Aldo Bianchini
(Minuto dopo minuto la ricostruzione dell’agguato e del delitto)
PARADISO – E’ sabato 7 luglio 2012, alle sue prime luci il sole è già cocente, anche lassù tra le nuvolette del Paradiso si respira a fatica, fa caldo e per il tradizionale caffè siedono intorno al solito tavolino gli amici di sempre, e per l’eternità. Guido Rossa e Vittorio Bachelet, una sedia è vuota, lo è da tre anni da quel 7 luglio 2009 quando il suo titolare Carlo Falvella decise di non presiedere più la chiacchierata amichevole con i più anziani colleghi di sventura in occasione della rituale commemorazione della tragedia che investì Salerno e la sua “meglio gioventù” in quel fatidico 7 luglio 1972. In tanti non avevano gradito il commento che lui, Carlo, aveva esternato sulle modalità della commemorazione e sui politici/politicanti presenti, commento che un incauto giornalista aveva riportato sul suo giornale a beneficio degli umanoidi viventi in una Salerno alquanto bigotta nella sostanza e solo apparentemente progressista. Oggi, però è una giornata importante, ricade il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Carlo, necessaria quindi la sua presenza al “tavolo del Paradiso”. L’angelo che porta il caffè diventa subito l’angelo messaggero. A parlare è Guido Rossa, il grande mediatore, che sussurra all’angioletto di recarsi nella suite di Carlo per convincerlo ad unirsi ai due amici in attesa. Ci mette un po’, ma dopo una ventina di minuti eccolo apparire tra due nuvolette; è un po’ corrucciato ma tutto sommato il suo atteggiamento somatico non promette male. Si siede, arriva il caffè anche per lui ed insieme tutti e tre cominciano a centellinare, ognuno per proprio conto, il prezioso liquido. Questa volta è Vittorio Bachelet a prendere la parola: “Senti Carlo, abbi pazienza ma con questo mutismo la devi smettere. Oggi laggiù celebrano il quarantesimo anniversario del tuo assassinio, il monumento in tuo onore è stato ripulito e tutto ci sembra in linea con una dignitosa cerimonia. Per cortesia assisti insieme a noi”. Carlo non risponde ma rimane seduto al suo posto. Lassù in Paradiso non è come da noi in terra. Da lassù c’è la possibilità di vedere in contemporanea, come su schermi diversi, tutto quello che accade; è sufficiente scegliere per settori e concentrarsi sulle immagini, insomma è come stare al cinematografo a tre dimensioni. Lo sguardo di Carlo va alle immagini del pomeriggio, c’è agitazione in Via Velia, stanno arrivando oltre trecento giovani di Casa Pound con bandiere e striscioni, i cori non mancano. Le linee di contentezza sul viso di Carlo si alterano visibilmente, il centro della Città è quasi totalmente presidiato da polizia e carabinieri. A Carlo queste messe in scena danno fastidio, lui era abituato al dialogo ed all’azione propositiva, non amava lo scontro fisico anche se qualche volta fu costretto a non evitarlo. Si riprende quasi subito, nella folla osannante vede anche volti amici, c’è Primo Carbone, c’è Pietro Abate, c’è anche il fratello minore Marco (Pippo è già passato in mattinata) e ci sono tanti altri amici, un tempo camerati, che sostano intorno al monumento e tardano ad andar via anche quando la cerimonia, i canti, gli inni sono finiti e gli striscioni e le bandiere sono stati riavvolti e ammainate. Parlano, discutono, si interrogano, passa anche l’avvocato Giuseppe Corona, poi altri, tantissimi altri. Lui Carlo è giovane per l’eternità, gli altri, i suoi amici e camerati portano addosso i segni del tempo che sulla terra scorre inesorabile. Viene scosso dai suoi pensieri dalla voce di Guido Rossa: “Carlo, mi sembra che dopo quarant’anni puoi finalmente raccontare come andò quella sera in Via Velia, se ti va noi siamo pronti in religioso silenzio per ascoltarti”. Carlo resta muto ma il suo