SALERNO – La questione della responsabilità civile dei magistrati sarà prima o poi sicuramente affrontata perché è nel programma di questo governo.
Quanto però accaduto nei giorni scorsi, in un caso che ha visto una esemplare sentenza del Tribunale di Salerno, II sez. pen., Presidente dott. ssa Troiano, da spunto a più di una riflessione su ciò che la riforma dovrebbe affrontare.
Come è noto, lo Stato risponde, ai sensi della legge 13.04.1988 n. 117, per i danni causati da casi di male giustizia, solo per comportamenti del giudice che siano frutto di dolo o di colpa grave, cioè, in questo secondo caso, una macroscopica violazione di legge.
Un caso che potrebbe rientrare in questa ipotesi di colpa è accaduto a Salerno agli imprenditori salernitani Maiolica, assolti nei giorni scorsi (dopo dieci anni di “calvario”!) dalla seconda sezione del Tribunale su parere conforme – si badi – della Procura della Repubblica (p.m. dott. Montemurro), che ha sconfessato il suo stesso operato degli anni addietro (con sostituto e procuratore capo diversi da quelli di adesso).
I fatti.
I Maiolica entrano nel famoso processo Sea Park nel 2004, inizialmente, perché acquirenti di una parte dei suoli dell’ormai abbandonato progetto del Parco Marino. Quel terreno stava per essere espropriato per la costruzione di una centrale elettrica, ma gli sventurati non lo sapevano e si lanciarono nell’acquisto convinti di poter realizzare una loro iniziativa industriale (le intercettazioni telefoniche del p.m. dimostrano, peraltro, la loro assoluta buona fede nell’acquisto e la sorpresa quando scoprono l’inghippo).
Nel gennaio 2004, il suolo veniva sequestrato dal p.m. che indagava su altri soggetti per presunte truffe all’INPS, nonché per una ipotesi di lottizzazione abusiva negoziale che in quel momento non vedeva coinvolti i Maiolica. Costoro , infatti, in qualità di terzi in buona fede, tentarono di riavere il suolo con un ricorso in Cassazione; la suprema Corte dava loro ragione e mandava a dire al p.m. che il reato è del tutto inesistente.
Il riesame si adeguava subito e dissequestrava.
In una tale situazione ci si sarebbe aspettato una immediata archiviazione per i Maiolica che avrebbero potuto realizzare l’intervento con conseguente occupazione di manodopera. Macchè! Il p.m. sequestrava nuovamente il suolo d’urgenza. Nuovo ricorso al Tribunale del riesame, nuovo dissequestro disposto da quest’ultimo e ricorso dello stesso p.m. in Cassazione dopo aver provveduto, nel frattempo, ad imputare i due sventurati imprenditori per lottizzazione abusiva (reato che la Cassazione aveva dichiarato inesistente).
Ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione perentoriamente stabilisce che il reato non c’è.
Un’archiviazione doverosa sembrerebbe inevitabile a questo punto, ma invece, nulla di ciò avviene ed anzi i Maiolica rimangono indagati e il p.m. ne chiede il rinvio a giudizio nel 2008 quando il permanere dell’imputazione aveva già reso i suoli invendibili e l’azienda si avviava al fallimento con centinaia di licenziamenti.
Sola la sentenza della II sez, penale del Tribunale di Salerno renderà giustizia assolvendo i Maiolica nel Maggio 2013; e lo farà con una formula di rara applicazione: l’assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ossia l’evidenza assoluta dell’innocenza degli imputati, ricavabile de plano dalla lettura degli atti. In altri termini, non avrebbero dovuto essere mai imputati!
Allora perché lo sono stati, e mantenuti in tale status per anni?
Le cronache di quegli anni 2004 – 2005 riportavano l’esistenza di un grande scontro sulla conduzione della Procura della Repubblica di Salerno tra il Procuratore dell’epoca e i due Procuratori Aggiunti. In particolare, anche con segnalazioni ufficiali, da tempo i due Procuratori Aggiunti criticavano l’accentramento dei processi più delicati nelle mani di qualche sostituto particolarmente vicino al capo con una spiccata tendenza inquisitoria, tanto da rasentare, non poche volte, eccessivi comportamenti vessatori nella conduzione delle indagini.
