Seppur non si siano manifestati considerevolmente, fino a qualche giorno fa gli effetti della crisi siriana nel vicino Libano sono stati del tutto latenti, ma tra mercoledì e giovedì scorsi il sequestro di decine di siriani ad opera di uomini dal volto coperto ha fatto riemergere antiche paure, evidenziando quanto i due Paesi siano ancora legati da un filo invisibile. Presi con la forza dai loro posti di lavoro- negozi e cantieri-, i siriani sequestrati potrebbero essere stati rapiti per poi essere usati come merce di scambio dal clan dei Miqdad, allo scopo di ottenere la liberazione dei libanesi sciiti rapiti in Siria dall’Esercito libero siriano. Infatti, tra questi ultimi vi sarebbe anche Hassan Miqdad, membro del clan, accusato dai ribelli siriani di essere un combattente di Hezbollah- partito legato agli attuali regimi siriano e iraniano- , mandato in Siria insieme ad altri 1.500 sciiti in appoggio all’esercito di Assad.Questi episodi non sono del tutto nuovi nel Paese dei Cedri che nel 2005, in seguito all’attentato in cui rimase ucciso l’ex premier sunnita Rafiq Hariri, ha accusato Damasco di aver architettato l’assassinio, causando la fuga di parecchi siriani che lavoravano in Libano.Nel mirino dei sequestratori non ci sono solo i siriani, ma anche i turchi, a causa della politica di appoggio di Ankara ai ribelli. Anche i Paesi del Golfo- molti dei quali forniscono aiuti ai ribelli- hanno ordinato ai propri cittadini di lasciare il Libano.Oggi la città di Beirut appare blindatissima e fortemente militarizzata, ancora più del solito, ma la paura è ben diffusa in tutto il Paese che teme per “l’unità nazionale”, fin troppo precaria anche senza la crisi siriana. Gli scontri tra sostenitori –più che altro sciiti- di Assad e quelli dei ribelli- a maggioranza sunnita, invece,- non sono una novità, con il pericolo, però, sempre più concreto di un’altra guerra civile.