Alfonso D’Alessio
Non voglio entrare in merito alla campagna elettorale delle presidenziali statunitensi. In questi giorni se ne parla già tanto, anzi se ne straparla e si fa un uso leggero delle affermazioni dei candidati, o di alcuni a questi vicini. È il caso di Richard Mourdock, candidato repubblicano al senato, il quale ha affermato che “la gravidanza provocata da uno stupro è qualcosa che Dio ha voluto”. Chiariamoci subito, una cosa è lo stupro, un’altra è la vita che da esso nascerebbe. Per il primo aspetto è matematico che Dio non lo voglia, per il secondo immediatamente è stato cavalcato il tema dell’aborto e della sua liceità e alcuni si sono proposti come latori del pensiero del Creatore. Meglio sarebbe attenersi a ciò che nella Rivelazione ha comunicato. Un punto cardine è la certezza che Lui è sempre a favore della vita e contro la morte! Qualunque dubbio verrebbe fugato dal sacrificio compiuto sulla croce, e che è servito a sconfiggere definitivamente la morte attraverso la Resurrezione. Tutti i discorsi sulla liceità o meno dell’aborto prendono il via da due vizi di forma non considerati per ovvi motivi dai non credenti, ma qualche volta accarezzati da coloro che in buona fede si professano tali. Il primo risiede nel non considerare che datore della vita, signore di essa, e’ proprio il Signore e non l’uomo. La vita non è proprietà esclusiva di cui farne ciò che vogliamo, bensì e’ un dono di cui renderemo conto e attraverso il quale scegliamo quale collocazione avere nell’eternità. Il secondo vizio, peggiore del primo in quanto ha ricadute su altre vite, è partire sempre dalla prospettiva soggettiva, dai propri egoismi, dal proprio volere, dalla presunta prerogativa che ci sia stato conferito il potere di decidere tutto sugli altri. Ma è proprio così? Mi chiederei, per il caso in specie da cui siamo partiti, che colpa ha il figlio dello stupro della violenza attraverso la quale è stato concepito? È lecito che paghi con la morte per un male non commesso? Strana la nostra difficoltà nel rispondere chiaramente che non è consentito decidere tutto degli altri. Non siamo noi quelli che storcono il naso verso qualsiasi forma di imposizione esterna? Da cattolico, alla luce del comandamento dell’amore che è così paradossale da giungere fino al nemico, misura che gli conferisce merito e distinguo rispetto alla filantropia, mi domando se davvero sia impossibile trovare l’equilibrio tra il desiderio di rispondere alla violenza con una violenza peggiore, e la logica della fede che spezza le catene dell’odio con l’amore. Nell’eventuale acclarata impossibilità, scorgerei la sconfitta dell’umanità. La coscienza di ognuno, libera da compromessi elettorali, da ideologismi di sorta, e alla luce di una scelta fondamentale senza la quale si resta nel limbo altalenante del chiaro scuro, troverà la risposta. Attenzione però a giocare con la vita altrui, siamo liberi di farlo, anche il Signore si ferma innanzi ad essa, ma la libertà non è mai disgiunta dalla responsabilità, e per noi cristiani essere cantori della vita e non della morte è un imperativo inderogabile e non negoziabile. Lasciamo a Dio il suo “mestiere”. Tra l’altro una società incapace di accogliere i figli dell’odio e di integrali guardando a loro con uno slancio d’amore autentico, ed eventualmente di sostenere o subentrare ad una madre che non si sente di andare oltre l’odio, a mio avviso statuisce la propria incapacità di crescere e maturare.