cervello già sta riavvolgendo il nastro degli avvenimenti. Le immagini scorrono sotto gli occhi attoniti di Guido e Vittorio. Era il mese di giugno del 1972, da poco si erano chiuse le scuole. Carlo riusciva sempre a fare gruppo. Non era un capo ma uno di loro (sono parole di Primo!!), certamente il migliore. Quel gruppo viveva di ideali; l’Onore, la Famiglia e la Patria erano gli obiettivi da raggiungere e mantenere. Per questi ideali, durante l’anno scolastico, più volte il gruppo si era confrontato e scontrato contro altri giovani che, invece, sventolavano bandiere rosse. In quel lontano mese di giugno, dopo i primi successi elettorali della Destra Nazionale, si pensò ad un’affissione massiccia di manifesti per le strade della città. Furono formati alcuni gruppi per “coprire” meglio il territorio; si sapeva che il compito era difficile perché c’erano state delle scaramucce. Si sapeva delle oggettive difficoltà, gruppi di studenti della FdG e del FUAN-Azione Universitaria si erano già scontrati e Carlo era con loro nei pressi della Camera del Lavoro di Salerno. Ci fu anche un ferito tra i giovani di destra. In quelle sere di fine giugno il gruppo di destra si ritrovava davanti il Bar Nazionale mentre quello di sinistra davanti il Bar Nettuno. Pochi metri di distanza, un abisso incolmabile sotto il profilo delle ideologie o, meglio, delle idealità. Nel corso del pomeriggio del 4 luglio 1972 un foltissimo gruppo di giovani di sinistra fece un presidio davanti al bar Nettuno; un giovane di Destra, forse inconsapevole del fatto, era solo sul lungomare, fu circondato e picchiato selvaggiamente con una brutta ferita alla testa. In pochi minuti la notizia fece il giro della Città e tutti i giovani di destra pensarono ad una immediata ritorsione. Fu Carlo, con altri dirigenti, a placare gli animi ed a fermare le mani già armate. Al controllo sfuggì un piccolo gruppetto di sette-otto ragazzi che si lanciarono contro una ottantina di giovani della sinistra davanti al Bar Nettuno. Lo scontro fu furibondo, il dato ormai era tratto. Le ore che seguirono furono ore di ansia e di preoccupazione per le istituzioni e per tutte le forze dell’ordine in stato di allertata continua. Passarono tre giorni di alta tensione e si arrivò alla sera del 7 luglio 1972. Verso le 20.15 Carlo, insieme a Giovanni Alfinito (oggi noto avvocato amministrativista salernitano), sciolse il gruppo di destra che stazionava davanti al Bar Nazionale, ognuno prese la strada di casa, e Carlo con l’amico Giovanni incominciò a risalire per Via Velia verso le proprie rispettive abitazioni. Da qualche tempo Carlo soffriva di una malattia agli occhi, in pratica era un ipovedente, e non si accorse che dal gruppo di sinistra che stazionava davanti al Bar Nettuno si era staccato un gruppetto di tre persone composto da Giovanni Marini, Gennaro Scariati e Francesco Mastrogiovanni. I tre precedettero di qualche minuto i due amici ed entrarono nel portone al n. 34 di Via Velia. Carlo e Giovanni camminavano ignari dell’imminente agguato, Giovanni si fermò un attimo davanti le vetrine della cartolibreria Di Martino (che era all’angolo sud del largo oggi dedicato a Falvella), Carlo a causa della sua malattia non si accorse di nulla e proseguì il suo cammino. Sentì il rumore di un portone che si aprì d’improvviso, ma non gli diede il giusto peso. D’improvviso venne attratto dalle grida di aiuto di Giovanni Alfinito. Adesso Carlo, dal Paradiso, vede bene la scena sul grande schermo della vita, anzi fa scorrere leggermente indietro il nastro e osserva attentamente. Mastrogiovanni, Scariati e Marini escono dal portone e corrono verso Giovanni Alfinito che è piegato in avanti e sta leggendo i titoli dei libri in vetrina. C’è un po’ di appannamento nelle immagini, ma quasi si scorgono le sagome indistinte di altre due persone insieme ai tre aggressori. Falvella, Rossa e Bachelet intorno al tavolo restano ammutoliti, possibile che le inchieste e i processi non hanno mai identificato quelle altre due persone, di cui una è chiaramente una donna. Si guardano negli occhi senza parlare. La scena continua. Mastrogiovanni raggiunge Alfinito e lo pugnala dalle spalle colpendolo tra la coscia destra e il basso ventre facendolo cadere per terra. Carlo che si era allontanato di qualche metro, attratto dalle grida, ritorna sui suoi passi e cerca di difendere coraggiosamente l’amico in difficoltà. Viene colto alle spalle da Giovanni Marini mentre Mastrogiovanni, forse, cerca di immobilizzarlo. La pugnalata è brutale. I tre fermano il film e Carlo sospirando dice: “La cosa che più ricordo con dolore è il momento in cui la lama del coltello affondò nel mio petto e subito dopo avvertii un movimento strano, quasi come se la lama fosse stata rigirata su se stessa con grande cattiveria. Probabilmente è stato quel movimento rotatorio che ha prodotto la rottura dell’aorta”. Proseguono le immagini del film e solo ora Carlo vede che nella concitazione Marini aveva colpito anche l’amico Mastrogiovanni. Poi, sotto gli occhi dei tre increduli, si dipana un’altra scena. Giovanni Marini fugge via e va a rifugiarsi nel portone al civico 7 di Piazza Flavio Gioia. Sono pressappoco le ore 20.30. La tragedia si è consumata. Carlo cerca di alzarsi da terra, vuole notizie dell’amico Alfinito, non fa in tempo a sentire la risposta, la vista si offusca e ricade per terra. Sul posto arriva l’avvocato De Falco che con la sua autovettura trasporta subito Carlo al pronto soccorso in Via Vernieri. Dopo pochi minuti la notizia della morte di Carlo fa il giro di tutta la città che viene subito totalmente blindata dalle forze dell’ordine. Intanto Giovanni Marini è ancora nel portone e solo ora, da lassù, Carlo scopre che Marini chiese a gran voce ad un inquilino del palazzo di chiamare i carabinieri perché ha ucciso un giovane militante della destra. Passano pochi minuti e sul posto arriva il maresciallo Granata che preleva Marini e lo fa scomparire nel buio della notte incombente. Tutto il centro della città venne preso letteralmente d’assalto dai giovani della destra, ci fu chi (come Primo!!) ritornò a casa soltanto dopo qualche giorno, il presidio in Via Velia esigeva i suoi tempi e le sue regole. Fortunatamente le notizie sullo stato di salute di Alfinito alleggerirono il clima di tensione. A questo punto i tre seduti al tavolo del paradiso chiudono la scena filmica per ritornare alla realtà. Carlo, visibilmente commosso, sta parlando: “La cosa che più mi diede fastidio subito dopo la mia morte fu il fatto di non poter portare, come facevo ogni domenica, una rosa rossa alla mia mamma”. Chi sta in Paradiso non piange, ma gli occhi di Carlo sono decisamente rossi e umidi; i suoi due amici, Vittorio e Guido, rimangono in deferente silenzio. E Carlo continua: ““Carissimi, figuratevi che durante tutte le varie fase del processo l’attrice Franca Rame, che era presente a Salerno e Vallo della Lucania con il famigerato <soccorso rosso>, portava ogni mattina una rosa rossa in omaggio per Giovanni Marini mentre dinnanzi al tribunale quelli di sinistra gridavano <Uccidere un fascista non è reato. Giovanni Marini sarà liberato>. Ma vi rendete conto, cari Vittorio e Guido, di quale aberrazione sono stato oggetto, addirittura si era arrivati a sbeffeggiare il gesto d’amore che avevo domenicalmente per la mia adorata mamma””. Il silenzio degli altri due è totale, non riescono a dire nulla anche perché Carlo è un fiume in piena: “”Sentite c’è un’altra cosa che mi indigna e ve la racconto. In tribunale a Vallo della Lucania , dove il processo era stato spostato