Caso Foxconn: è questo il futuro che vogliamo?

 

Filippo Ispirato 

Taiyuan, capoluogo dello Shanxi, una delle regioni a maggiore vocazione manifatturiera della Cina, è teatro in questi giorni di continui scioperi presso il complesso industriale della Foxconn.Secondo indiscrezioni trapelate da alcuni social network di Pechino e Shangai subito rimosse dal Governo, si tratta di uno sciopero scaturito all’indomani della maxirissa scatenata dal pestaggio da parte di una guardia giurata ad un operaio che rifiutava di “fornire” ore di straordinario all’azienda.L’azienda in questione, la Foxconn, non è nuova ad episodi del genere, ed è famosa per le condizioni di lavoro molto dure a cui sono soggetti i suoi dipendenti e per l’alto numero di suicidi che si verificano all’interno della sua struttura.L’ennesimo sciopero dimostra come siano diventate insostenibili le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori di quella parte di mondo, in cui la parola d’ordine è abbassare i costi della manodopera e aumentare sempre di più gli utili per gli azionisti. Un popolo che già nei primi anni del secolo scorso, attraverso la Rivolta dei Boxeur, dei pugili, ha saputo opporsi tenacemente alle potenze straniere. Cambiano i tempi e si è passati da un  imperialismo coloniale e ad uno di stampo economico.L’Europa, e l’Italia non fa eccezione, sta attraversando un periodo molto difficile in cui, per combattere la concorrenza dei paesi emergenti, è costretta ad abbandonare sempre più lo stato sociale ed il welfare costruito negli anni in nome della produttività. Spesso, però, parlare di produttività serve a nascondere la necessità per i grandi manager di rendere sempre più remunerativa l’azienda per azionisti e stakeholders in genere.Un’idea nata agli inizi degli anni ’80 e sviluppatasi in maniera impetuosa a partire dalla caduta del Muro e dall’uscita dal comunismo economico delle due superpotenze asiatiche di India e Cina, in cui era possibile trovare dei nuovi mercati con un costo della manodopera notevolmente inferiore a quella nordamericana, europea o giapponese.Nel corso degli anni si sono giustificati tagli al personale e diminuzione di salari in nome della produttività a scapito del benessere dei lavoratori e della classe media, che spesso è l’ossatura di una società civile.La concorrenza si combatte con prodotti di qualità, con le eccellenze che ogni sistema paese è in grado di produrre, che in Italia si traduce tra gli altri in meccanica di qualità, design, moda, agroalimentare o industria turistica. Una cosa che dovrebbe tenere a mente in questi giorni qualche grande manager del comparto automobilistico attento più ai costi del personale e alla chiusura di stabilimenti industriali e meno della produzione di modelli validi che aumenterebbero probabilmente la quota di mercato.Una regola fondamentale da seguire per rendere forte il sistema produttivo di un paese è quello  di unire alla produzione di qualità un buon management che sia in grado di  creare non solo profitti ma, cosa assolutamente da non sottovalutare, creare un ambiente di lavoro favorevole, in quanto condizioni di lavoro migliori  comportano una produttività aziendale più alta.

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