Aldo Bianchini
PAGANI – Prima udienza del processo alla cosche mafiose palermitane. Nell’aula c’è fermento, l’attesa è vivissima, è il giorno in cui la procura di Palermo tocca l’apice della sua storia. E’ in arrivo l’imputato eccellente: Giulio Andreotti, come una parte della storia del nostro Paese, nel bene e nel male. Telecamere, cineoperatori, fotografi, paparazzi centinaia di giornalisti. Giulio Andreotti arriva puntualissimo alle nove, come è nel suo costume. Appena varca l’emiciclo e prima di sedersi sulla panca degli imputati si avvia verso il suo inquisitore, Giancarlo Caselli, e gli stringe la mano. La foto di quella stretta di mano sarà pubblicata su tutti i grandi giornali del mondo. Un grande esempio di come si rispetta e si interpretano i vari ruoli, o la varie alchimie procedurali, che la giustizia offre sia agli inquirenti che agli imputati. Poi ci sono i giudici che giudicano e sentenziano. Quanti di noi quel giorno hanno pensato che, sotto sotto, qualcosa di vero Caselli pure la diceva ovvero quanti di noi, quel giorno, hanno pensato ad una giustizia vergognosa che metteva sotto processo uno dei “padri della patria” ? Tantissimi, ma la giustizia comunque ha vinto e Andreotti è stato assolto dopo anni di dibattimento. Prima di arrivare a Palermo, però, più volte il presidente del consiglio dei ministri aveva spesso detto e ridetto che nel rapporto con la stampa bisogna sempre essere cauti e che non bisogna mai rispondere alla notizia con una precisazione perché si rischia di dare la notizia due volte. Queste le due lezioni di Andreotti. La prima vale per tutti noi, compreso Valentino, che pur nel comprensibilissimo e sofferto calvario giudiziario che ha investito il padre dovrebbe ricordare che “la giustizia in nome del popolo” l’amministrano i giudici dinnanzi ai quali sia il pm che l’imputato portano le prove della colpevolezza o dell’innocenza. Semmai esiste distorsione da parte della pubblica accusa o della difesa sarà il giudice a valutare e decidere dall’alto della sua “terzietà”. E’ vero, però, quello che dice lo stesso Valentino in merito al “gioco non corretto delle parti”, e nel merito suona ancora male l’esternazione che il PM fece all’inizio del processo con quel poco accorto <<a me piace vincere>>; ma al di là delle presunte scorrettezze delle parti (tutte da dimostrare !!) c’è un dato inoppugnabile che va comunque esternato. Sincerità per sincerità devo confessare che il gioco recitato dal pm Vincenzo Montemurro nell’ambito del processo “Linea d’ombra” è stato un gioco che per certi versi mi ha convinto, non della colpevolezza degli imputati ma della scarsa convinzione, in termini di prove oggettive, con cui le difese hanno aggredito la pubblica accusa. Bisognerà, però, aspettare il loro turno, cioè le agognate arringhe per poter dare una valutazione più serena ed aderente alla realtà dei fatti. La seconda lezione di Andreotti dovrebbe interessare direttamente l’ex presidente della Provincia, on. Edmondo Cirielli, che poteva benissimo evitare di fare una precisazione su alcune affermazioni del PM nel corso della requisitoria. Quella frase <<sono stato frainteso all’indomani degli arresti a Pagani, ma non avevo alcuna intenzione di suggerire agli investigatori che il futuro processo potesse essere di camorra….non avevo mai notato niente di sospetto su Gambino, se lo avessi notato a differenza di Bottone l’avrei denunciato…>> apre, è vero, una riflessione politica a lungo termine ma suona come una riconferma di quanto già detto. Fatto che il PM ha abilmente sfruttato per avallare, facendo ricorso ai cosiddetti “sofismi giuridici”, la sua teoria accusatoria che per essere leggermente credibile deve avere il marchio della “collusione camorristica”. Premesso che, forse, l’obiettivo vero di tutta l’inchiesta sul “Sistema Pagani” era proprio l’ex presidente della provincia, una volta fallito l’obiettivo la pubblica accusa ha utilizzato le parole di Cirielli, le ha capovolte e le ha rese credibili fino al punto da far rizelare lo stesso presidente della Commissione Parlamentare di Difesa che è caduto nella trappola della precisazione a mezzo di un solo organo di stampa, al contrario del PM la cui dichiarazione è andata su tutta la stampa. A volte è preferibile il dovere di tacere rispetto al coraggio di parlare.
Potremmo dire…il coraggio di tacere! Ma tutti si affannano a farsi sedurre e fottere da questa ammaliante femmina che è la stampa e ci rimettono….le penne!
Caro direttore,ho pienamente fiducia nella giustizia se per essa si intende quella che applicano i giudici nel dare le sentenze,ma se si intende per giustizia quella per cui innocenti vanno in galera,quella per cui la maggior parte dei detenuti sono in attesa di giudizio,quella per cui la maggior parte dei processi poi risultano essere inutili,sinceramente di questa non ho fiducia.Ecco, l’esempio di Andreotti di cui sopra avvalora ancora di più la mia tesi,secondo cui si è perso tempo e soldi per indagarlo per poi risultare innocente,fortunatamente e dico fortunatamente, ci sono poi i giudici che giudicano e applicano la legge.Direttore,vorrei farvi una domanda,mi dite che fine ha fatto la dottoressa Volpe? Secondo voi è un caso che l’ultima apparizione risale al giorno in cui il testimone Annaclerico disse di aver avuto delle minacce nella caserma dei carabinieri?
Io penso di no,e in quella udienza la dottoressa Volpe da buon pubblico ministero andò a fondo della questione cercando di capire chi fosse l’ufficiale ad aver minacciato il signor Annaclerico,ecco come intendo io il ruolo del pubblico ministero,ecco che mi sento fiducioso dinanzi ad un comportamento simile.
Direttore,vi prego di non rispondermi che la dottoressa è impegnata nell’indagine Due Torri, perchè penso che il processo Linea d’ombra sia leggermente più importante,e per un pubblico ministero sia un occasione importante per affermare il proprio valore,quindi facendo un po i conti la risposta è logica.
Un saluto.