per legittima suspicione, durante l’interrogatorio del mio amico Primo Carbone ci fu l’assoluta protervia dell’avvocato Gaetano Pecorella che aggredì Primo tacciandolo di falso in quanto il teste a suo favore (il maestro Santucci della pugilistica salernitana) quella sera del delitto si trovava a Salerno con la fidanzata sul corso e non poteva essere con Primo all’Isola Liri per una manifestazione di pugilato. Pensate, amici, il maestro Santucci all’epoca era già sposato e padre di diversi figli. Questo vi fa capire con quali menzogne e con quanto odio venivano trattati i miei amici . Ed oggi devo vedere l’avvocato Pecorella schierato nel cosiddetto centro-destra farsela con politici che nulla hanno a che fare con le nostre storie e con la nostra idealità. Ho dovuto sopportare anche questo””. I due si stringono, anche con le sedie, intorno all’amico Carlo che tutto sommato non ha neanche tanto bisogno di consolazione, ha lo sguardo dritto verso l’infinito. Per tre anni si è assentato, nel giorno della sua commemorazione, da quel tavolo di amici sinceri ma ora qualcosa sta cambiando e laggiù, per le strade della sua città, migliora anche la cerimonia di commemorazione che cresce sempre di più, anno dopo anno, con la partecipazione di centinaia di giovanissimi che di Carlo hanno soltanto sentito parlare come un mito irraggiungibile. E poi c’è la frase sul monumento “Carlo Falvella, pagò un’idea con la vita, mai più la passione politica si trasformi in odio” che racchiude fedelmente la vita e il sacrificio di Carlo. Anche qualcos’altro è cambiato. In una triste mattina dell’agosto 2009 sul suo letto di contenzione, nell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, è spirato tra mille polemiche e processi anche Francesco Mastrogiovanni che da un po’ di tempo è lì, in quel turbinoso girone dantesco dov’è anche Giovanni Marini. In Paradiso arrivano voci di un rapporto quasi sfilacciato, se non proprio rotto, tra i due ex grandi amici. Del resto tra un professore e un giardiniere c’è veramente poco in comune, con tutto il rispetto per entrambi che probabilmente aspirano ad ottenere il perdono di Carlo. Verso questa soluzione lo stanno indirizzando Vittorio e Guido ma Carlo non è ancora pronto, e i due amici prudentemente non ritornano sull’argomento. Non vogliono rischiare altri tre anni di assenza del loro eternamente giovane amico.
grazie Aldo per il tuo coraggio, per la tua voglia di VERITà.
in bocca al lupo
Brividi…
CARO DIRETTORE,SEMPLICEMENTE GRAZIE PER L’ARTICOLO.
Caro Aldo,leggendo il tuo articolo non posso fare a meno di commuovermi, data la mia quasi ancora tenera età neanche posso immaginare cosa sono stati quegli anni,e cosa ha provato la mia famiglia.Non avrei saputo scrivere di meglio.
Spero che in un giorno non molto lontano avrò la possibilità di stringerti la mano.
Grazie
Cristiano Falvella
Grazie Direttore per il coinvolgente ed emozionante racconto di una vita, di cui noi, come i tanti giovani che hanno assistito e presenziato alla manifestazione, abbiamo solo sentito parlare..
Tempi veri, tempi duri, tempi di speranza e di voglia di un cambiamento che non c’è mai stato..
Che possa la nostra generazione e quelle future riportare quella speranza nei cuori dei giovani, che questa volta, senza violenza e con amore, le strade di noi ragazzi si incontrino in un unico e convincente abbraccio di vita.
Con immensa soddisfazione e con la speranza che questo accada la ringrazio ancora Direttore,
Michele Falvella
Non conoscevo questa storia!
Drammatica…
Ancora più squallida, e adeguatamente coperta dall’omertà di certi settori dell’informazione, è l’attegiamento della Rame…..
Ad ogni modo, nell’ottica della riconciliazione, speriamo che i due ex amici possano rivevere cmq il perdono della loro Vittima.
Ciao Carlo!