Filippo Ispirato
Alcuni giorni fa è risaltata su tutti i principali quotidiani finanziari europei e del nostro paese la notizia che la Germania, per la seconda volta dal secondo dopoguerra, si appresta a raggiungere la quasi piena occupazione, che in termini quantitativi si traduce in un tasso di disoccupazione attorno al 4%. Un livello simile si è raggiunto solo ne raggianti anni ’60 del boom economico, un periodo favorevole per l’intera Europa occidentale, Italia compresa. Ad oggi il tasso di disoccupazione nei Lander occidentali, che formavano l’ex Repubblica Federale Tedesca, si attesta già al 6%, mentre quello nei Lander dell’Ex blocco sovietico della DDR si aggira attorno all’11%, dei valori inimmaginabili per il disastrato sud Europa. I punti di forza dell’economia di Berlino sono il rigore dei suoi conti pubblici ed il ritmo di crescita sostenuto delle sue esportazioni favorito, in particolare nell’Eurozona, dalla moneta unica, che rende relativamente meno onerosi i prodotti tedeschi che già si contraddistinguono per la loro eccellente qualità rispetto a quelli realizzati in altre nazioni concorrenti. Una situazione questa che fa dormire sonni tranquilli alla Merkel e al suo governo e che ha permesso ai sindacati tedeschi di ottenere aumenti salariali per operai ed impiegati; una situazione diametralmente opposta a quella dei suoi vicini Francia e Olanda, alle prese con lo sforamento del loro rapporto Deficit/Pil rispetto alla soglia del 3% richiesta dai parametri di Maastricht, o di Italia e Spagna, alle prese con una disoccupazione galoppante. A Madrid, mese dopo mese, si registrano nuovi record negativi del tasso di disoccupazione e ad oggi si è arrivati ad un allarmante 27,6%. La minaccia principale per la Germania, in una situazione tanto florida, può essere rappresentato soprattutto dall’inflazione, a seguito degli aumenti salariali, e l’obiettivo principale per la sua politica economica sarà quello di mantenerla sotto controllo. La Banca Centrale Europea, responsabile della politica monetaria dell’intera Eurozona, dovrà tenere ben presente la situazione dei tanti paesi membri con esigenze e situazioni economiche diametralmente opposte tra loro: da una parte nazioni forti ed in piena crescita, come Germania e Finlandia, e dall’altra paesi in grande affanno, come Portogallo, Grecia, Italia o Spagna. Draghi nell’ultima riunione della Banca Centrale Europea a Francoforte ha tagliato nuovamente i tassi di interesse allo 0,50%, per sostenere le economie deboli dell’unione, per favorire l’accesso al credito delle imprese e dare nuovi stimoli alle loro economie a causa del ristagno dei consumi. Queste manovre di politica monetaria espansive fino a quanto saranno tollerate da paesi come la Germania il cui unico rischio per la sua solida economia è rappresentato esclusivamente dall’inflazione, considerato anche che è il principale azionista di riferimento all’interno proprio della Banca Centrale Europea? Proseguire con il continuo abbassamento dei tassi di interesse per aiutare le economie dei paesi in difficoltà, infatti, potrebbe causare l’aumento del tasso di inflazione all’interno di Eurolandia che è proprio quello che vuole evitare Berlino, da sempre preoccupata dell’aumento del livello dei prezzi. Spetterà alla Banca Centrale, e al suo presidente Mario Draghi, il difficile compito di dover scegliere che indirizzo dare nei prossimi mesi alle prossime azioni di politica monetaria in un periodo difficile come quello attuale, in cui sono affiorate con forte criticità tutte le debolezze dell’Unione Europea in cui le decisioni politica monetaria e fiscale sono separate tra loro e in cui bisogna tener presente le esigenze, a volte molto diverse, dei suoi paesi membri.
Complimenti!