Ad appesantire il clima, le diffidenze createsi per effetto di un procedimento disciplinare che aveva coinvolto tempo prima il Procuratore Capo stesso, poi assolto, ed in cui i due aggiunti erano stati testi di accusa.
Le cose degenerarono, giacchè, in obiettiva coincidenza temporale col progredire delle sventure processuali dei Maiolica, i due Procuratori Aggiunti avevano allertato l’Ufficio, indipendentemente l’uno dall’altro, sulle anomalie di quel processo; l’uno aveva avvertito informalmente l’Ufficio che gli imprenditori erano delle vittime, e di questo intendevano parlare con gli inquirenti di quanto a loro conoscenza (ma non furono mai ascoltati), e l’altro aveva esercitato inutilmente il proprio doveroso controllo sulle indagini in corso.
I due magistrati furono deferiti al CSM dal Procuratore per illegittima interferenza nelle indagini del processo e i Maiolica furono imputati di lottizzazione abusiva, nonostante la chiara pronuncia della Cassazione in senso contrario!
È chiaro che questo loro status di imputati connotava negativamente le affermazioni dei due Procuratori Aggiunti (sembrava quasi che volessero intercedere in favore di presunti colpevoli). Un’archiviazione, già all’epoca doverosa, avrebbe dato ragione ai Procuratori Aggiunti (il loro intervento sarebbe stato considerato doveroso per degli innocenti indagati).
Del resto il tema della giustizia immediata, senza ritardi, è stato oggetto di riflessioni fin dall’antichità.
“Se riconosci che qualcosa è ingiusto, cerca di impegnarti subito a porre fine all’ingiustizia: perché mai aspettare l’anno prossimo?”.
E’ questa una frase di Meng Tzu, ossia il maestro Meng, uno dei più celebrati pensatori cinesi di matrice confuciana vissuto tra il IV –III sec. a.c.
E’ una lezione semplice di etica e di vita che potremmo accogliere senza esitazione anche noi: la prontezza nel rendere giustizia.
Molte volte è forte la tentazione di rimandare con la sottile speranza che le tensioni si stemperino, che le difficoltà si dissolvano, che le ingiustizie si appianino. Qualche volta, però, come nel caso in oggetto, può accadere che i problemi si aggravano, le situazioni si incancreniscono, i grovigli si infittiscono.
La lentezza nelle decisioni deve valere solo per lasciare spazio alla riflessione e per evitare il colpo di testa o l’irruenza dell’istinto, non può servire per trascinare per le lunghe i propri doveri o peggio ancora per divenire strumentale ad altri fini.
Questo concetto è così universale che lo si ritrova anche nel monito biblico, quindi anche in un’altra fede religiosa: “non dire al tuo prossimo: va, ripassa, te lo farò domani! Se tua hai ciò che ti chiede”.
Non è finita! In molti, come me, seguirono il procedimento dinanzi al CSM a carico dei due Procuratori Aggiunti, trasmesso da Radio Radicale.
Chi mastica almeno un poco di diritto rimase non poco perplesso da quanto stava avvenendo innanzi la II sez. disciplinare dell’organo di autocontrollo: a distanza di molti mesi dall’entrata in vigore della legge Mastella di riforma dell’ordinamento Giudiziario, che prevedeva la procedura con il codice Rocco del 1930 per i fatti commessi fino al giugno 2006 del codice Vassalli per quelli commessi dopo tale data, la sezione disciplinare interpretò in modo alquanto singolare la legge più importante che la riguardava; decretò che nel caso in esame, riguardante i due aggiunti per fatti del 2004, andava seguita la procedura del codice Vassalli, valida per i fatti dal giugno 2006 in poi.
