante e piena di iniziative, dell’intera nostra provincia.