da Nicola Femminella (docente – storico – giornalista)
Quotidianamente appaiono sui mezzi di informazione notizie che non ricevono dall’opinione pubblica la giusta e dovuta attenzione. Non fomentano dibattiti né propongono analisi per approfondirne il valore e l’incidenza reale su questioni che pure coinvolgono in misura ragguardevole la comunità nazionale. Coloro che le diramano sembra che lo facciano, indotti dall’esercizio della professione o dal proprio codice deontologico: sono annunci che appaiono e trascorrono una apparizione fugace e breve. Del resto le moltitudini di persone, non mostrano alcuna curiosità nei confronti di taluni argomenti né mostrano di voler comprendere le determinazioni e le possibili conseguenze che esse possono procurare al Paese. La stessa comunicazione dei fatti, redatta dai giornalisti estensori degli articoli o dei servizi televisivi che riportano la notizia, sovente non esprime, anche dal punto di vista linguistico, l’energia sufficiente per attirare il campo attentivo dei lettori. In TV tali informazioni non sono date come preminenti per le sorti del Paese, né commentate con argomenti stimolanti, per cui non sono colte da larghi strati di cittadini come vettori in grado di decidere il grado di civiltà o la crescita culturale e lo sviluppo socio-economico della comunità nazionale. Sui social raramente superano il muro della battuta inopportuna, che, poche volte, provoca il richiamo di chi, più avveduto, invita a trattare l’argomento con la severità che merita. Si preferisce il dibattito incalzante, riproposto all’infinito su temi ideologici che, si sa, sono divisivi, ma utili alle forze politiche per condurre fine a tarda notte nei talk show l’ormai logoro esercizio della contrapposizione delle parti, con il quale compattare e trattenere il proprio esercito di elettori. Uno sport molto praticato in Italia, ma abbastanza inutile.
Le notizie a cui faccio riferimento sono, invece, accolte con grande interesse dagli studiosi dei fenomeni in questione, che ne analizzano compiutamente i dati, ne spiegano i tratti rilevanti e l’impatto che hanno sui molteplici gruppi e categorie di persone. Spesso si impegnano per diffonderle e a renderle più vicine al vissuto di noi tutti.
Faccio due esempi per rendere più chiaro il pensiero a riguardo. Non ho mai compreso il perché del numero chiuso alla facoltà di medicina negli anni scorsi e perché le cronache quotidiane lo hanno eluso, non usando la veemenza che meritava. Solo qualche accenno di tanto in tanto. Mai una serata in TV! Spesso ne ho parlato su questa testata, prevedendo che ad un tratto si sarebbe fatta sentire l’esigenza di personale medico, fino a trasformarsi in una emergenza. Il che è avvenuto e oggi le aziende sanitarie non possono far fronte al pressante bisogno di medici di base e nei reparti ospedalieri.
Il secondo esempio è rappresentato dalla scuola. A tratti se ne denunciano le insufficienze che inficiano l’alto compito a cui deve assolvere e i limiti della mission vigente nel novero della sua responsabilità istituzionale. Tardano però a essere posti in essere i rimedi necessari e non più procrastinabili, perché riprenda quota nella società civile. L’esigenza di aggiornare i docenti su metodologie didattiche innovative, per esempio, meriterebbe iniziative decisive per elevare le loro competenze alle prese con gli studenti digitali fin da piccoli, per i quali, è ovvio, non valgono la lezione tradizionale e le verifiche stereotipe. E anche qui, il dibattito, che dovrebbe essere frequente, ampio e proficuo, per focalizzare e far diventare l’argomento un obiettivo primario nell’agenda della classe politica, responsabile del bene comune, tarda a occupare il primo piano che merita.
Ma vengo all’argomento apparso nei giorni scorsi e già scomparso dalle pagine dei giornali e dagli altri mezzi della comunicazione. Sono stati resi noti i dati conclusivi della ricerca OCSE, rilevati dall’ INAPP, per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sulle Competenze degli Adulti nell’anno 2023, indetta dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La rilevazione ha riguardato un campione composto da 160.000 persone, individuate in 31 Paesi, di età compresa tra i 16 e i 65 anni. Il campo d’indagine conteneva la capacità di lettura e comprensione di testi scritti di certo non caratterizzati da una morfosintassi o da un lessico… da scuola dell’infanzia (dominio cognitivo della literacy), quelle di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche utili per il disbrigo di occorrenze quotidiane (dominio cognitivo della numeracy) e le capacità di individuare la giusta soluzione in una situazione di problem solving, di non immediata e facile percezione (dominio cognitivo del adaptive problem solving). Il risultato finale rievoca quello emerso con l’indagine OCSE-Pisa del 2022, che dal 2000 e con scadenza triennale, valuta le competenze degli studenti quindicenni nella lettura, matematica, scienze su un vasto campione di ragazzi in una ottantina circa di Paesi.
