Cava de’ Tirreni, quella volta che il Papa chiese del Sindaco di Cava

 

dal prof. Luigi Gravagnuolo

scritto per Ulisseonline.it

Eugenio Abbro, ‘Il Professore’ per antonomasia a Cava, stava a cuore al Santo Padre. Contrariamente alla percezione che di lui abbiamo noi cavesi – che lo stimiamo come il più strutturato dei politici locali della storia di Cava nella Repubblica, ma non oltre – Abbro già negli anni cinquanta era una personalità politica nazionale 

 

La notizia – una vera notiziona! – ce l’ha data su Cronache di giovedì scorso l’amico e giornalista salernitano Antonio Manzo. Un vero regalo alla nostra città.

Durante il suo pontificato, papa Pio XII tre volte a settimana era solito vedersi di buon mattino, nello studio papale, col sostituto Segretario di Stato, mons. Giovan Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI. Questi prendeva appunti. Tali appunti, de-secretati nel 2020, sono ora in buona parte rinvenibili nel postumo ‘In quotidiana conversazione’, editato dall’Archivio Segreto Vaticano nel 2022 per la cura di Sergio Pagano.

Orbene, nel corso di una di quelle riunioni, la mattina del 28 ottobre 1954, il Pontefice chiese a mons. Montini, testuale: “Come sono andate le elezioni a Cava dei Tirreni? Abbro è stato eletto?”. E Montini: “Sì, si sono svolte, Abbro è sindaco”.

Dunque Eugenio Abbro, ‘Il Professore’ per antonomasia a Cava, stava a cuore al Santo Padre. Contrariamente alla percezione che di lui abbiamo noi cavesi – che lo stimiamo come il più strutturato dei politici locali della storia di Cava nella Repubblica, ma non oltre – Abbro già negli anni cinquanta era una personalità politica nazionale.

Dunque, siamo nell’autunno del ’54. A Cava le elezioni amministrative si erano svolte il 25 e 26 maggio 1952 e Abbro, candidato con il Partito Nazionale Monarchico, aveva ottenuto 7.133 voti. Fu il più votato tra i candidati di tutte le liste. La Giunta comunale, eletta dopo quelle elezioni amministrative fu presieduta dal barone Luigi Formosa e composta da cinque assessori della Stella e Corona e da due della Fiamma Tricolore. Per parte sua Abbro, era stato candidato anche per il Consiglio Provinciale e anche lì era stato eletto. Per due anni fu quindi assessore provinciale, presidente l’avv. Girolamo Bottiglieri, e capogruppo del partito Monarchico nel Consiglio Comunale di Cava.

Allora i sindaci erano eletti dai consiglieri comunali, non come oggi direttamente dai cittadini. Le elezioni delle quali nel ‘54 il Santo Padre chiedeva notizie a Montini non erano quindi quelle popolari del ‘52, ma quelle consiliari. Quali?

Il 10 giugno 1954 era caduta la Giunta del barone Formosa e i consiglieri comunali vollero candidare alla carica di primo cittadino Eugenio Abbro, che fu eletto sindaco nella seduta consiliare del 3 luglio dello stesso anno. Evidentemente a Papa Pacelli la notizia non era ancora arrivata se il 28 ottobre ne chiedeva notizia al suo segretario.

Ma perché in Vaticano c’era interesse per le vicende politico-amministrative di Cava de’ Tirreni?

Qui dobbiamo fare un passo indietro.

2 giugno 1946, referendum su monarchia o repubblica. Il fascismo era stato abbattuto l’anno prima e lo Stato era retto in luogotenenza dal Principe Umberto. Il Governo rispecchiava il quadro politico del CLN: Presidente il democristiano Alcide De Gasperi, Vicepresidente il socialista Pietro Nenni, Ministro della Giustizia il comunista Palmiro Togliatti.

Nel referendum istituzionale Pio XII non si schierò e la stessa Democrazia Cristiana lasciò i suoi iscritti ed elettori liberi nella scelta.

