Aldo Bianchini
PAGANI – La due giorni di deposizioni da parte di alcuni pentiti nell’ambito del processo “Linea d’Ombra” a carico di Alberico Gambino sembra aver segnato un chiaro successo per la linea dell’accusa portata avanti dai PM Volpe e Montemurro. Almeno così hanno eclatato tutti i giornali, chi con più enfasi aggressiva, chi con giusto senso della cronaca e basta. Se mi soffermo all’esame critico devo riconoscere che la collega Rosa Coppola de “Il corriere del mezzogiorno” ha fatto l’analisi fredda della cronaca, cioè ha raccontato senza esaltazioni e senza preconcetti quello che ha sentito dalla viva voce dei pentiti. Quindi, in sostanza, i quattro pentiti ascoltati (Principale, Califano, Prisco e Greco-padre) hanno più o meno ripetuto in aula quanto avevano approssimativamente già detto agli inquirenti. In pratica hanno spiegato l’esistenza di un “sistema Pagani” che coinvolgeva un po’ tutti soprattutto per l’organizzazione e la conduzione delle campagne elettorali. Insomma la malavita organizzata si allertava ad ogni appuntamento elettorale per crearsi degli spazi autonomi di gestione virtuale (badate bene ho scritto “virtuale”) della cosa pubblica. Un po’ come avviene in ogni parte d’Italia e del Mondo, esattamente come avviene da decenni nella città capoluogo dove, peraltro, non sono mancate le inchieste. E’, semmai, la lettura che si intende dare a queste dichiarazioni che diverge da magistrato a magistrato e da distretto giudiziario a distretto giudiziario. Per quanto mi riguarda già di per se uno che viene definito “pentito” in astratto non dovrebbe essere affidabile, perché se è pentito è segno che qualcosa di losco l’ha fatta e che quindi è abituato a viaggiare sulla lama sottilissima del confine tra lecito e illecito. Ma c’è di più. L’altro giorno a Pagani è andata in scena la versione della pubblica accusa che per poter chiedere condanne severe ha l’obbligo di dimostrare con prove provate il contenuto delle dichiarazioni dei presunti pentiti. Al momento non esiste la benchè minima prova di un coinvolgimento diretto ed assoluto della persona fisica di Alberico Gambino nella cosiddetta pratica di “voto di scambio”. Perché amici lettori, cerni e cerni, di questo sostanzialmente si tratterebbe qualora venisse dimostrato e convalidato il castello accusatorio degli inquirenti. I predetti, però, dimostrano con il loro nervosismo pubblico di non essere perfettamente sereni, probabilmente si accorgono giorno dopo giorno che manca la “prova regina” utile ad incastrare definitivamente il capo del “sistema Pagani”. E sono ripartiti all’attacco (questo lo avevo già previsto qualche settimana fa…..!!) alla ricerca di ogni prova possibile con nuovi blitz a Palazzo San Carlo per l’acquisizione di atti che probabilmente non serviranno a niente se non a perdere altro tempo ed a far permanere uno stato di “carcerazione domiciliare”, la più lunga della storia di tangentopoli, che grida vendetta. Per carità io non sono in grado di fornire consigli agli inquirenti, faccio un altro mestiere e sono garantista fino alle estreme conseguenze. Ma qualora dovessero leggere questi miei scritti vorrei ribadire loro che io ho un concetto della giustizia molto diverso. La giustizia non insegue nessuno, non si accanisce, non ha preconcetti, non deve consumare vendette, non deve costruire carriere e non deve essere mai agitata. La giustizia nella quale credo io fa il suo corso sempre e comunque, e non guarda in faccia a nessuno, ma è anche in grado non dico di fare un passo indietro ma almeno di lato. La storia di questi ultimi decenni ci insegna che la giustizia non è mai stata in grado di gestire i pentiti comuni come, invece, aveva fatto con i pentiti del terrorismo. Trasfondere tout-court quella esperienza nella caccia alla criminalità organizzata è stato un errore micidiale perché i criminali non hanno alcuna ideologia da propagandare o da difendere. Mi ha colpito una frase inserita come occhiello su “Il Mattino” del 13 giugno 2012 sotto il titolo <<“Le rivelazioni” – Il figlio di Spara Spara disse: Aropp è cumm si stess’ io ‘ngopp o’ comune”>> quasi come a voler dimostrare l’esistenza del sistema e il coinvolgimento di Gambino ed altri. Una frase del genere pronunciata da individui del genere non è assolutamente niente ed meno della monnezza nel contesto di una serena e obiettiva valutazione giudiziaria. Chi di noi nel chiedere il voto per un amico non ha pronunciato la frase più cara agli italiani: “Non ti preoccupare che poi me la vedo io” che è la traduzione italiana di un modo di fare che rimane sempre schifoso, ma che è un modo di fare e con il quale bisogna necessariamente fare i conti. Per chiudere ritengo che la giustizia non deve mai farsi immischiare nelle torbide vicende di guerre intestine e proprie della malavita che lotta quotidianamente per l’accaparramento di zone di influenza. La giustizia deve volare molto alto, sempre e comunque.