I numeri sono a dir poco deludenti: un terzo degli italiani sottoposti alle prove ha mostrato gravi carenze nella comprensione del testo, nell’utilizzo degli elementi di matematica, gravi difficoltà nell’indicare una soluzione idonea al problema ricevuto come consegna. Sono i cosiddetti analfabeti funzionali. Ancora una volta il dato negativo è stato determinato soprattutto dall’apporto rovinoso fornito dal campione residente al Sud. La Campania primeggia nell’abbassare le percentuali negative. È una storia che si ripete, allorquando si conducono indagini volte a misurare le competenze cognitive e la dotazione culturale degli italiani. I dati raccolti nel Meridione sono notevolmente inferiori alla media dei paesi OCSE. Se fossero raccolti nelle sole regioni del Nord e del Centro sarebbero in linea con le medie dei Paesi più evoluti: il che rende ancora più grave l’apporto negativo delle regioni del Sud nella stipula della graduatoria dell’intero campione sottoposto a verifica.
Diamo qualche dettaglio. L’Italia è dentro il gruppo di undici paesi che conferiscono dati al di sotto della media Ocse. 245 punti nella lettura (media Ocse 254); nella matematica 244 con media Ocse 255; problem solving a 231 con media Ocse 246.
il 35% degli italiani nella lettura ha una capacità pari o inferiore al livello 1, a fronte della media OCSE attestata al 26%. Comprendono frasi paratattiche con un lessico misero, vicino al proprio parlato quotidiano. Solo il 5% ha raggiunto i livelli più alti: 4 e 5, rispetto al 12% media OCSE. Sono questi detti high performer, capaci di leggere e comprendere la quasi totalità di testi scritti.
In matematica il 35% sottoposti alla prova, hanno acquisito il livello 1 (25% media OCSE). Costoro usano solo gli elementi di matematica più semplici, facilmente da praticare; il 6% raggiunge i livelli 4 o 5, che diventa 14% nella media OCSE. Questi ultimi sanno decodificare contenuti statistici, grafici, informazioni molteplici e compiere operazioni complesse di matematica.
Particolare attenzione merita l’area assegnata alle competenze nel problem solving. Il 46% degli italiani individuati nel livello pari o inferiore a , 1 si erge contro il 29% della media OCSE: riescono a trovare soluzioni solo ai problemi molto semplici. Sul lato opposto l’1% circa ha ottenuto un punteggio con indice 4, a fronte della media OCSE del 5%.
I giovani di 16-24 anni hanno mostrato valori migliori rispetto ai 55-65enni e le donne indugiano dietro agli uomini.
Occupano le prime posizioni: Finlandia, Giappone, Olanda, Norvegia, Svezia, Svizzera. Gli ultimi con l’Italia: Lituania, Israele, Polonia, Portogallo, Cile.
I risultati sono del tutto eloquenti! Vale a dire che gli italiani di età compresa tra i 16 e 65 hanno un pensiero con un apparato di potenzialità cognitive notevolmente più basso, rispetto ad altre popolazioni che con essi interagiscono nella UE e nel mondo, il cui indice di civiltà è da secoli in una fascia di eccellenza. Milioni di noi italiani affrontano il vivere quotidiano e svolgono il ruolo che occupano negli studi, nel mondo del lavoro e delle arti, nei servizi, nella ricerca con qualche limite nell’utilizzo delle proprie facoltà e attività intellettive. In estrema sintesi diciamo che la capacità di essere imprenditore di se stesso, che in questa fase storica della globalizzazione e delle sfide tra i popoli dovrebbe essere oltremodo sviluppata con il potenziamento dello spirito creativo e della utile iniziativa, non raggiunge un grado di elevatezza adeguata ai tempi e alle necessità della nazione e dei singoli cittadini. Ciò è ancora più grave, di fronte a talune gigantesche questioni dietro l’angolo: le concorrenze spietate tra le potenze nelle grandi aree del commercio internazionale e gli arsenali di guerra sempre più minacciosi, l’incedere delle tecnologie avanzate e l’intelligenza artificiale alle porte, la questione del cambiamento climatico e la transizione energetica, la scomparsa di milioni di addetti alle industrie sostituite dalla meccanica digitale e l’invecchiamento demografico, ecc.
In questo mare magnum devono vivere e muoversi le nazioni con politiche complesse e illuminate, vicine ai bisogni concreti delle masse. Ma lo devono fare anche i singoli individui con adeguate capacità di sapersi orientare, al fine di definire e raggiungere gli obiettivi utili per la propria collocazione nella società, sempre più senza confini, che li circonda. Altre ricerche correlate a quelle dell’OCSE, hanno dimostrato che trovano difficoltà nella ricerca di un lavoro e percepiscono salari più bassi coloro che sono portatori delle insufficienze nelle competenze di cui abbiamo parlato.
Naturalmente esiste una minoranza di connazionali che eccellono in ogni campo e si affermano ovunque, tenendo alto l’orgoglio della nostra bella Italia. I dati raccolti dall’Ocse Pisa ogni tre anni, a cui ho fatto innanzi riferimento e che riguardano gli studenti quindicenni, e altri Istituti di ricerca accreditati ci dicono che gli Italiani, che svolgono tale ruolo a favore dell’immagine del Paese, sono quelli che frequentano i Licei e che conseguono lauree in istituti universitari di eccellenza e diplomi negli Istituti tecnici e professionali con risultati brillanti. Menomale! Ma sono le seconde linee che devono fare un passo in avanti!