Aldo Bianchini
PAGANI – Dopo decine e decine di puntate di questa lunga telenovela legata al processo “Linea d’ombra” sul cosiddetto “Sistema Pagani” che vede coinvolti l’ex sindaco Alberico Gambino ed altri dieci elementi, tutti inevitabilmente legati al Comune di Pagani, mi viene il forte dubbio che qualcosa non quadra in questa montatura processuale. Ma c’è di più, dalla rilettura degli atti emerge un’enorme anomalia che incombe su tutto il processo. Per capire meglio si deve andare con ordine. In pratica tutte le accuse a carico degli imputati derivano, secondo la pubblica accusa, dall’illegittimità di molti atti comunali deliberati e prodotti sulla base di intimidazioni, pressioni, estorsioni di alcuni amministratori su alcuni funzionari e impiegati al fine di favorire interessi esterni al Comune e riconducibili a personaggi in odore di camorra. Insomma la sostanza dell’accusa è questa: in Comune si era instaurato un clima di tensione e di terrore per far passare decisioni a tutto vantaggio di un presunto clan camorristico. Questa accusa si regge sulle dichiarazioni, più o meno spontanee, di alcuni dipendenti comunali che come folgorati sulla “Via di Damasco” hanno improvvisamente riconquistato la parola e la legalità. E si !!, perché per un certo lasso di tempo anche loro hanno operato nell’illegalità e nell’omertà consentendo con il loro atteggiamento remissivo che alcune pratiche passassero via lisce con il marchio della legalità. Non spetta a me giudicare perché ad un certo punto questi dipendenti hanno deciso di “passare il Rubicone”, ma se è vero il castello accusatorio contro un gruppo maggioritario interno al Comune, si dovrà anche riconoscere che il passaggio tra la legalità e l’illegalità di alcuni atti amministrativi (determinazioni, delibere, ecc.) ha necessariamente bisogno di una supervisione che, nel nostro sistema amministrativo, è affidata al “segretario generale” del Comune. Ed è tutta qui l’anomalia del processo. Da un lato abbiamo gli accusati, dall’altro gli accusatori e in mezzo il “segretario generale” che è uscito indenne, tranne una accusa ritardata e risibile per subornazione, dal novero delle richieste d’incriminazione. Eppure il “segretario generale” ha avallato e legittimato quasi tutti gli atti che la pubblica accusa ha ritenuto illegittimi e diretti al favoreggiamento del gruppo di stampo camorristico che è tuttora agli arresti domiciliari. Delle due l’una; o il segretario generale non sa fare il suo mestiere o il castello di accuse è fondato sul nulla. Ma c’è ancora di più. Il segretario generale, nella fattispecie la dottoressa Ivana Perongini, risulta addirittura nell’elenco dei testi della difesa ed in tale veste (anche se non potrà giurare!!) la sentiremo deporre in aula nel prossimo mese di settembre. Poi ce la prendiamo con le presunte bond-girl ree soltanto di voler raccogliere elementi atti a definire la verità e non certo per portare avanti la “favola del complotto” che secondo Alfonso Giorgio sarebbe stata finalmente smascherata. Giorgio, forse, vive su un altro pianeta perché che, ad esempio, la mancata incriminazione della Perongini potrebbe voler dire anche un’altra cosa. In pratica la Procura avrebbe apoditticamente riconosciuto la validità e la legalità di tutti gli atti amministrativi sottoscritti dal segretario generale ma in essi avrebbe colto un’intenzione perversa degli amministratori a favore di alcuni camorristi. Insomma potremmo trovarci di fronte ad un vero e proprio “processo al pensiero” che la grande cinematografia americana ha meravigliosamente tradotto in “Minority Report”, cioè una specie di processo preventivo finalizzato alla destabilizzazione del quid-criminale che si annida in ognuno di noi, anche a nostra insaputa. Non faccio l’avvocato della difesa e nemmeno il rappresentante della pubblica accusa, ma questa storia somiglia sempre di più e soltanto ad maldestra lotta politica, anche al di là della più impensabile delle “favole di complotto”, e così non si va da nessuna parte. Sarà sufficiente aspettare poche settimane per la ripresa del processo che certamente ci dirà di più sia nell’uno che nell’altro senso. In fondo la legge è uguale per tutti e la giustizia viene fatta sempre nel nome del popolo, almeno sulla carta. Alla prossima.
e vai direttore – LEI STA A GAMBINO COME FEDE STA A BERLUSCONI