Fare esperienza dei default altrui come guida per uscire dalla crisi

Filippo Ispirato

La crisi colpisce in maniera dura l’Europa. Su un noto giornale economico è apparsa una notizia che solo qualche anno fa era impensabile: a Siviglia famiglie e pensionati ormai senzatetto occupano delle palazzine invendute.

Da un lato persone che non riescono più a pagare l’affitto e che, davanti alla non allettante ipotesi di dover rimanere per strada, hanno deciso l’occupazione abusiva, dall’altro interi fabbricati invenduti, dopo lo scoppio della bolla immobiliare, i cui costruttori con molta probabilità sono falliti.

Come in Spagna, anche in altri paesi si vivono o si sono vissute situazioni del genere, in Grecia o Portogallo, ma anche Argentina o Islanda.

Dall’esperienza e dal passato si può anche imparare ad uscire da momenti delicati come questo, grazie ad una fattiva collaborazione del sistema politico, economico e sociale.

Due casi su tutti danno l’idea di come sia possibile creare sviluppo anche in situazioni difficili: l’occupazione delle fabbriche e delle attività commerciali fallite in Argentina ed il caso della centrale a carbone dismessa in Islanda.

Nel paese sudamericano negli anni successivi al default hanno chiuso numerose aziende, fabbriche, stabilimenti industriali, hotel e centri commerciali, che rimanevano ad invecchiare come tetri testimoni di una crisi che sembrava non voler mollare la presa.

Chi è rimasto senza lavoro ha creato delle cooperative ridando vita alle fabbriche abbandonate e rilevando le attività ormai chiuse da tempo; con il coinvolgimento di team di lavoro si è riusciti a realizzare delle strutture operative in grado di produrre beni e servizi di buona qualità e a creare occupazione.

Nel centro della capitale Buenos Aires, ad esempio, diverse strutture alberghiere o palazzi abbandonati sono stati presi in gestione e rimessi a nuovo da cooperative di lavoratori che hanno avviato nuove attività e innescato quel circolo virtuoso e sano che ha dato forte slancio all’economia locale.

Anche in Islanda si è potuto assistere a degli esempi di questo genere, un esempio fra tutti che mi ha incuriosito molto, la gestione attiva da parte di un gruppo di giovani islandesi di una centrale a carbone in disuso che, nel tempo, è diventata un incubatore di imprese.

Lo stabilimento, invece di essere abbandonato ai segni del tempo o destinato all’abbattimento, è stato concesso dall’amministrazione pubblica locale a gruppi di giovani che hanno realizzato al suo interno dei box adibiti ad uffici, atelier o laboratori come sede per le loro attività. Un’idea semplice ma efficace, che ha permesso a dei giovani di avere a disposizione a basso costo una sede dove sviluppare delle idee innovative: avere un forte risparmio in termini di fitto mensile dei locali è importante in quanto spesso questa voce di costo fissa è tra le più difficili da ammortizzare soprattutto nella fase di avviamento/ start up.

Anche in Italia si dovrebbe pensare a delle soluzioni semplici ma efficaci come quelle argentine o islandesi; ricorrere solo a delle grandi politiche economiche è utile ma spesso di difficile applicazione per via della mancanza di denaro pubblico e di una recessione in atto.

Gli esempi visti sin qui possono rappresentare una delle tante ipotesi di creazione di valore per  il paese; facendo tesoro delle esperienze di altre nazioni che hanno attraversato dei periodi difficili e che sono riuscite a rifiorire, è evidente la necessità di un’azione della classe politica che dia delle possibilità di crescita concrete ai giovani senza troppi lacci burocratici o una tassazione stringente.

La politica, insieme ad una pubblica amministrazione efficiente, deve rivedere la sua eccessiva autoreferenzialità e le regole gerontocratiche, spesso ostili al cambiamento, e realizzare delle soluzioni reali e concrete che possano aiutare i giovani a trovare un loro futuro lavorativo nel nostro paese.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *