In settimana ho partecipato ad un dibattito televisivo con il ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania, ed il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, presso la sede dell’agenzia di stampa ADNkronos. Un rappresentante delle istituzioni e un rappresentante degli operatori del settore agricolo potrebbero sembrare troppo distanti dal campo di interesse e di competenza di un ricercatore che si occupa di energia e di nuove tecnologie, per non far sospettare che si trattasse di un trio assortito frettolosamente a causa, forse, di qualche defezione dell’ultimo momento…E’ vero che, chi ha la pazienza e la benevolenza di leggere qualcuno dei miei articoli sul Quotidiano di Salerno, sa che cerco di contribuire alla tutela dell’ambiente. Tuttavia, se non si considera un aspetto emergente delle politiche economiche, l’accostamento apparirebbe comunque poco comprensibile.L’aspetto a cui mi riferisco è la Green Economy, l’economia ambientale. Se ne comincia timidamente a parlare, ma non esiste ancora, o almeno non è universalmente accettata, una definizione univoca di cosa sia la Green Economy. Di solito si spiega attraverso esempi ed analogie, ma non penso di discostarmi troppo dal cuore della questione dicendo che è quella forma di promozione delle attività economiche (e sociali) che utilizza le risorse ambientali in modo rispettoso e “sostenibile”, consentendo alla risorsa stessa di rinnovarsi e rigenerarsi. Riproduzione ciclica contrapposta a consumo. Una lezione impartita dai naturalisti che abbiamo sempre stentato ad assimilare. Riflettiamo un attimo. Consumo. Non me ne vogliano gli amici delle associazioni dei consumatori, di cui condivido tante battaglie, ma il nome che si sono assegnati mi è sempre sembrato impari alla nobiltà della loro causa. Questione semantica, certo, ma le parole esprimono concetti, che veicolano idee.Chi consuma, utilizza una materia vergine o un prodotto raffinato e lo degrada a scarto o rifiuto. Questa visione è tipicamente (e colpevolmente) umana. In natura, non esiste niente di simile ad uno scarto. Il prodotto di una specie è nutrimento per un’altra o è riutilizzato dalla stessa per altri scopi. L’homo -autodefinitosi- sapiens sapiens (perchè un sapiens solo gli sembrava poco) cosa fa? Consuma. Produce montagne di rifiuti, fa un bel buco per terra, che chiama discarica, e ce li butta dentro, finchè non lo riempie. E poi? Nel caso migliore ci mette sopra un coperchio, quindi fa un’altro buco da un’altra parte e riempie pure quello. Questo è il comportamento del due volte sapiens. Certo l’appellativo non se lo è conquistato per la sua lungimiranza…Eppure, ormai ci sarebbero tutti i presupposti per attuare una raccolta differenziata che consentisse di riutilizzare quelle che ora sono ritenute materie di scarto E qui torno al dibattito. Il riuso, la rigenerazione, la nuova vita di ciò che è stato utilizzato. Ci sono mille possibili svolgimenti di questo tema e ne abbiamo affrontati alcuni. Il consumo del terreno agricolo, (ogni giorno in Italia ne perdiamo circa cento ettari, l’equivalente di oltre centocinquanta campi di calcio), che viene destinato ad altri scopi e, spesso, cementificato. Lo spreco dei residui della produzione agricola e della manutenzione delle aree boschive che, invece, potrebbero essere destinati alla generazione diretta di calore ed elettricità, o convertiti in biocombustibili. I nuovi metodi di gestione delle risorse e nuovi strumenti per l’ottimizzazione degli approvvigionamenti di acqua ed energia. In due parole, Green Economy, in cui gli aspetti tecnici e scientifici sono prioritari. Ecco il motivo della mia presenza nel trio ed ecco perchè il coinvolgimento del mondo della ricerca sarà sempre più necessario…