Il 3 novembre 1924, nasceva Alberto Manzi, che negli anni Sessanta con la trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, andata in onda per la prima volta il 15 novembre del 1960, insegnò a scrivere e a leggere ad circa un milione di italiani. Alberto Manzi morì a Pitigliano (Grosseto) il 4 dicembre 1997. “Ebbene, voi sapete che cosa vogliamo fare insieme. Conoscere, imparare il significato di questi segni che rappresentano un qualcosa, che ci fanno sentire la voce degli altri uomini”: con queste parole Alberto Manzi aprì la prima puntata di “Non è mai troppo tardi”. Manzi parlava e disegnava, sorrideva, guardando negli occhi chi era a casa davanti alla tv, rivolgeva domande curiose a un vasto pubblico fatto anche di bambini e bambine che andavano a scuola, ma che al pomeriggio rimanevano davanti al piccolo schermo televisivo .Era un corso televisivo di lezioni per insegnare a leggere, a scrivere, e a fare di conto. Il corso, organizzato dal ministero della Pubblica Istruzione, consentiva agli allievi di sostenere gli esami volti al conseguimento della terza elementare. Manzi diventò il simbolo della lotta all’analfabetismo , poi tornò al suo lavoro di insegnante elementare, che svolse con passione sino alla pensione. Dall’esperienza Manzi ha curato sussidiari, libri di letture, diari scolastici. Ha avuto anche un’intensa attività di scrittore, con oltre 30 titoli tra racconti, romanzi, fiabe, traduzioni e testi di divulgazione scientifica tradotti in varie lingue che gli sono valsi riconoscimenti e premi .Il suo romanzo per ragazzi più famoso, Orzowei, uscito a metà degli anni ’50, divenne un grande successo vent’anni dopo, la Rai ne fece uno sceneggiato televisivo.L’esperienza della guerra in marina lo cambierà profondamente influendo in modo decisivo sulla scelta di dedicarsi all’educazione e di fare il maestro. “Il mio sogno da ragazzo era di fare il capitano di lungo corso, per cui ho studiato all’Istituto nautico, ma contemporaneamente studiavo all’Istituto magistrale . L’Istituto nautico lo frequentavo perché mi piaceva, ma pensando sempre di fare il maestro”. “Facendo la guerra, poi, ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo delle falsità. Soprattutto dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi, rinnovare un po’ la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano”.Dal 1946 al 1947 Manzi insegna nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma dove condusse la prima esperienza come educatore. Manzi deve insegnare a circa 90 ragazzi fra i 9 e i 17 anni .perché al 18°anno passavano al Regina Coeli, con alfabetizzazioni e storie differenti, in un’enorme ‘aula’ senza banchi, sedie, libri. L’ambiente è durissimo. I giovani carcerati scrivono insieme la storia e la portano in scena. Funziona. Il gruppo è ormai coeso: anche grazie alla fiducia del direttore del carcere e del sacerdote, i ragazzi pubblicano un giornale, La Tradotta. È il primo giornale fatto in un carcere. Alberto Manzi come insegnante riversava entusiasmo, impegno, volontà di sperimentare, di rimettere continuamente tutto in discussione. Il maestro Manzi aveva ideali molto chiari. Vedeva come purtroppo non andavano le cose, sia nelle scuole urbane che in quelle rurali.