Alle repliche incredule dei due Procuratori Aggiunti, la sezione disciplinare si ritirò in una lunga camera di consiglio per studiare la legge e capire quale codice applicare. Uscì con un’ordinanza – a mio avviso sbagliata – in cui disse che, nel caso in oggetto, si applicava il Codice Vassalli mentre il Procuratore Generale della Cassazione, p.m. dell’udienza, continuava a ritenere che si dovesse applicare il codice Rocco del 1930, opponendosi, alla fine del dibattimento, alle memorie scritte conclusive degli incolpati per il motivo che il vecchio codice Rocco non permetteva tali forme di difesa.
In buona sostanza, il CSM decise l’applicazione al procedimento del codice Vassali, ma agli incolpati non fu consentita la difesa effettiva sulla scorta di norme del codice Rocco.
Il tutto in diretta radiofonica nazionale (registrato).
La sentenza? Condanne, seppur lievi, per i due Aggiunti e una tardiva affermazione, nelle motivazioni scritte della sentenza del CSM, che al caso andava applicato il codice Rocco (dimenticando di citare l’ordinanza che in udienza aveva affermato esattamente il contrario).
Sorvolo sulla validità giuridica dell’istruttoria in udienza; ricordo che il Presidente della sezione disciplinare, dopo la decisione sul codice da applicare (Vassalli), delegò la conduzione dell’esame del primo incolpato (atto a difesa) al p.m., cioè all’accusa; subito dopo il Presidente si ricredette e per il secondo Aggiunto delegò l’esame alla difesa.
Nello stesso procedimento, cioè, per due situazioni analoghe, due diverse procedure.
Un processo così in un Tribunale normale sarebbe stato una pacchia per la difesa in appello!
Ora tornando al probabile futuro processo per danni milionari che gli imprenditori falliti e le centinaia di lavoratori licenziati avanzeranno contro l’erario, sempre per parlare di colpa grave, mi sembrerebbe ingiusto che gli strali dei danneggiati si appuntassero solo verso il p.m. dell’inchiesta.
Che cosa fecero quelli che, pur potendo fermare l’ingiustizia (perché conobbero le carte), non intervennero per impedirla?
Perché il CSM, davanti al quale le anomalie del procedimento furono evidenziate dai due aggiunti, non disse nulla, sanzionando invece questi ultimi?
Perché non fece nulla il Procuratore Generale della Cassazione, che pure aveva potere di iniziativa?
Nelle università ci insegnano che l’omissione di un intervento dinanzi ad un pericolo verso il quale si ha il dovere di intervenire, viene classificato dal diritto come concausa degli effetti dannosi successivi.
Se ci riflettiamo il danno di 30 milioni di Euro che i Maiolica hanno dichiarato di vantare potrebbe avere diverse paternità!
Infine, un’ultima domanda mi assilla: se il CSM fosse intervenuto diversamente, si sarebbe verificato o no, appena un anno dopo, quel conflitto tra la Procura di Salerno e la Procura di Catanzaro che attirò gli anatemi del Presidente della Repubblica sugli Uffici salernitani e il fuoco purificatore della sezione disciplinare sui suoi sostituti a partire dal Capo, sanzionati pesantemente per eccessi inquisitori?
Resta solo la consolazione, perlomeno per me, che il tempo è stato – come sempre- galantuomo. Quel procedimento disciplinare, celebrato con modalità degne dei processi storici raccontati ed analizzati da Franco Cordero in bellissime pagine di vero Diritto, è naufragato di fronte agli accadimenti che hanno reso giustizia agli imprenditori imputati.
Non bisogna comprendere l’ingiustizia solo quando si è oggetto della stessa, cioè quando si è toccati sul vivo. Io ho sentito il dovere di ricordare quelle vicende disciplinari per trasferire almeno un po’ dell’autenticità dell’impegno a reagire contro le ingiustizie, anche quando esse colpiscono gli altri. Io penso che il rigore morale costante e la coerenza sistematica sono la cartina di tornasole di una coscienza veramente etica.
L’offesa inflitta all’altro deve lasciare anche una traccia nella nostra anima proprio perché ci dobbiamo schierare per la giustizia in sé e non solo per quella che va a nostro uso e consumo.
Gli incolpati di allora hanno ottenuto giustizia dalla sentenza del Tribunale di Salerno, il loro accusatore e sue fonti , invece, non si vedono più in giro nel nostro Tribunale.