Il Pontefice, salito al soglio il 2 marzo del 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, indifferente all’assetto istituzionale dell’Italia, era invece molto preoccupato degli sviluppi politici del Paese. Temeva la minaccia del comunismo. Non vedeva perciò di buon occhio la presenza del PCI nel Governo. Né erano di diverso avviso gli USA.

Quando, promulgata la Costituzione repubblicana il 31 gennaio del ‘48, si svolsero le prime elezioni della storia della Repubblica italiana, 18 e 19 aprile 1948, lo scontro tra la Democrazia Cristiana e i suoi alleati da una parte, e il Fronte Popolare social-comunista dall’altra fu aspro, durissimo. Questa volta, contrariamente che nel referendum, la Chiesa non fu indifferente. Si impegnò allo spasimo e il Fronte ne uscì sconfitto.

Di quella memorabile campagna elettorale furono protagonisti anche i Comitati Civici di Luigi Gedda, populisti teo-conservatori, bendisposti ad andare a braccetto con monarchici e con i nostalgici del fascismo del MSI pur di tenere lontano dal governo socialisti e comunisti. E Pio XII li guardava con favore.

Nel ‘52, anche a Roma anno delle elezioni amministrative, il Pontefice, allarmato all’idea che la Città Eterna potesse essere guidata dai comunisti, volle candidare come capolista della Dc e potenziale sindaco il vecchio don Luigi Sturzo, con un’alleanza elettorale tra la Democrazia Cristiana, il Movimento Sociale Italiano e il Partito Nazionale Monarchico.

Viceversa sia il leader indiscusso della DC, Alcide De Gasperi, sia il leader della Sinistra-DC, Giuseppe Dossetti – entrambi cattolici osservanti, quindi con grande sofferenza interiore – disobbedendo alla Santa Sede, furono contrari ad ogni sodalizio con i monarchici e con i missini.

Nel Sud d’Italia il Partito monarchico era molto radicato ed Eugenio Abbro ne era esponente nazionale di primo piano. Dovette essere in questo contesto che Papa Pacelli ebbe a conoscere il professore.

A giugno nel ’54, per iniziativa di Achille Lauro, il Partito Monarchico si spaccò tra il laurino Partito Monarchico Popolare, col simbolo Stella e Leone, e il Partito Monarchico Nazionale di Alfredo Covelli, che conservò il logo con Stella e Corona. Lauro spingeva per un’alleanza organica con la DC, che tenesse però fuori il MSI. Viceversa Covelli spingeva per un’alleanza organica con il MSI. Dopo pochi anni, nel ‘58, una parte dei monarchici italiani confluì nella DC ed un’altra nel MSI.

Eugenio Abbro, che in prima istanza era restato fedele alla Stella e Corona,  nel ’58 confluì come la gran parte degli altri monarchici, quelli della Stella e Leone, nella DC, di cui sarà indiscusso protagonista fino a fine secolo. Viceversa i monarchici di Covelli confluirono nel MSI.

Pio XII seguì con attenzione quelle vicende. Non aveva condiviso l’orientamento politico della DC di De Gasperi, ma, consapevole che la maggioranza degli iscritti al partito stava con lui, spingeva a che i monarchici entrassero nelle file della DC in modo da rafforzarne le componenti più conservatrici.

Fu in questo contesto che, nel ’54, il Professore fu eletto sindaco. La sua Giunta ebbe la stessa composizione politica di quella dimissionaria del barone Formosa, col cambio di un paio di assessori e di qualche delega. La DC era fuori dal governo cittadino. Ma il Sindaco cominciava a guardarsi attorno. E al Pontefice  quel monarchico cavese, cattolico di genuina fede, forte di oltre settemila voti, politico di rara sagacia, stava ben cuore. Lo voleva nella DC.

Pio XII morì il 9 ottobre 1958 lo stesso anno in cui il Professore passò alla DC. Chissà se Montini fece a tempo a riferirglielo.

 

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