Gambino/86: la sacralità del processo

Aldo Bianchini

NOCERA INF. – La reazione, molto garbata, della famiglia Santilli non si è fatta attendere; fortunatamente devo dire, perché in un discorso democratico non devono mai mancare le due voci in campo, la pluralità è un cardine non solo per l’informazione ma anche per la sopravvivenza della stessa democrazia. Continuo, comunque, a rimanere fermo sulla mia concezione di fondo della giustizia perché (lo dice George Bernard Shaw) “La giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio”. Il PM, in aula, può e deve dire quello che crede importante ai fini processuali, anche che un imputato è “un finto moralista”; per cui importa veramente poco cosa il giovane Santilli abbia detto al pm Montemurro davanti al bar del Tribunale, così come importa pochissimo se Montemurro abbia messo o meno la mano sulla spalla al giovane mosso solo dal nobilissimo sentimento di amore per il padre; importa altresì poco se il PM abbia continuato a camminare sui suoi passi e veramente molto poco importa l’intervento, più o meno incerto, della scorta. Ognuno ha le sue ragioni da vendere e sono tutte ragioni credibili che, però devono rimanere seppellite all’interno della nostra coscienza e del nostro modo di vedere le cose, soprattutto quelle giudiziarie. Dico questo perché il problema principale, e mi riferisco al processo “Linea d’Ombra”, è e rimane la cosiddetta “sacralità del processo” che deve essere rispettata da tutti: collegio giudicante, pubblici ministeri, avvocati, giornalisti e pubblico. Nelle poche volte che sono stato presente in aula, sia quella bunker che l’ordinaria, ho potuto constatare che la sacralità non è stata affatto rispettata. Eccezion fatta per il Collegio Giudicante non mi è parso, in nessuna occasione, che gli attori in campo abbiano svolto la loro parte in maniera scrupolosa e rispettosa. Capisco tutte le esigenze della carta stampata e della tv (ne faccio parte quindi le conosco fino in fondo), capisco anche la tensione e la rabbia che serpeggia nel pubblico per un “processo lungo e strano”, ma l’aula in cui si svolge il processo al cosiddetto “Sistema Pagani”, con imputato eccellente Alberico Gambino, mi sembra più un “set cinematografico” che un luogo “severo e sereno” in cui fare giustizia. I giornalisti (più giornaliste ad onor del vero !!) che corrono appresso ai pubblici ministeri ed agli avvocati, chiacchiericci fitti, e gli stessi pubblici ministeri ed avvocati che si girano dalla parte dei giornalisti se questi ultimi, per caso, non hanno cominciato a correre dietro di loro; il pubblico che applaude o protesta come se fosse in una torcida brasiliana anziché in un’aula di tribunale. Non vi dico cosa succede, poi, fuori dall’aula nell’ampio piazzale e nei viali che portano dal palazzo verso il bar e che cosa accade nello stesso bar. Si fa quasi a gara per offrire o farsi offrire il caffè dai tantissimi avvocati presenti, qualche volta anche con i PM (ma il fenomeno è più raro !!); c’è questo corteggiamento continuo ed assillante. Insomma è un palco su cui si recita. Punto. Per carità probabilmente non c’è niente di male, anzi sicuramente non c’è niente di male; ognuno svolge il proprio lavoro come meglio crede, tanto niente e nessuno potrà mai influire sugli esiti processuali; ma bisognerebbe salvaguardare la forma e ridare subito sostanza all’essere per apparire, principio che non può e non deve valere solo per i magistrati. Forse è anche questa la lezione che ci viene dall’atteggiamento molto sereno e paterno (per quanto attiene l’accaduto al bar !!) del pm Vincenzo Montemurro. Spesso mi sono chiesto, e mi chiedo ancora, perché io personalmente non faccio mai questi inutili salamelecchi, ma ciò non mi impedisce di scrivere e di approfondire sia le notizie che lo stesso processo. Certo, anche io conosco e saluto i Pubblici Ministeri, così come saluto il Collegio, non ometto il doveroso saluto verso tutti, dico tutti, gli avvocati e rispetto il pubblico; ma non ho mai chiesto a nessuno di loro confidenze o rivelazioni perché le ho sempre ritenute “di parte” e soprattutto perché cerco di rispettare alla meglio e per quanto possibile la “sacralità del processo”.  Ci vuole una presa di posizione decisa da parte del Collegio Giudicante che fin qui è stato assolutamente  democratico, forse troppo. Non si può rischiare di arrivare a martedì prossimo, quando il PM declamerà le sue richieste di condanne o di assoluzioni, avendo in aula  una confusione tra magistrati-avvocati e giornalisti e, soprattutto, una torcida dall’altra parte del vetro che separa il pubblico dall’aula. Se non saranno adottati dei correttivi non ci dobbiamo, poi, meravigliare che un qualsiasi parente di un qualsiasi imputato si senta in diritto di dire la sua. Tutti in fretta dobbiamo capire che il luogo dove si svolge il processo, un qualsiasi processo, è come la “cripta di un santuario”; in quel luogo, al posto del cuore di un santo, c’è l’essenza della giustizia, la credibilità del sistema e la sovranità del popolo.

2 thoughts on “Gambino/86: la sacralità del processo

  1. Ottime argomentazioni e tanta passione! Bravo!!!! Quando non fai politica dai il meglio di te stesso.

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